Nella lingua anglosassone esiste un detto che recita: “Se non leggi i giornali non sei informato, ma se li leggi sei informato male”.
L’aforisma è nato in merito alla crescente presenza di fake news che contaminano le notizie dei quotidiani e inquinano il dibattito pubblico, trascinando con sé ripercussioni sulle scelte politiche degli elettori. Ma aldilà delle notizie false, intenzionalmente prodotte per sviare l’attenzione e far cadere in errore il lettore, un altro grave problema è l’assenza stessa di notizie.
Il non essere costantemente aggiornati su ciò che accade nel mondo può, in realtà, portare beneficio alla salute mentale di molti individui che si ritrovano ingolfati in quel loop di notizie, articoli, podcast, newsletter e telegiornali. La ricerca costante di informazioni è in aumento negli anni e il crescente numero di formati che permettono di usufruire di qualche servizio informativo ha fatto emergere una nuova dipendenza: la news addiction.
Ci si deve davvero preoccupare costantemente di quello che succede nel mondo, con il rischio di trascurare ciò che accade a due passi da noi?
Da un lato il rischio di non conoscere gli eventi che stanno avvengono nel mondo, di non sentirsi aggiornati e informati. Dall’altro la possibilità di perdersi nei meandri dell’informazione, togliersi le cuffiette appena terminato un podcast per puntare gli occhi su quell’articolo salvato precedentemente, cercato dopo aver visto un reel su Instagram, trovato per caso dopo minuti persi in doom scrolling.
Come possiamo sapere se i nostri canali informativi stiano effettivamente fornendo notizie di qualità? Se gli eventi del mondo siano rappresentanti all’incirca con la stessa frequenza e attenzione?
Ora, una digressione. Il conflitto in Sudan scoppiato il 15 aprile 2023 ha trasformato il paese nel protagonista della crisi più grave di sfollati interni: ci sono più di 12 milioni di persone che hanno dovuto lasciare la propria abitazione e trovare rifugio in altre aree del territorio sudanese. Se si considerassero anche i 3 milioni di individui che si sono rifugiati nei paesi confinanti il Sudan, allora quasi ⅓ della popolazione iniziale è da considerare sfollata.
L’aggressione russa all’Ucraina ha di fatto mostrato quanto il Cremlino non voglia che Kiev si avvicini alla politica europea, ha portato la guerra ai confini dell’Unione Europea e fatto vedere come la violenza di una superpotenza possa ripercuotersi su una popolazione, instillando il timore che possa accadere anche con altri membri dell’Unione. L’attacco russo all’Ucraina rappresenta un conflitto molto sentito dagli europei e di conseguenza dai suoi media.
Lo stesso discorso sarebbe applicabile per il conflitto in Medio Oriente: uno scontro storico che ha da sempre attirato l’attenzione dei quotidiani mondiali e che vede scontrarsi attori dalle enormi capacità belliche.
I tre conflitti sopracitati sono coperti dai media italiani in egual misura? Per provare a rispondere a questa domanda abbiamo utilizzato Point-out, una piattaforma italiana che, grazie all’intelligenza artificiale, permette di scovare chi scrive di determinate tematiche e di ottenere diversi tipi di informazioni e approfondimenti riguardo alla comunicazione sui media italiani.
Chiaramente, lo scopo di quest’analisi non è il confronto tra conflitti, i quali possono sicuramente assumere più o meno rilevanza, in base a diversi fattori: posizione geografica, conseguenze sulla politica nazionale e rapporti internazionali.
Il progetto è nato da un’idea di Nicola Comelli, Fabio Era e Filippo Benetti. Per capire meglio come il progetto riesca a rintracciare i contenuti e i relativi autori, abbiamo chiesto maggiori informazioni al responsabile dello sviluppo dell’applicazione, Filippo.
Cos’è Point-out e a cosa serve?
“La piattaforma di Point-out analizza quotidianamente le notizie dai principali media nazionali e locali, offrendo una mappa aggiornata dell’informazione in Italia per analisi del posizionamento e ottimizzazione dei processi di comunicazione aziendale e public relations.”
Come vengono raccolti i dati e, una volta ottenuti, come vengono analizzati? “I dati, ricevuti ogni giorno da fornitori autorizzati, vengono elaborati con diversi modelli di linguaggio adattati per compiti di comprensione del testo con l’obiettivo di classificare le news per argomento, identificare entità come persone, aziende e istituzioni e riconoscere il sentiment associato ad ogni soggetto. Grazie a un recommendation system allenato con esempi raccolti da esperti e sui pattern di pubblicazione dell’ultimo periodo, la piattaforma suggerisce creator, siti informativi e testate giornalistiche attive su specifici settori con relative informazioni di contatto.””
Attualmente, quali sono le capacità della piattaforma?
“Ad oggi, la piattaforma ha elaborato oltre 8 milioni di contenuti, mappato più di 20mila autori e circa 2mila media.”
I risultati evidenziano una notevole disparità nella copertura mediatica dei conflitti: in media, quello sudanese riceve quasi 30 volte meno attenzione rispetto al conflitto russo-ucraino e 20 volte meno rispetto a quello israelo-palestinese. Questo divario può essere attribuito a diversi fattori, tra cui la minore rilevanza geopolitica ed economica del Sudan per le potenze occidentali, la scarsa presenza di corrispondenti internazionali nell’area e l’assenza di un forte coinvolgimento diretto di attori globali nel conflitto.
Tale gap mediatico raggiunge picchi ancora più elevati andando a guardare la copertura nei singoli giorni.
Ad esempio, osservando cosa succede in uno specifico giorno, cioè quello relativo ai due anni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, il 24 febbraio 2024, si nota come il numero di contenuti riguardanti il conflitto ucraino-russo sono 100 volte più numerosi rispetto a quelli sullo scontro sudanese. Osservando quello che succede il 15 aprile 2024, quindi a un anno dall’inizio della guerra civile in Sudan, tale dinamica non è però presente nei confronti delle ostilità africane.
Riguardo le testate giornalistiche che si occupano del Sudan, Avvenire è al primo posto per numero di contenuti prodotti e L’osservatore romano si piazza terzo. Quest’ultimo non rientrava nelle prime dieci redazioni che scrivono sugli altri due conflitti.
In generale, tra le prime dieci testate che trattano i tre conflitti si trovano sempre Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, il Giornale, Il Foglio, La Repubblica e La Stampa. Libero, ad esempio, rientra solamente tra i primi dieci a scrivere riguardo lo scontro israelo-palestinese, mentre è assente nelle altre due classifiche.
Misurare come le notizie vengono coperte è fondamentale per comprendere le dinamiche dell’informazione e il loro impatto sulla percezione dei conflitti. È naturale che alcuni eventi ricevano maggiore attenzione rispetto ad altri, in base a fattori come la vicinanza geografica, gli interessi geopolitici e la disponibilità di fonti. Tuttavia, essere consapevoli di queste differenze aiuta a contestualizzare ciò che leggiamo e a costruire un quadro più completo della realtà.
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