di Stefano Monti (economista)
Il nostro Paese รจ ricchissimo di relitti industriali. Di fabbriche dismesse che, con la propria ruggine, colorano paesaggi di campagna o si intonano ai colori delle periferie urbane. Rottami che raccontano un pezzo di storia importantissimo per la comprensione del nostro presente, e che soltanto raramente vengono realmente compresi.
Archeologia industriale, un nome
Definirla archeologia โindustrialeโ รจ sicuramente una scelta importante, ma forse non รจ la piรน premiante. Siamo soliti attribuire allโarcheologia una funzione di tutela di ciรฒ che รจ praticamente scomparso dalle nostre vite; la conservazione di ciรฒ che il nostro territorio fu per i nostri antenati. Monumenti e oggetti dโuso comune, ville, edifici di ingegneria pubblica e qualsiasi altra testimonianza materiale del nostro passato remoto: catalogato, custodito, preservato, talvolta valorizzato ma sempre allโinterno di limiti e tutele.
Al di lร dellโaspetto conservativo, perรฒ, la nostra archeologia industriale potrebbe rappresentare una importante categoria di โluoghi viviโ in contesti insoliti: non solo in termini โculturaliโ, ma anche come luoghi di rinnovati sviluppi produttivi, ricreativi, e, ove le condizioni lo consentano anche residenziali.
Il tema รจ tuttโaltro che di semplice soluzione, nรฉ ci sono le condizioni per individuare una linea di intervento unitaria per tutte le differenti categorie di patrimonio industriale ad oggi insistenti sul territorio nazionale.
Vincoli o riutilizzi?
Ciรฒ perรฒ non toglie che possano svilupparsi delle linee guida che indirizzino i casi specifici verso specifiche macro-categorie dโazione e che liberi lโarcheologia industriale dalle dimensioni piรน prettamente vincolistiche e che introduca per i patrimoni immobiliari dismessi degli strumenti pubblici e privati di sviluppo.
ร chiaro che in caso di interesse da parte di un privato ad acquisire e restaurare e infine riutilizzare impianti industriali in disuso, ci dovrebbero essere delle previsioni che agevolino in tale direzione, anche attraverso il ricorso a poteri speciali pubblici.
ร altrettanto chiaro che, per altre aree, la definizione di perimetri โda mettere in sicurezzaโ per eventi speciali possa essere unโoperazione di grande appeal per alcune forme di rappresentazione artistica, ed il successo di Lighting Flowers presso lโex-area industriale di Bagnoli รจ un esempio calzante.
In altre aree, ancora, ci potrebbe essere lโinteresse a generare delle aree residenziali, condizionate negativamente dalla presenza di eventuali scorie (che dovrebbe essere il settore pubblico ad eliminare).
Una parte dei fondi necessari potrebbe essere coperta attraverso lโistituzione, ove non giร presente, di fondi di garanzia per il decommissioning industriale, previsto nel nostro Paese per le attivitร di smantellamento degli impianti nucleari.
Ora, รจ chiaro che lโarcheologia industriale non possa occuparsi di tutte le categorie di โimmobiliโ dismessi sul nostro territorio, ma lโintroduzione di clausole che prevedano la partecipazione di archeologi ed esperti culturali possa rappresentare, per tale patrimonio, una grande ed importante opportunitร , perchรฉ archeologi ed esperti di valorizzazione archeologica possono fornire una visione ben diversa di cosa sia unโarea industriale dismessa rispetto alla sua semplice dimensione ontologica: percepire un ruolo, un valore, un significato che agli occhi di un demolitore semplicemente non cโรจ.
Non solo di tutela, ma di valorizzazione. Non solo di โrestauroโ, ma di โnuova costruzione di sensoโ.
Archeologia industriale sul 3% del territorio italiano?
Secondo alcune fonti che citano dati Istat, in Italia il patrimonio industriale dismesso occupa circa il 3% del nostro territorio. Una percentuale enorme, che non puรฒ essere lasciata nรฉ allโincuria nรฉ alla sola musealizzazione.
Definiamo una mappa; identifichiamo linee guida potenziali; sviluppiamo strumenti che agevolino la ridefinizione di tali spazi; incrementiamone le possibili estensioni.
Chiamiamolo piano per la rivalorizzazione industriale, e tuteliamo soltanto quella parte che realmente puรฒ rappresentare un beneficio dโesistenza per la collettivitร futura e creiamo valore con quella parte di patrimonio la cui esistenza non presenta unicitร .
Senza dubbio emergerebbero volontร ed energie ben differenti da quelle che sinora sono state realmente sviluppate.
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