Il crepuscolo del cinema italiano





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La brillante cerimonia di premiazione dei Nastri d’Argento, che ha giustamente valorizzato i film documentari e assegnato il premio per la legalità a «Il Nibbio» sulla vicenda del sequestro di Giuliana Sgrena e della tragica uccisione di Nicola Calipari, potrebbe non ripetersi.

Il cinema italiano, infatti, è bloccato. Da quasi due anni le maestranze sono ferme e gli stessi studi di Cinecittà sono in affanno. Il motivo è chiaro: il pur discutibile meccanismo del tax credit, ovvero il credito di imposta ampliato e reso stabile dalla legge n.220 del 2016 (riforma Franceschini) fu rivisto -in peggio- dal decreto n.225/2024. La «novella» acuiva il carattere mercantile e liberista del testo, volto ad assegnare la parte maggioritaria delle risorse ai gruppi più grandi, soprattutto se connessi con società sovranazionali: leggi Netflix e piattaforme omologhe.

Una doverosa ribellione dei settori meno protetti del settore, a cominciare dalle aziende medie e piccole collocate in Italia, ha portato a diversi ricorsi alla giustizia amministrativa.

Da «Siamo ai titoli di coda» alla Confartigianato, alle sigle storiche come Anac e 100 Autori hanno manifestato la scorsa settimana – come riportato da il manifesto di mercoledì 5 marzo- davanti al Tar del Lazio, dove si è in parte avviata la discussione, che troverà forse un esito alla fine di maggio.

Sono stati messi in discussione vari aspetti punti dell’impianto governativo, non a caso in corso di riscrittura.
Al di là della non semplice evoluzione normativa (quando l’opera inizia con una stecca ne risente fino alla fine), è bene chiarire l’effetto nefasto già ottenuto: vale a dire l’agonia della produzione audiovisiva, ferma dall’estate del 2023 con risultanze drammatiche sull’occupazione e sulle tutele per chi lavora.

Del resto, si tratta di un sistema per sua natura afasico già oggetto di incaute promesse di una organica riforma rimasta al palo da tempo.
Ma ora la crisi è diventata abnorme e suscita un amaro imbarazzo il silenzio dei pur loquaci ministri e sottosegretari/e interessati/e.

Parliamo del Ministero della cultura e di quello dell’Economia e delle Finanze, direttamente responsabili della moria.
È doveroso domandare a Giuli, Giorgetti e Borgonzoni se – dopo l’infausta esperienza di Sangiuliano- intendano bloccare la deriva o passare alla cronaca come i distruttori dell’industria italiana di maggior prestigio nel mondo.

A prescindere dalle decisioni dei tribunali, se esiste qualche visione politica (in senso proprio, non partitico, dio mio) è il momento che batta un colpo.

Si abroghino definitivamente i decreti oggetti di verifica al TAR e si offra l’opportunità al Parlamento di varare una compiuta disciplina, che garantisca davvero l’autonomia nazionale e favorisca il fondamentale tessuto delle piccole società, quelle che poi -se riescono a produrre- vincono pure i premi.

Tra l’altro, una riforma si rende inevitabile, perché gli sconvolgimenti tecnologici impongono ripensamenti profondi, a cominciare dalla tutela della creatività davanti all’assalto delle Big Tech e dell’intelligenza artificiale.

Ad esempio, l’intero capitolo del diritto d’autore va reimmaginato in un contesto in cui la vecchia coercizione tipica dell’età analogica oggi risulta persino grottesca, oltre che inefficace. Voci rubate, immagini rifatte, testi usciti dagli algoritmi ci interpellano su un che fare finalmente adatto a navigare nell’universo digitale tutelando il lavoro intellettuale.

Insomma, il brutto incidente del tax credit -figlio di una visione ristretta e tanto autoritaria quanto ridicola di una destra che suppone di issare la bandiera di una nuova narrazione- sia una sorta di errore provvidenziale, per rivoltare l’ordine degli addendi.

Comunque, si ascoltino associazioni e sindacati, perché nel chiuso delle aule ministeriali è facile non capire e sbagliare in coscienza e incoscienza.

Vediamo che succederà, ma è importante che si inquadri ciò che accade nel e sul nostro immaginario come una sequenza di una vita costruita sui saperi e sulla consapevolezza critica o -invece- sull’ignoranza. La pace passa anche da qui.

 

(Pubblicato su Il manifesto)


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