Caregiver e lavoro: la rinuncia può costare miliardi di euro


Caregiver e lavoro: la rinuncia può costare miliardi di euro

In Italia, il costante invecchiamento della popolazione, la cura dei figli e l’assistenza a persone con disabilità stanno portando sempre più persone, i caregiver, a dover rinunciare al lavoro o a rivedere la loro posizione lavorativa per poter accudire un familiare, con conseguenze sul loro benessere psicologico ed economico. Tuttavia, questo fenomeno, che potremmo definire dei “caregiver familiari involontari”, ha un impatto negativo anche per le finanze pubbliche, in quanto genera costi indiretti per miliardi di euro.

 

Questo trend è anche destinato a peggiorare nel tempo, dato che, secondo le ultime proiezioni diffuse dall’Istat, quest’anno gli over 65 dovrebbero superare i 14 milioni di individui, pari al 23,7% della popolazione; mentre la fascia degli over 80 ha raggiunto quota 4,5 milioni di persone, ovvero il 7,6%.

 

In un contesto simile, è normale che sempre più cittadini, con l’avanzare degli anni, perdano la loro autosufficienza e inizino a necessitare di un supporto nel disbrigo delle attività quotidiane almeno saltuario. Questo supporto viene fornito dalla figura del caregiver, proposto anche alla cura dei figli e di persone con disabilità. Ad oggi in Italia ci sono 7 milioni di persone che si identificano in questa categoria secondo l’Istat.

 

Ma chi sono esattamente le persone che ricoprono questo ruolo? Innanzitutto, sono soprattutto i familiari stretti dell’assistito o dell’assistita (il coniuge, i genitori, i figli o altri parenti); nella grandissima maggioranza dei casi sono persone in età da lavoro (87,2% secondo il nostro Istituto Nazionale di Statistica) e sono prevalentemente donne (oltre il 75% dei casi secondo Censis), il che va ad aggravare le disparità di genere esistenti nel mondo del lavoro.

 

Tutto ciò comporta che in Italia ci sia un gran numero di cittadine e cittadini che hanno dovuto trovare il modo di conciliare la loro carriera con la sfera personale. Come? Spesso accettando di svolgere un lavoro part-time, in modo da avere più ore libere da dedicare alla cura dei propri cari, oppure rassegnandosi a non entrare mai o ad uscire definitivamente dal mercato del lavoro.

 

Sempre secondo i dati forniti dall’Istat, ma confermati e ampliati dal Cnel e dall’Eurostat, i primi che hanno optato per un part-time sono quasi 2 milioni, mentre i secondi 3,2 milioni. Pertanto, si può affermare che nel nostro Paese vi sono oltre 5 milioni di persone che sarebbero disposte a lavorare (o a lavorare per un numero di ore maggiore), se non dovessero o avessero dovuto occuparsi in prima persona della cura di un familiare.

 

Ma cosa significa tutto ciò? E come mai lo stato deve impegnarsi attivamente affinché questo numero si riduca e non aumenti negli anni? La risposta si può trovare nei numerosi report che hanno indagato lavoro part-time e retribuzioni in Italia nell’ultimo anno. Secondo una ricerca condotta lo scorso anno dalla CISL, chi ha scelto un impiego part-time non sempre rinuncia allo stesso numero di ore lavorative. Per l’esattezza:

 

  • Il 53,4% rinuncia a meno di 10 ore lavorative
  • Il 21,5% rinuncia a un ammontare di ore compreso tra le 11 e le 19
  • Il 25,1% rinuncia a un ammontare di ore uguale o superiore a 20

 

Prendendo in esame una settimana lavorativa di 40 ore standard, sapendo che in un anno sono 52 le settimane generalmente retribuite e che lo stipendio medio orario in Italia è di 17 euro circa (Istat), si ottiene che i caregiver familiari, uscendo parzialmente dal mondo del lavoro, possono generare perdite da attività non realizzate comprese tra i 44,3 e gli 88,3 miliardi di euro. Questo calcolo prende in considerazione le differenze tra uomini e donne, dato che solo il 6,1% degli impiegati maschi lavora part-time, contro il 26% delle donne (Istat).

 

A questi risultati vanno poi aggiunti i costi, intesi come retribuzioni non maturate, di quei caregiver familiari che sono usciti o non sono mai entrati nel mercato del lavoro, che, qualora fossero tutti impiegati full-time, ammonterebbero a 113,2 miliardi. Pertanto, il totale delle perdite dovute all’esclusione dei caregiver dal mondo del lavoro si attesta tra 157,5 e 201,5 miliardi di euro, che, se fossero immessi nel sistema, porterebbero a un balzo del nostro Pil nazionale compreso tra il 7,2% e il 9,2%.

 

In conclusione, un diverso inquadramento della figura dei caregiver familiari non solo genererebbe importantissimi passi avanti sul tema del benessere psicologico, della parità tra uomini e donne e del supporto ai cittadini più fragili, ma genererebbe grandissimi vantaggi anche per la nostra economia.



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