Quando conviene lasciare soldi e liquidit� sul conto corrente nonostante tutti parlino di investire


In un contesto economico caratterizzato da un’inflazione persistente e da rendimenti finanziari altalenanti, molti risparmiatori italiani scelgono di mantenere una parte del proprio patrimonio sul conto corrente. Se da un lato questa scelta garantisce liquidità immediata e sicurezza apparente, dall’altro comporta diversi rischi finanziari e costi nascosti da conoscere per evitare di compromettere il proprio benessere economico nel lungo periodo:


  • L’erosione del potere d’acquisto, il rischio dell’inflazione

  • Costi diretti, le spese bancarie che pesano sui risparmi

  • Quando conviene mantenere liquidità sul conto

L’erosione del potere d’acquisto, il rischio dell’inflazione

Uno dei pericoli legati al mantenimento di somme ingenti sul conto corrente è l’inflazione ossia l’aumento dei prezzi dei beni e dei servizi. Quando l’inflazione è alta, il potere d’acquisto della moneta si riduce e porta a una perdita reale del valore dei risparmi. Per esempio, con un tasso d’inflazione del 5% annuo, 10.000 euro oggi varrebbero 9.500 euro tra un anno, senza che il risparmiatore se ne accorga.

Mantenere la liquidità ferma sul conto corrente significa subire una perdita silenziosa ma costante. Questo effetto è evidente nei periodi in cui i tassi d’interesse sui conti correnti sono bassi o addirittura nulli, come accade in molte banche italiane. La situazione diventa ancora più critica se si considerano i conti correnti a tasso zero, dove il denaro non produce alcun rendimento e, di conseguenza, l’inflazione agisce come una sorta di tassa occulta sul patrimonio.

Quando si parla di conto deposito occorre ricordare che non è tutto oro quel che luccica. Al di là dei rendimenti nella fase promozionale, bisogna distinguere tra il netto e il lordo, aggiungere le spese di bollo – come vedremo meglio nel paragrafo successivo – e comprendere se per un guadagno di poche decine di euro vale la pena immobilizzare il capitale per un anno o anche più.

Costi diretti, le spese bancarie che pesano sui risparmi

Oltre all’inflazione, chi mantiene grandi somme sul conto corrente deve fare i conti con i costi diretti associati a questo strumento finanziario. Tra questi l’imposta di bollo, le commissioni di gestione e le spese accessorie. L’imposta di bollo, ad esempio, ammonta a 34,20 euro l’anno per i conti correnti con una giacenza media superiore ai 5.000 euro, una cifra che può sembrare modesta ma che, su un lungo periodo, incide sui rendimenti effettivi del capitale.

A queste spese si aggiungono le commissioni bancarie, che possono variare in base all’istituto di credito e al tipo di operazioni effettuate. Alcuni conti correnti applicano costi per i bonifici, le carte di pagamento e persino per la semplice tenuta del conto. In media, mantenere un conto corrente può costare tra i 50 e i 150 euro all’anno, una cifra che, sommata all’effetto dell’inflazione, può portare all’erosione del capitale.

I risparmiatori sono quindi chiamati a considerare il costo opportunità, ovvero il mancato guadagno che si sarebbe potuto ottenere investendo la liquidità in strumenti finanziari remunerativi. Lasciare i soldi fermi sul conto corrente significa rinunciare a rendimenti potenziali, che potrebbero compensare almeno in parte i costi diretti e l’inflazione.

Quando conviene mantenere liquidità sul conto

Per chi ha meno di 10.000 euro sul conto, mantenere il capitale disponibile è quasi sempre la scelta migliore. Anche sotto i 20.000 euro, la necessità di avere fondi subito disponibili può superare i vantaggi di eventuali investimenti a breve termine.

Facciamo un esempio pratico: se si dispone di 15.000 euro e si investe in un prodotto con un rendimento annuo del 3%, si otterrebbero 450 euro di interessi lordi. Ma questa somma è soggetta alla tassazione del 26% e riduce il guadagno netto a 333 euro. In molti casi, per ottenere questi rendimenti è necessario vincolare il denaro che limita la disponibilità in caso di necessità improvvise.

Situazione analoga per chi possiede 5.000 euro: con un rendimento del 3%, si otterrebbero 150 euro lordi, che dopo la tassazione si ridurrebbero a 111 euro netti. Anche in questo caso, il guadagno potrebbe non giustificare il blocco dei fondi in un investimento.

Il tutto senza dimenticare l’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito, inclusi quelli vincolati (ma solo al termine del vincolo). La banca trattiene automaticamente l’importo, che deve essere pagato entro il 31 dicembre di ogni anno. L’ammontare è di 34,20 euro per saldi superiori a 5.000 euro, mentre per importi inferiori si applica una cifra ridotta (circa 2 euro). Se il conto è intestato a una società o un professionista, l’imposta sale a 100 euro.

Il calcolo dell’imposta segue due modalità. La tassa fissa viene applicata se la giacenza media del conto corrente supera i 5.000 euro, mentre la tassa proporzionale dello 0,20% si applica su somme vincolate investite in strumenti finanziari, come obbligazioni o titoli di Stato. Se l’estratto conto è trimestrale o semestrale, l’imposta viene ridotta proporzionalmente.

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