Gaggio Tech, La Perla e Berco. Tre aziende in crisi, in Emilia, dove centinaia di lavoratori rischiano il posto di lavoro. Tre esempi – anzi simboli – di quello che sta succedendo nel tessuto produttivo di una regione che nonostante tutto rimane una delle locomotive del Pil (la ricchezza prodotta) italiano, ma che rischia sull’economia di non avere un futuro sereno. Cambiano i tempi e in passato non c’è stata una vera politica industriale che guardasse al futuro. E ora si tirano le somme. La Gaggio tech, che produce stampi di plastica, è alle prese con una procedura di liquidazione arrivata come un fulmine a ciel sereno: i due soci che rilevarono l’impresa dopo una lunga battaglia sindacale non ce la fanno più. Ci sono possibili acquirenti all’orizzonte per dare ossigeno ai circa 130 dipendenti, si vedrà. Ma l’incertezza resta. La Gaggio Tech è nata dalle ceneri della Saga Coffee, che nel 2021 fu al centro di una dura vertenza durata oltre 100 giorni per salvarla dalla chiusura. Ci si riuscì, con soddisfazione, grazie anche all’impegno delle istituzioni. Ma quella impresa, attiva nel settore del caffè, non era altro che erede a sua volta di una parte della Saeco, un gioiello nato nei primi anni Ottanta appunto sull’Appennino bolognese e che divenne tra i colossi mondiali nella produzione di macchine per il caffè. Emblema appunto di un distretto che non c’è più e che pian piano è evaporato, perché non ha saputo innovare adeguatamente e perché qui le multinazionali hanno saccheggiato marchi importanti spostando la produzione all’estero, dove costava meno. Effetti quindi della globalizzazione. Stessa sorte per La Perla, ancora alle prese con un salvataggio difficilissimo (55 operai tra l’altro sono senza ammortizzatori sociali), in corso da mesi, che dovrebbe con una nuova proprietà rimettere sul mercato le collezioni del brand che fu conosciuto in tutto il mondo per la sua lingerie di lusso. Anche qui, via via le tante proprietà estere hanno dilapidato un patrimonio di competenza e di reputazione creato dalla famiglia bolognese Masotti. I vari fondi che hanno tenuto in mano la proprietà non sono mai riusciti a tenere alto il valore della Perla che in pratica si è ritrovata sul baratro della chiusura. Anche in questo caso Bologna ha perso un pezzo della sua storia industriale: produzioni a basso costo e manager stranieri hanno insieme contribuito al moltiplicarsi delle difficoltà. Infine la ferrarese Berco. Anche questa azienda, con uno stabilimento a Copparo, nel ferrarese, è alle prese con una dichiarazione di esubero di 247 dipendenti. Produce pezzi per macchine usate dall’edilizia all’agricoltura, alle costruzione. E’ di proprietà di una multinazionale che sottolinea come la colpa della crisi sia imputabile al Covid, alla guerra in Ucraina e all’esplosione dei prezzi delle materie prime. Di tutto, di più. Quello che manca forse è stata una vera strategia industriale, diciamo la verità, che non ha saputo traghettare l’industria pesante nel presente. Anche dal punto di vista dell’innovazione. E ora si pensa solo a tagliare. Insomma, la situazione non è confortante e probabilmente, come ha chiesto il presidente della Regione Michele de Pascale al governo occorrono subito misure straordinarie – dagli ammortizzatori sociali ad altri sostegni – per permettere a tanti settori di trasformarsi senza lasciare sul tappeto migliaia di disoccupati. Vedremo che succederà. Intanto guardiamo allo stato dell’economia industriale dell’Emilia-Romagna che, secondo gli ultimi dati diffusi da Unioncamere, ha chiuso il 2024 con un calo della produzione e del fatturato di circa il 3%, penalizzata dal rallentamento della domanda interna (-5%). Tuttavia, le esportazioni si sono mantenute stabili (-0,2%), segno della competitività internazionale delle imprese regionali. I settori più colpiti sono stati la moda (-8%) e la metallurgia (-5,1%), mentre solo l’industria alimentare ha registrato una crescita (+1,8%). Infine la domanda di credito da parte delle imprese è rimasta debole nel 2024, nonostante la riduzione dei tassi di interesse, mentre i prestiti alle famiglie sono tornati a crescere (+1,1% a dicembre). Un quadro non incoraggiante, sul quale le istituzioni devono intervenire. Altrimenti di crisi come quelle di Gaggio, Perla e Berco ne vedremo tante altre. Purtroppo.
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