«Considerata la situazione articolata che sta coinvolgendo il partito in Sicilia da diversi anni e ritenendo tutti responsabili di tale situazione, me compreso, ho deciso di dare un segnale importante a tutta la classe dirigente, nella speranza che si possa trovare finalmente unità di intenti sulle scelte e le azioni da mettere in campo». Parole e musica di Manlio Messina, che in questo modo aveva annunciato le sue dimissioni da vicepresidente del gruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, causando un effetto domino che ha portato al reset delle figure apicali del partito in Sicilia. Ma quando l’ex assessore al Turismo della Regione siciliana parlava della necessità di ritrovare unità di intenti, a chi si riferiva? E quale sarà il destino dei Fratelli di Sicilia?
Partiamo dall’inizio. In un partito come quello di Giorgia Meloni parlare di correnti è quanto meno riduttivo, visto che ogni esponente di spicco, nel suo piccolo, tende a reclamare un ruolo da protagonista sullo scenario politico quanto meno regionale. Ma giusto per fare la conta dei raggruppamenti, in Sicilia ce ne sono almeno tre. Il primo è quello legato proprio a Manlio Messina, la cosiddetta corrente turistica, che oltre all’ex assessore comprende anche il suo successore, Francesco Paolo Scarpinato, e la sua successora, Elvira Amata, attuale titolare della poltrona. Guardando a Roma, con Manlio Messina ci sono anche Raoul Russo e per certi versi anche il ministro Lollobrigida: in pratica la squadra che ha messo in piedi il G7 di Siracusa. Ma anche altri teatrini meno edificanti: SeeSicily e l’affare Cannes, per fare qualche esempio.
C’è poi la corrente Diventerà Bellissima, quella di Nello Musumeci, forte di Giorgio Assenza, ma anche di Ruggero Razza, eletto a Bruxelles, e degli assessori Alessandro Aricò e Giusi Savarino. Approccio più morbido il loro, in particolare quello dei due in carica a palazzo d’Orleans: testa bassa e lavoro a garantire la remata nella stessa direzione in cui rema Renato Schifani; il quale in Aricò, per esempio, ha trovato il compagno di battaglie perfetto nella lotta contro i mulini a vento del caro voli. E infine c’è l’area La Russa, quella dormiente, in apparenza, ma solo in apparenza. Perché nonostante le propensioni di turbodestra del presidente del Senato, in Sicilia è guidata dal presidente dell’Assemblea regionale, Gaetano Galvagno, vera rivelazione della legislatura. A lui gran parte del merito delle leggi di stabilità approvate in tempo, dei collegati approvati in tempo, dell’unione di intenti che ha portato all’approvazione delle – a dir vero poche – norme che hanno avuto un voto favorevole all’Ars. Lui riesce a dialogare tanto con la maggioranza – le maggioranze – quanto con l’opposizione.
Fin da subito Galvagno è stato pure proposto come successore di Schifani dal redento Cateno De Luca. Ha rifiutato, spiegando che per natura e consuetudine si preferisce ricandidare il presidente uscente, ed è giusto così. Sembrava anche crederci. Ma anche gli alleati di Musumeci dicevano le stesse cose a fine legislatura. Al momento a Galvagno – oltre che al commissario Sbardella – l’arduo compito di tirare le fila di un partito che rischia l’implosione. I precedenti dicono che potrebbe pure farcela, il tempo darà le risposte.
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