di Enrico Chiavacci – Coordinatore per Fisac Cgil Toscana delle BCC
Immagine Marco Merlini – Collettiva
Il ddl 1236 (ex-1660) cosiddetto “Sicurezza”, è un provvedimento liberticida di una gravità senza precedenti nella storia repubblicana del nostro Paese. Un decreto che attraverso la creazione chirurgica di nuove fattispecie di reati ed enormi aumenti di pena per quelli già esistenti, mira espressamente a criminalizzare e colpire il diritto di sciopero e le lotte sindacali, ma anche le manifestazioni antimperialiste, a partire da quelle contro il genocidio del popolo palestinese a Gaza ed in Cisgiordania.
Demonizzando ed impedendo le proteste, sono messi all’indice anche i movimenti di lotta per il diritto alla casa, quelli contro il cambiamento climatico e contro le grandi opere che devastano l’ambiente, così come le proteste anche non violente nelle carceri e nei centri di detenzione dei migranti.
Allo stesso tempo il ddl aumenta la tutela delle forze repressive dello Stato, donando una sostanziale immunità ai corpi militari ed ai servizi segreti coinvolti in questa ed in altre repressioni. Un atto che ha avuto la sua appendice nel Daspo urbano e nelle “zone rosse”, provvedimenti anch’essi della stessa portata politica del codice Rocco di mussoliniana memoria che, assieme al premierato (che rimane un obiettivo dichiarato del governo Meloni), all’autonomia differenziata, alle controriforme giudiziarie, scolastiche e universitarie ed all’aumento delle spese militari, consolida e completa l’assetto istituzionale di stampo neofascista perseguito già dalla P2 di Licio Gelli, che trovava già allora apparati dello Stato complici ed interessati.
È illuminante infatti dare lettura al testo integrale del “Piano di rinascita democratica” della Loggia P2, sequestrato a M. Grazia Gelli nel luglio 1982 (consultabile qui), per capire fino in fondo a che punto siamo oggi, e quanto poco manchi alla sua completa realizzazione di stampo eversivo.
Da qui emerge la necessità di rafforzare e proseguire la battaglia contro il ddl insieme a chiunque vorrà stare dentro ad una mobilitazione unitaria che abbia come unico punto all’ordine del giorno il blocco di questo provvedimento legislativo. Per riuscirci, serve coinvolgere un’area della società molto più ampia di quella abitualmente attiva in questa lotta.
La Rete “A pieno regime” alla quale la Cgil aderisce è ampia ed eterogenea, ma per replicare i centomila di piazza del Popolo dello scorso 14 dicembre ed andare oltre, c’è bisogno di dialogare e di aprire anche ad altri organismi, a partire dalla “Rete Liberi e Libere di lottare contro il ddl Sicurezza”, anch’essa da mesi in prima linea per fermare il decreto.
Tutte le altre questioni che possono essere divisive, pur importanti che siano in altri contesti, in questo momento devono rimanere subalterne perché, se il blocco del ddl è uno scopo dichiarato della Cgil, ciò deve rimanere anche la priorità e il collante assoluto di ogni forma di lotta che vada in questa direzione, a partire dalla piazza. Un principio essenziale anche perché, nel caso il decreto fosse approvato dal parlamento visti i numeri, sarà importante continuare a contrastarlo con una grande manifestazione di protesta nel giorno dell’approvazione, e comunque lavorando per promuovere un referendum per abrogarlo.
Per vincerlo, al pari dei 5 quesiti di primavera che ci apprestiamo ad affrontare in una campagna per il SÌ che ha avuto il suo battesimo all’Assemblea delle Assemblee Generali di tutte le categorie il 12 e 13 febbraio a Bologna, occorrerà più che mai costruire un fronte quanto più vasto possibile incentrato sull’obiettivo specifico del referendum. Perché allora non lavorare in questa direzione fin da subito anche su ddl e, per fare un ulteriore esempio, sull’autonomia differenziata che rimane, minacciosa, all’orizzonte?
La battaglia per respingere il ddl Sicurezza è quindi appena agli inizi, e la Cgil per storia, portata e capacità di mobilitare, rivestirà senz’altro un ruolo di primo piano anche nel suo indispensabile allargamento.
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