L’ex presidente è accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale per migliaia di omicidi, esecuzioni e torture commessi dalle sue “squadre della morte” durante quella che chiamava «guerra alla droga». I report parlano di 7mila persone uccise, le stime degli attivisti arrivano a 30mila, compresi innocenti e bambini. È finito in manette dopo aver perso la “protezione” del dittatore Marcos jr
Arrivava da Hong Kong Rodrigo Duterte, ex presidente delle Filippine, quando lunedì 10 marzo è stato preso in custodia all’aeroporto di Manila dalle autorità. È accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale dell’Aia per migliaia di omicidi extragiudiziali, esecuzioni sommarie e torture commessi dalle sue “squadre della morte” durante quella che lui chiamava «guerra alla droga».
Dal 2016 al 2022, durante la sua presidenza, sono state uccise 7mila persone – dicono i registri della polizia -, ma il numero è assai più alto se si leggono le stime degli attivisti per i diritti umani, secondo cui i morti sono 30mila. Tra loro, migliaia di innocenti e 130 bambini. Duterte è stato raggiunto da un mandato d’arresto dell’Interpol che l’ufficio del presidente Marcos ha deciso improvvisamente di far valere.
«Che crimine ho commesso?», ha chiesto il caudillo in un video diffuso da sua figlia: ho fatto tutto, ha chiosato, solo «per i filippini». Ammiratore di Adolf Hitler, in passato Duterte ha dichiarato apertamente di essere «felice di massacrare» milioni di spacciatori e tossicodipendenti come il nazista aveva fatto con gli ebrei.
La Corte penale ha aperto le indagini contro l’autocrate nel 2018: un anno dopo, all’epoca in carica, Duterte ha ritirato Manila dalla giurisdizione del tribunale internazionale, ma l’inchiesta è andata avanti (i crimini sono stati commessi quando le Filippine erano ancora pertinenza della Corte).
Potere ereditario e crisi politica sistemica
L’ex presidente comunque non è l’unica sciagura delle isole-gemme del Pacifico: lo sfacelo politico filippino è sistemico, quasi genetico. Il potere tra gli atolli asiatici non si conquista, si eredita per diritto di nascita, si tramanda di padre in figlio. Anzi, figlia: finora Duterte è rimasto a piede libero perché sua figlia Sara è vicepresidente del paese e fino a qualche mese fa andava perfettamente d’accordo con il suo capo, il presidente Marcos jr. Anche lui è figlio d’arte: suo padre, il dittatore Ferdinand Marcos, è stato accusato al pari di aver commesso crimini contro l’umanità.
Se finora all’ex presidente non era stato torto un capello – letteralmente – è perché Marcos, fino al 2023, ribadiva che nelle Filippine «non avrebbero alzato un dito» per favorire l’arresto voluto dalla Corte penale. Quella era però l’epoca in cui l’accordo trovato tra le due casate politiche ancora reggeva: nel 2022, pur di non averla come rivale, Marcos aveva proposto a Duterte figlia la vicepresidenza, a patto che si ritirasse dalla corsa elettorale che poi lui ha conquistato. L’alleanza si è incrinata poco dopo.
A novembre scorso Sara ha mostrato quanto è davvero figlia di suo padre quando ha ammesso di aver ingaggiato un killer per assassinare Marcos, sua moglie e anche il presidente della Camera Martin Romualdez (cugino del presidente): sarebbe entrato in azione se avessero ammazzato lei. Dopo la conferenza stampa in cui la sua nemica fantasticava sulla sua morte e di disseppellire i resti del cadavere di suo padre «per gettarli nel mare delle Filippine occidentali», il 31 dicembre scorso Marcos ha firmato l’ordine esecutivo per estromettere Sara e suo padre dal Consiglio di sicurezza.
Qualche settimana dopo, a gennaio, un alto funzionario del suo governo ha dichiarato che ci sarebbe stata una «risposta favorevole» di Manila in caso di arresto dell’ex presidente.
Una guerra tra famiglie
La caduta di Duterte padre avviene chiaramente nel solco di disgrazia in cui si trova già sua figlia: a febbraio, tra gli applausi in aula dei deputati, 215 membri su 306 alla Camera di Manila hanno deciso di votare a favore dell’impeachment di Sara. È accusata di corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici (precisamente 612 milioni di pesos, oltre dieci milioni di euro, per scopi «sensibili e riservati» nel 2023).
Serve ancora l’approvazione definitiva del Senato, ma che una delle due famiglie stia facendo guerra alla rivale è ormai evidente dalle manette strette lunedì attorno ai polsi dell’ex presidente.
Nella faida-telenovelas sanguinosa tra le due famiglie più potenti delle Filippine, l’indagine della Corte rischia di essere politicizzata, di diventare una pallottola nella canna di Marcos che vuole delegittimare e indebolire gli avversari per timore delle prossime elezioni in arrivo tra qualche mese.
Deve provare a consolidare il suo elettorato e assicurarsi il dominio in tutti gli atolli, soprattutto irrompere nella fortezza di Davao, dove è stato sindaco prima Duterte padre per vent’anni, poi prima cittadina è diventata Sara. Quando è andata via, ha lasciato la poltrona a suo fratello Sebastian.
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