Per cosa manifesterà la piazza del 15 marzo?


Per cosa manifesterà la «piazza europeista» del 15 marzo? A giudicare dalle adesioni, è certo che chi ci sarà avrà idee molto diverse sull’Europa, spesso idee radicalmente opposte. «Zero bandiere di partito, solo bandiere europee»: ha scritto l’ideatore della manifestazione, Michele Serra. Giusto, ma accanto alla bandiera europea dovrebbe essercene un’altra: quella della pace. Una bandiera che impedirebbe ai governi europei di mettere il cappello, anzi l’elmetto, a una manifestazione di popolo «per la libertà e l’unità dei popoli europei».

Libertà” è la parola con cui J. D. Vance è venuto in Europa a predicare l’osceno verbo trumpiano Make Europe Great Again. Ma non è evidentemente quella, la libertà che vorremmo: e allora qual è? La risposta dei governi europei – riuniti a Londra, cioè significativamente fuori dall’Unione – è stata chiara: la libertà di armarsi, e prepararsi alla guerra. Tutta la spesa pubblica che fino a ieri pareva impossibile all’Europa dell’austerità e del mercato (né scuola, né ospedali), oggi è magicamente invece disponibile: purché quei soldi si spendano in armi. Bisogna difendersi dal nuovo Hitler, ci si dice. Dimenticandosi che era lo stesso Putin che, nel 2001, combatteva come campione dei valori occidentali contro l’impero del male islamico (curiosamente, anch’esso popolato da tanti nuovi Hitler: Saddam Hussein, Arafat, Gheddafi, Assad, Sinwar, Nasrallah …): un precedente che dovrebbe insegnare a diffidare della propaganda che incita alla guerra.

D’altro canto, gli stessi Stati europei che oggi si ergono a difensori dell’aggredito ucraino non hanno avuto scrupolo a farsi aggressori in anni recentissimi: in Iraq, in Afghanistan, in Siria, in Libia, in Libano, appunto. In Palestina, poi, si sono prontamente allineati dalla parte del carnefice, contro la vittima, sino alla soglia della plausibilità del genocidio. “Dal fiume al mare” è la realtà dei fatti: solo che è la realtà imposta da Israele. Quel che i palestinesi nemmeno possono dire, gli israeliani possono fare. È questa la giustizia dell’Europa? Farsi scudo dei valori quando conviene, ignorarli quando non conviene? I valori o valgono o non valgono. E se non valgono per alcuni, non valgono per nessuno: divengono il velo d’ipocrisia dietro cui nascondere l’interesse.

Quando poi, dopo la devastazione di interi Paesi, ampie fasce di popolazioni si sono mosse alla ricerca di condizioni di vita decenti, l’Europa ha reagito alzando muri e affidando la propria “sicurezza esterna” ad aguzzini e torturatori conclamati. Ora è addirittura in vista la negazione di un diritto umano centrale nell’ordinamento internazionale successivo alla seconda guerra mondiale: il diritto d’asilo, che la Commissione europea – la stessa che prepara piani da centinaia di miliardi di euro in armamenti – chiede alla Corte di Giustizia di negare, senza nemmeno il fastidio di dover cambiare la normativa in materia. Sicuri saranno i Paesi che i governi europei proclameranno tali; e, in attesa di esservi ricondotti, gli esseri umani in fuga dalle persecuzioni saranno detenuti in campi collocati al di fuori dai confini dell’Europa, là dove persino il diritto alla difesa non potrà essere pienamente esercitato.

Il ceto di governo europeo, che si è pervicacemente rifiutato di provare a mettere al tavolo delle trattative Ucraina e Russia (perché non poteva farlo continuando a predicare una impossibile “vittoria” contro la Russia nucleare), oggi ripete che la strada è «riarmare l’Europa». Dove il prefisso è veramente inquietante: riarmarla come prima della Seconda guerra mondiale. Con quale scopo? Difenderci dalla Russia, dalla Cina, da un’America impazzita (le cui basi nucleari costellano il nostro continente) che potrebbe attaccare la Groenlandia danese? Dove si ferma la retorica di un preteso realismo, che assomiglia sempre di più a un interessato terrorismo bellicista? Se dirotteremo ciò che resta della spesa sociale in armi, non succederà forse che i cittadini europei, sempre più disperati e senza una vita decente, rifiuteranno definitivamente questa democrazia, portando le estreme destre al governo davvero ovunque? È per questa Europa che dovremmo manifestare? Per l’Europa, cioè, che, promuovendo le disuguaglianze e alimentando la violenza nelle relazioni internazionali, costruisce all’estrema destra neofascista un presente, e un futuro, di trionfi elettorali? Un’Europa armata fino ai denti, ma senza unità politica e divisa in stati nazione governati da nazi-fascisti: l’idea di Ventotene rovesciata nel suo mostruoso contrario. Un rischio decisamente più certo e attuale (nel senso che è già in atto in molti paesi) della volontà presunta di Putin di inghiottire tutta l’Europa.

Le responsabilità dei tecnocrati “europeisti” (stirpe oggi rappresentata da Mario Draghi, instancabile profeta delle armi), sono enormi. In un agghiacciante passo dell’autobiografia di Guido Carli – l’uomo che per l’Italia firmò il Trattato di Maastricht – si afferma candidamente il dogma per cui «l’Unione Europea implica la concezione dello “Stato minimo”, l’abbandono dell’economia mista, l’abbandono della programmazione economica, la ridefinizione delle modalità di composizione della spesa, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari e aumenti quelle dei governi, l’autonomia impositiva per gli enti locali, il ripudio del principio della gratuità diffusa (con la conseguente riforma della sanità e del sistema previdenziale), l’abolizione della scala mobile […], la drastica riduzione delle aree di privilegio, la mobilità dei fattori produttivi, la riduzione della presenza dello Stato nel sistema del credito e nell’industria […] l’abolizione delle normative che stabiliscono prezzi amministrati e tariffe». È la fotografia millimetrica del disastro dell’Europa di Maastricht – un’Europa di capitali liberi, e popoli schiavi –, della fine dello Stato sociale, della divisone radicale tra ricchi e poveri, della delocalizzazione della produzione; e anche, tutte intere, di idee come l’autonomia differenziata, o la torsione esecutivista della democrazia (oggi da noi si chiama “premierato”, in Ungheria semi-dittatura). Ed è la fotografia millimetrica dell’Europa che non ha esitato, in difesa del suo unico vero valore – la moneta –, a devastare una società come quella greca, infliggendole una tragedia epocale che valesse da monito per tutti coloro che anche solo osassero pensare a non allinearsi. Tutti questi delitti sono stati commessi in nome dell’Europa: e oggi manca solamente l’ultimo, quello della guerra.

La manifestazione del 15 marzo non servirà a molto, e potrebbe perfino assecondare lo scivolamento verso la guerra (al di là delle intenzioni di promotori e partecipanti), se non ci diciamo onestamente queste cose, se non decidiamo, come avrebbe detto Stefano Rodotà, di invertire la rotta. Il solo modo per opporci al neofascismo di Trump è rifiutarsi di regalare l’Europa ai neofascisti nostrani. Non è un’esagerazione. È quel che accade già oggi non solo a Est, con Macron che si appoggia alla destra lepenista, pur di non cedere alle richieste di giustizia sociale della sinistra e con Enrico Letta che sceglie di non allearsi, nemmeno tramite desistenze, con il Movimento 5 stelle, pur sapendo che, in tal modo, regalerà un’ampia e scontata maggioranza parlamentare all’estrema destra neofascista (minoritaria nel voto proporzionale).

«Qui o si fa l’Europa o si muore», ha scritto Serra, ma se continuiamo a farla come l’abbiamo fatta, e ora imbocchiamo anche la strada della guerra, quell’«o» disgiuntivo rischia di trasformarsi nella congiunzione «e»: si fa l’Europa e si muore. L’urgenza – assoluta – è la pace. Come insegnava Norberto Bobbio, in assenza della pace, il primo effetto è la riduzione della democrazia e dei diritti a formule vuote, di cui si può fare a meno: e di cui, infatti, gli stessi elettori sempre più pensano di poter fare a meno.

È per questo che la bandiera della pace accanto a quella europea direbbe la cosa più importante: stiamo dalla parte dei popoli europei, anche di quello ucraino. Li vogliamo vivi.



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