naufraghi lasciati morire senza testimoni


Tribunale di Palermo: “Necessario lo sbarco immediato dei minori”. Davanti alla Libia, da dove partono in tanti perché c’è bonaccia, oggi non ci sono le grandi navi di soccorso. Tutte tenute, dal Centro comando di Roma, lontane dal mare in cui i libici catturano i naufraghi

Dalla nostra inviata su Ocean Viking

Nella luce del primo mattino, i raggi del sole ancora basso confondono barche e nubi. In mezzo al mare si leva l’ancora, Trapani è un profilo grigio lontano.
Dalla poppa della motovedetta 849 della Guardia costiera, mani nere di ragazzini si alzano a salutare la grande nave rossa che si muove sul blu cupo dell’acqua verso il largo, con i loro amici ancora a bordo.

Su decisione del Tribunale dei minori di Palermo, la Ocean Viking ha appena finito il trasbordo dei naufraghi minorenni – adolescenti etiopi ed egiziani e due bambini curdosiriani di 4 e 2 anni con la famiglia – sulla motovedetta che li accompagnerà in città. Il Comando delle capitanerie di porto, l’Mrcc di Roma, non ha però dato alla Ocean viking il permesso di attraccare, né di accostare in banchina, né di far scendere subito a terra anche gli altri 15 sopravvissuti come vorrebbero la logica e anche il semplice buon senso. Così la nave di soccorso di Sos mediterranée, 69 metri di lunghezza, capace di ospitare centinaia di persone – ad agosto 2023 ne portò a terra in una sola volta 623 – è costretta (pena multe, fermo dell’imbarcazione e rischio di confisca) a risalire tutto il Tirreno, con soli 15 naufraghi a bordo, fino al porto di sbarco assegnatole dal Centro di comando di Roma: Marina di Carrara, a 4 giorni di navigazione da dove i 25 migranti sono stati soccorsi in acque internazionali al largo della Libia.

Sono rimasti in mare una sola notte, erano partiti dalla costa vicino Tripoli in un piccolo scafo grigio di vetroresina con due vecchi motori fuoribordo. “Eravamo ancora a pochi metri dalla spiaggia quando da terra ci hanno sparato, dall’alto” raccontano. “Ci siamo tuffati in acqua. Quelli rimasti coi bambini si sono abbassati al centro dello scafo, ma eravamo molti di più alla partenza, dieci forse quindici persone terrorizzate sono tornate a riva a nuoto”. Il ponte della Ocean Viking è in ombra, aperto sulla poppa verso il largo. Seduti a terra i naufraghi vedono la Sicilia allontanarsi. Lo sguardo si tuffa nell’acqua che, sotto i raggi del sole, trascolora nell’argento. Occhi smarriti e senza lacrime. Occhi che anche quando sorridono sembrano implorare conforto. Quando alza la testa M. dice: “Sono rimasto solo”. Il cielo è sereno.

Anche più a sud, oltre il canale di Sicilia, il tempo è bello. Dopo giorni di burrasca c’è sole e poca onda. Quand’è così – quando dopo giorni si apre una finestra di bonaccia sulle coste libiche – ci sono tante partenze di migranti su barchini fabbricati in serie, scafi in vetro resina colmi di persone, double deck in legno fradicio o gommoni mezzi sgonfi destinati a imbarcare acqua dopo poche miglia. Oggi e domani chi di loro non affogherà prima di essere catturato dai miliziani libici – che su motovedette date dal governo italiano riportano indietro i naufraghi, li stuprano e li torturano in lager da cui usciranno vivi solo facendo spedire soldi ai carcerieri – arriverà in acque internazionali senza che si sia nessuno a salvarlo.

Perché la Guardia costiera italiana i soccorsi al di là della sua stretta zona di competenza non li fa più ormai da tempo, per non dispiacere al governo Meloni. Sta anche due giorni ad aspettare che una barca segnalata entri nelle nostre acque spinta dalla corrente, pur di non muoversi prima. E perché le più grandi navi di soccorso delle ong, tra quelle al momento in mare, sono state dal Centro di comando delle capitanerie di porto di Roma allontanate dall’area dove avvengono i naufragi. La Humanity 1 sta per ripartire in missione dopo essere stata mandata dall’Mrcc a Ravenna. La Ocean Viking, obbligata a risalire tutto il Tirreno, non potrà essere in zona soccorsi prima di almeno una settimana.

I naufragi di migranti sono fenomeni che esistono nell’opinione pubblica soltanto se c’è qualcuno che li osserva: oggi sarà un giorno di omessi soccorsi senza testimoni. E i naufraghi sono esseri umani. Come i neonati, non ce la fanno da soli. Come i malati, non sopravvivono da soli. Chi impedisce alle navi delle ong di essere in zona soccorso prima possibile, fa morire i naufraghi. Fa morire esseri umani. Tra le persone salvate questa volta ce ne è una che ha tentato la traversata dieci volte. Per nove volte è stata catturata e riportata indietro dai libici. E c’è un quindicenne disperato. È stato così tante volte catturato e venduto in Libia che la sua famiglia ha pagato l’equivalente di 20mila dollari per liberarlo: “Mio padre ha dovuto vendere la casa per me, ora loro vivono in strada e io sono qui”. Sembra svuotato dall’interno, schiacciato da questo peso.

Qualcuno sul ponte di coperta ha tirato fuori un pallone. Per qualche ora, sotto il telone bianco cerato che schiocca a ogni colpo di vento, brilleranno sguardi rasserenati. Loro sono il resto, quello che è rimasto della moltitudine che, assottigliata dalle successive prove, il deserto, la Libia, le prigioni, il mare, resta fedele alla sua missione di sopravvivenza e, quasi uccisa, arriverà domani in Italia con l’indomabile speranza di chi si illude d’avercela fatta.



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