ALTA SICUREZZA: QUANDO LA LOTTA ALLA MAFIA DIMENTICA LA CUSTODIA CAUTELARE


di Leo Beneduci_ La circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – Direzione Generale dei detenuti e del trattamento – 91101.U dello scorso 27 febbraio – sulla gestione del circuito Alta Sicurezza è, purtroppo, un documento che lascia senza parole. Con un colpo di mano burocratico, infatti, quella Direzione Generale ha dimenticato che la vera battaglia contro la criminalità organizzata si combatte anzitutto nella fase cautelare, non con i condannati definitivi. È sbalorditivo come tutto il documento ignori completamente che la Polizia Penitenziaria ha come compito primario l’esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale. Nella lotta alla mafia, sono proprio i provvedimenti cautelari – quelli totalmente ignorati dalla circolare – a rappresentare il momento più delicato e cruciale dell’intervento statale. L’estensore mostra di essersi perfettamente lasciato contagiare dalla cultura istituzionale del DAP (vera e propria incultura) nel produrre un documento che è l’emblema di come la burocrazia penitenziaria nasconda le proprie incertezze dietro un linguaggio complesso e ridondante. Pagine e pagine di prosa ampollosa per non dire nulla di concreto. La confusione tra “custodia” e “trattamento dei condannati” non è casuale, ma riflette un’ambiguità profonda che pervade tutto l’approccio dell’amministrazione. Questa nebbia concettuale va a diretto discapito dei compiti di prevenzione e sicurezza della Polizia Penitenziaria, che dovrebbe lavorare in squadra nel presidio e pattugliamento delle sezioni, non in perfetta solitudine in un rapporto di forze del tutto sproporzionato. Ciò che colpisce come un pugno nello stomaco è l’assenza di un piano strategico concreto. La Direzione Generale si limita a ordinare la chiusura dei detenuti in Alta Sicurezza nelle loro celle, senza delineare un vero piano d’intervento per il ripristino dell’ordine. Come se bastasse girare una chiave per risolvere problemi strutturali che si trascinano da decenni! La circolare scarica poi le responsabilità sul personale di trincea, facendosi scudo dei Provveditori Regionali, molti dei quali già faticano a gestire i circuiti ordinari. A questi dirigenti – che non hanno competenza istituzionale sulla gestione del circuito Alta Sicurezza – viene chiesto di monitorare e riferire entro dieci giorni, senza fornire strumenti operativi o linee guida precise. È il classico scaricabarile che disimpegna i vertici decisionali, lasciando in prima linea chi già combatte quotidianamente senza risorse adeguate. Una gestione seria della questione avrebbe richiesto prima di tutto una netta distinzione tra imputati e condannati. I primi possono e devono essere sottoposti a regimi più restrittivi in base alle specifiche esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato), mentre per i secondi andrebbe privilegiato l’aspetto rieducativo, pur con le necessarie cautele di sicurezza. Sarebbe stato fondamentale elaborare un modello unico di regolamento d’istituto, per garantire uniformità di trattamento nelle diverse strutture. La circolare invece mantiene un’ambiguità che apre la porta a interpretazioni divergenti e prassi disomogenee, creando una giustizia penitenziaria “a macchia di leopardo”. Un’altra grave mancanza è l’assenza di ogni riferimento all’impiego del Gruppo Operativo Mobile (GOM) nella fase iniziale di ripristino del regime più restrittivo, misura che avrebbe potuto garantire una transizione più ordinata e sicura, proteggendo tanto i detenuti quanto gli operatori.
Il documento non si preoccupa nemmeno di ancorare le proprie prescrizioni alle norme sovranazionali sui diritti dei detenuti, limitandosi a citare vecchie circolari interne dell’amministrazione. Un approccio autoreferenziale non nuovo e già stigmatizzato da più parti che, ci perdonino il paragone, a nostro avviso rivela logiche pre-costituzionali, più vicine allo spirito dello Statuto Albertino che alla Carta del 1948. Il linguaggio stesso del documento è una rivelazione: verboso, ridondante, pieno di formule standardizzate che servono più a dimostrare l’autorevolezza dell’estensore che a comunicare contenuti chiari. Una prolissità che nasconde un vuoto di sostanza, l’incapacità di affrontare in modo diretto i problemi reali che affliggono il nostro sistema penitenziario e che appare oramai, la principale caratteristica dell’attuale gestione del Dap. Questa circolare rappresenta un’occasione sprecata per ripensare in modo organico la gestione del circuito Alta Sicurezza. Invece di proporre soluzioni innovative, si limita a ribadire vecchie prassi, confermando una visione del carcere ancora troppo ancorata al passato, incapace di bilanciare efficacemente sicurezza e modi di limitazione della libertà personale. In conclusione, consapevoli degli effetti e soprattutto dei risultati concreti sul territorio di tale disposizione, degli insoliti accorgimenti che verranno adottati, ovvero di chi e come ne subirà le conseguenze, confermiamo a noi stessi la constatazione che nell’attuale Amministrazione penitenziaria centrale si riesca a rendere sbagliato e deleterio anche ciò che inizialmente poteva apparire giusto.

Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP

Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria

Ufficio Stampa OSAPP



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link