«Le carte le dà Trump». Voto su Kiev, FdI in bilico


Una tregua di 30 giorni che porta con sé la revoca immediata della sospensione degli aiuti all’Ucraina e della condivisione di informazioni di Intelligence. È la proposta che mette d’accordo Usa e Ucraina al summit di Gedda, e su cui ora Donald Trump tenterà di ottenere il placet di Vladimir Putin. Roma guarda a Washington e il tempo a Palazzo Chigi sembra come sospeso: si osservano i passi avanti compiuti in Arabia Saudita, ci si interroga su quel che accadrà nelle prossime ore. Soprattutto, se lo zar accetterà la tregua, concedendo una battuta d’arresto – si spera decisiva – a una guerra che va avanti incessante da tre anni, mentre sull’Ucraina continuano a piovere bombe. È una buona notizia che Giorgia Meloni – ieri impegnata in un bilaterale con la premier danese Mette Frederiksen – accoglie con «soddisfazione. L’Italia sostiene pienamente gli sforzi degli Stati Uniti, sotto la guida del Presidente Trump, a favore di una pace giusta che garantisca la sicurezza di lungo periodo dell’Ucraina. Ora la decisione spetta alla Russia», recita una nota diffusa in serata da Palazzo Chigi. Una nota in cui, non a caso, si rimarca l’impegno del tycoon, dopo le tensioni con l’Europa per averla tenuta fuori dai negoziati e per una lunga fila di sgambetti, a partire dalla battaglia dei dazi. Ma il procedere della trattativa «conferma che le carte le dà l’America, che senza gli Usa non si va da nessuna parte…», rimarca chi si è confrontato con la presidente del Consiglio in ore che segnano uno snodo decisivo per il conflitto. «Anche perché senza un cessate il fuoco tutto quel di cui si sta parlando in queste ore è velleitario».

LA COALIZIONE DEI VOLENTEROSI

Lo sguardo critico è rivolto ancora una volta a Parigi, dove ieri Macron ha riunito i vertici militari di oltre trenta Paesi della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” – assenti gli Usa – per confrontarsi sulle garanzie di pace in Ucraina e per discutere della possibile creazione di una forza di peacekeeping alla fine della guerra. E dove oggi torneranno a riunirsi i ministri della Difesa di Italia, Francia, Germania, Polonia e Regno Unito per «coordinare la propria azione» e il sostegno a Kiev. Ma non c’è solo Parigi nel mirino. Dallo staff della premier confermano che Meloni non ha ancora deciso se collegarsi o meno alla videocall dei volenterosi fissata per sabato dal primo ministro del Regno Unito Keir Starmer. Più che un sì o un no, Meloni attende di vedere le carte, capire cos’è che bolle in pentola. «E’ chiaro – spiegano dal suo staff – che se la riunione è fissata per decidere se inviare truppe a “scudare” i confini, allora Giorgia non parteciperà: non avrebbe motivo di farlo visto che su questo è stata chiarissima». E al momento non si conosce né il formato del vertice né tantomeno l’ordine del giorno: siamo ancora alle comunicazioni a mezzo stampa, viene ribadito. E non si tratta dell’unica incertezza di queste ore. Anche a Strasburgo il partito della premier, Fdi, tentenna sul da farsi. «Sembra di essere su un ottovolante», confidano le prime linee. Ad agitare gli animi, l’accelerazione impressa sulla crisi ucraina dal summit di Gedda. Che mette in crisi il voto di Ecr, il gruppo dei conservatori “famiglia” di Fdi in Europa, sulla risoluzione su Kiev, al voto oggi assieme a quella sulla difesa. Il testo «è infarcito di una retorica anti-Usa, volta a criticare le scelte fatte dall’amministrazione Trump, “rea” – l’accusa sotto traccia – di aver favorito la Russia. In ore in cui Zelensky trova la quadra con gli americani e si compiono passi decisivi verso la pace, appare completamente fuori fuoco. Scollata dalla realtà», spiegano al Messaggero i Fratelli d’Italia di stanza a Bruxelles. Le prossime ore saranno determinanti sulla linea da tenere. Vale a dire se astenersi oppure turarsi il naso e votare a favore. Decisivo potrebbe essere il disco verde all’emendamento, a prima firma Carlo Fidenza, in cui si rilancia la richiesta di un vertice urgente tra Stati Uniti, Ue e Ucraina, tornando a battere sul “lodo Meloni”. Nell’emendamento si rimarca inoltre la centralità dell’alleanza transatlantica, tendendo la mano agli Usa. Intanto il titolare della Difesa Guido Crosetto, ospite di “Cinque minuti”, riconosce in «quelli che esistevano prima della guerra» i confini di una pace giusta. Ma quelli che verranno trattati, «spero il prima possibile, saranno i confini che metteranno d’accordo le persone sedute al tavolo. Trump ha deciso di dare un’accelerazione. Ci saranno la Russia e l’Ucraina al tavolo e alla fine prenderemo atto di quella che sarà la decisione accettata da tutti i contraenti. Solo allora si potrà parlare di missioni di pace. Ora siamo ancora alla fase precedente e quel tavolo non si è aperto», mette in chiaro il ministro a poche ore dal suo viaggio a Parigi. Come a dire che l’Italia è stufa di fughe in avanti. «Non può trasformarsi in una challenge tra Usa e Ue», l’affondo al vetriolo che filtra da fonti della Difesa italiana.

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