perché l’estrema destra tifa per Georgescu e cosa succede in Romania


La narrazione di quel che sta accadendo a Bucarest finisce polarizzata, tra chi riduce la storia a un Georgescu filorusso e chi – trumpiani in testa – diffonde la notizia falsa che sia stata l’Ue a far saltare tutto. Georgescu ha molte più ombre oltre a quella di Mosca, e in questa vicenda non ci sono eroi immacolati

Questo martedì alle 17 la Corte costituzionale romena si riunirà per stabilire se l’esclusione di Călin Georgescu dalle presidenziali è confermata. In Romania si assiste a scontri, a mercenari senza scrupoli che danno ordine di usare la violenza, e a una saldatura di convenienza tra Georgescu e un altro leader di destra estrema, George Simion di Aur. Quest’ultimo suggerisce che «gli autori del colpo di stato andrebbero scuoiati in piazza» e non esclude di capitalizzare lui il consenso alle elezioni qualora ci sia effettivamente l’esclusione. Aur è alleato di Giorgia Meloni nei Conservatori europei, e in queste ore il capogruppo meloniano di Ecr Nicola Procaccini prende posizione pubblicamente per Georgescu. Altrettanto hanno fatto Salvini e Vannacci. E che dire di Musk, scatenato sul caso Bucarest come con AfD?

Una storia piena di ombre

La narrazione di quel che sta accadendo in Romania finisce polarizzata, tra chi riduce la storia a un Georgescu filorusso e chi – vicepresidente trumpiano J.D. Vance in testa – diffonde la notizia falsa che sia stata Bruxelles a far saltare tutto. Georgescu ha molte più ombre oltre a quella di Mosca: ha ripetutamente dichiarato il falso, si ispira al fascismo romeno (il legionarismo) combinato con la retorica di Ceaușescu, ha beneficiato del supporto dei servizi segreti e si è legato a personaggi controversi e brutali come Horațiu Potra, a capo di un gruppo mercenario; uno che non solo incita alla violenza e fa capatine in Russia, ma gli procurava finanziamenti sostenendo già da anni che Georgescu godesse del supporto della galassia trumpiana e che volesse «aprire le miniere» di Romania. Quando meloniani e destra italiana fanno accorati appelli per Georgescu, è su tutto ciò che stanno mettendo la faccia.

«Fino a inizio anno si poteva pensare che Georgescu fosse solo un burattino al servizio dei giochi russi in Europa dell’est, ma è chiaro ormai che il ruolo della Romania è più importante per l’amministrazione Trump», dice a Domani l’editorialista Boróka Parászka. «Stanno usando il paese e questa vicenda per indebolire l’Ue». È vero pure che in questa storia non esistono eroi senza macchia, tanto che il Pnl, il partito dell’ormai ex presidente che diceva di ancorare il paese alla Nato, pare aver finanziato la campagna di Georgescu per propri giochi politici. «L’intervento russo nell’ascesa di Georgescu è innegabile, ma pesa pure la crisi interna della democrazia romena: il sistema post Novanta è al capolinea», constata lo storico dell’Europa orientale Stefano Bottoni.

Il rischio della crisi politica

A dicembre la Corte costituzionale aveva annullato il primo turno delle presidenziali (quello con Georgescu in testa) sulla base di documenti desecretati in cui il ministero degli Interni descriveva la manipolazione della campagna su TikTok, l’intelligence romena asseriva che l’operazione potesse essere stata coordinata da un attore a livello statale e quella straniera che la Romania è obiettivo della guerra ibrida russa. Dopo l’appello all’unità anti Mosca, il Pnl ha ottenuto che il suo ex leader Crin Antonescu si candidasse col sostegno dei socialdemocratici: Ciolacu si è ritirato dalla corsa ma è stato riconfermato premier. Georgescu intanto volava nei sondaggi. A fine febbraio è stato fermato dalla polizia: i pubblici ministeri lo hanno accusato di incitamento contro lo stato, creazione di organizzazione estremista e di aver incassato l’influenza straniera; un mix di denaro russo e servizi segreti.

Domenica l’ufficio elettorale ha respinto la sua candidatura al primo turno del 4 maggio (le si raccoglie entro sabato) facendo riferimento sia ai precedenti pronunciamenti della Corte che alla violazione delle norme elettorali da parte di Georgescu. Il suo braccio destro Horațiu Potra – latitante dopo che è stato scoperto il suo deposito di armi, esplosivi e lingotti – ha incitato alla rivolta armata dei militari. Simion, alleato di Meloni, ha invocato il linciaggio di chi ha escluso Georgescu e ha fatto appello agli alleati internazionali. «Come può un giudice porre fine alla democrazia in Romania?», è accorso Musk. Si sono registrati scontri violenti. Dice bene Vig Emese, direttrice di Transtelex: «La questione non è più se Georgescu potrà candidarsi, ma quale prezzo la Romania pagherà per l’aggravarsi della crisi politica». E a vantaggio di chi.

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