Caffaro, la campagna Ecogiustizia arriva a Brescia


La campagna Ecogiustizia Subito arriva nel comune lombardo segnato dall’inquinamento da pcb. La giustizia ha condannato l’azienda a pagare, ora le associazioni chiedono di usare quei fondi per accelerare sulla riqualificazione delle aree contaminate

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Redazione
lavialibera

12 marzo 2025

Avviare una nuova campagna di monitoraggio, sbloccare le bonifiche e formulare un piano per la riqualificazione delle aree contaminate: è quanto chiede la campagna Ecogiustizia subito – In nome del popolo inquinato per Brescia, da decenni avvelenata dalle attività dello stabilimento chimico Caffaro. L’iniziativa, promossa da Legambiente, Libera, Azione cattolica, Acli, Agesci e Arci, giunge mercoledì 12 marzo nel comune lombardo dopo aver fatto tappa in altri territori segnati da disastri ambientali: Casale Monferrato (Alessandria), Taranto, Porto Marghera (Venezia), Augusta, Priolo e Melilli (Siracusa) e Napoli per la terra dei fuochi

Cosa sono i crimini ambientali?

Caffaro di Brescia, storia di un disastro ambientale

La storia della Caffaro inizia più di cent’anni fa, nel 1906, quando nella zona ovest di Brescia, a meno di un chilometro dal centro storico e a ridosso di quartieri densamente popolati, è sorto uno stabilimento chimico per la produzione di soda caustica. Nei decenni successivi l’azienda ha diversificato le attività, arrivando a lavorare anche derivati del cloro, alcuni dei quali cancerogeni e non degradabili, ma soprattutto apirolio, una miscela di policlorobifenili (pcb) impiegata per lubrificare e raffreddare trasformatori e altri apparecchi elettrici, di cui Caffaro deteneva la licenza esclusiva in Italia concessa dalla multinazionale americana Monsanto. L’azienda continuerà a produrre apirolio e sversare i residui nei canali di irrigazione fino al 1984, quando i pcb vengono messi al bando per gli effetti nocivi, mentre nel 1997 è costretta a interrompere anche la produzione autonoma di cloro e l’impiego di mercurio

Il Sin Brescia-Caffaro copre 262 ettari di suolo, 2100 di falde acquifere e 45 chilometri di canali, ma per Arpa l’area contaminata è molto più estesa

Intanto, però, queste sostanze hanno contaminato le falde acquifere e i terreni agricoli sottostanti fino a raggiungere il sangue della popolazione locale attraverso la catena alimentare, come hanno accertato le analisi condotte dalle autorità sanitarie nei primi anni Duemila. Così, nel 2002 il parlamento ha approvato la legge che ha istituito il Sito di interesse nazionale (Sin) Brescia-Caffaro, riconoscendo il grave inquinamento e la necessità di una bonifica. Il Sin copre 262 ettari di suolo, compreso lo stabilimento dell’industria, i terreni agricoli e i quartieri circostanti, oltre a 45 chilometri di canali d’irrigazione e 2100 ettari di falde acquifere sotterranee, ma le indagini condotte successivamente da Arpa stimeranno a 700 ettari l’area gravemente inquinata, per un totale di 11mila persone residenti. 

Come raccontiamo i territori inquinati

Nel 2009, Caffaro Chimica è stata messa in liquidazione senza l’impegno a provvedere alla bonifica. Lo stesso anno, il ministero dell’Ambiente ha siglato con gli enti locali coinvolti (Regione Lombardia, Provincia di Brescia e i Comuni di Brescia, Castegnato e Passirano) il primo accordo di programma quadro “per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica” del sito, stanziando 6,7 milioni di euro a questo scopo. Gli interventi hanno preso avvio nel 2014, quando il governo ha deciso anche di nominare un commissario straordinario per il sin Brescia-Caffaro. 

Chi inquina paga

Lo scorso ottobre, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato la sentenza dei giudici di Milano che hanno riconosciuto la responsabilità dell’azienda

In parallelo si è mossa la giustizia: nel febbraio del 2021, la procura di Brescia ha disposto il sequestro di parte dell’area per disastro ambientale, a cui è seguita la richiesta di rinvio a giudizio per quattro ex dirigenti dello stabilimento. Lo stesso anno, la Corte d’appello di Milano ha riconosciuto la responsabilità di LivaNova, la multinazionale che nel frattempo aveva inglobato la società che controllava Caffaro, per il disastro ambientale, sentenza confermata lo scorso ottobre dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Gli ultimi sviluppi risalgono al 26 febbraio scorso con l’udienza in Cassazione: secondo la stampa locale, i giudici avrebbero condannato LivaNova a un risarcimento di 250 milioni di euro, notizia smentita dall’azienda secondo cui non sarebbe ancora stata emessa una sentenza. Ora si attendono i documenti ufficiali della Corte.

Monitoraggio, bonifica, tavolo al Ministero: cosa chiedono le associazioni

La tappa bresciana della campagna Ecogiustizia si concluderà con la discussione e la firma di un patto di comunità. Tra le proposte avanzate dalle associazioni promotrici il monitoraggio della attività agricole, dei prodotti alimentari e del sangue della popolazione, l’ampliamento del Sin alla luce di nuove analisi dei terreni, lo sblocco degli interventi di bonifica e messa in sicurezza delle aree private sia agricole che residenziali, la formulazione di un piano strategico per la riqualificazione eco-compatibile e l’istituzione “urgente e improcrastinabile” di un tavolo che riunisca il ministero dell’Ambiente, la Regione e i Comuni coinvolti.

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