Nord e federalismo. Il vice di Salvini vuole riportare la Lega alle origini


Verso il congresso. Il segretario della Liga veneta Stefani presenta una mozione (“Futuro è identità”) che è già post salviniana. Nessuna traccia del ponte sullo Stretto


Venezia. Il Veneto anticipa la Lega. E prima che l’agone tra le varie anime del partito entri nel vivo, il segretario regionale Alberto Stefani ha già pronta una mozione-bussola per il Carroccio che verrà: si chiama “Futuro è identità”, si tratta della prima proposta presentata verso il congresso federale del mese prossimo e mette i delegati davanti a un bivio. Perché le parole chiave del testo – per ora ancora una bozza – sembrano sprigionarsi dall’ampolla del dio Po. Autonomia. Produttività. Buongoverno. Settentrione. Addirittura si rispolvera il federalismo fiscale di bossiana memoria (ve lo immaginate, il sorriso del Senatur?). E al contempo nessuna traccia di sovranismo, ponti sullo Stretto, generali superstar o sviolinate alla nuova ultradestra globale. Esultano gli uomini di Zaia. Applaude Massimiliano Romeo, “per questa iniziativa in linea col lavoro portato avanti dalla Lega lombarda” – che lui stesso ha da poco rilevato, contestando il pensiero unico del grande capo. A proposito: il collega Stefani, che con tanta solerzia si muove per aggiornare l’agenda interna, è uno dei tre vice di Salvini. Back to Padania. Sarà vero?

 

“La valorizzazione dell’identità fa parte del Dna del nostro movimento”, dice l’autore della mozione al Foglio. “Il percorso di questi anni di Matteo Salvini e di Roberto Calderoli può aprire ad una nuova fase nel segno del federalismo e dell’efficienza che dobbiamo vincere” Cos’abbia fatto esattamente in questa direzione il vicepremier – che strizza l’occhio a Trump, ai dazi, alla Russia – non è dato sapere. Ma Stefani in breve tempo si è rivelato un eccellente equilibrista. Era stato eletto meno di due anni fa con la benedizione di Matteo, a gamba tesa contro l’ala venetista che gli faceva guerriglia. Lo chiamavano soldatino. Oggi invece quasi più nessuno in regione mette in dubbio l’intraprendenza politica del giovane deputato: firme pro-Zaia, iniziative alla Camera per ricandidarlo a oltranza, guardia attenta a contenere l’espansionismo di Fratelli d’Italia. Eppure Stefani, in tutto questo, continua anche a dimostrare comprovata lealtà a Salvini. Non architetta mai nulla alle sue spalle: pure la mozione congressuale è nata previo passaggio con lui. E Salvini ha ben presente la situazione più di quel che slogan e vacui sorrisi vorrebbero far intendere. Il consenso è colato a picco, il piano nazional-leghista è fallito, la base del partito gli è fredda se non ostile. Un orecchio amico gli serve come il pane. Così Stefani ascolta, intercetta, riformula. Fa capire al segretario che certi valori vanno recuperati: difesa della produttività, delle tradizioni e del territorio contro il globalismo omologante. Fino all’attenzione alle comunità locali che sono sempre state l’anima del Carroccio. Al nord, mica a Reggio Calabria.

 

Sono temi caldi e mai sopiti, che esasperati nei toni e nelle tempistiche avevano portato svariate espulsioni pesanti a Via Bellerio. Ma il segretario veneto ha azzeccato il rimpasto: c’è urgenza di ribadire la linea politica della Lega, non contro qualcuno ma per chi la Lega l’ha sempre votata. E il congresso è il luogo giusto per farlo. La soddisfazione del Veneto è duplice: da un lato spiazza le altre sezioni nazionali prendendo in mano le redini del momento assembleare, dall’altro ribadisce a Salvini che il binomio tra regione e partito è inscindibile. Soprattutto in termini di serbatoio elettorale. “È questo il nostro futuro, è questa l’eredità che dobbiamo lasciare ai nostri giovani”, insistono gli zaiani. Pochi giorni fa, il più agguerrito di loro ci aveva ricordato che “sarà il congresso più importante della storia della Lega: quello della rinascita o della sua fine”. E se queste sono le premesse, per Salvini sarebbe sempre più difficile imporsi come uomo solo al comando – candidato unico, rieletto per l’ennesima volta e alle sue assolutistiche condizioni: qualcosa dovrà pur lasciare.
La sensazione fra i delegati è che insomma stia cambiando il vento. “Un vento federalista, autonomista e identitario che si rafforza giorno dopo giorno”, si compiace Romeo. E se il leghismo sempreverde dovesse davvero riprendere il sopravvento sul salvinismo decadente, ci si ricorderà allora di quel trentenne su cui nessuno puntava un centesimo, cresciuto nel mito del capo e dal capo messo in moto per suo conto, fino a poi crearsi uno spazio proprio. Fece così anche Salvini, con Bossi. E Stefani è uno di quelli che, dovendo scegliere tra il Veneto e la Lega, risponde: “Sono la stessa cosa!”. Risposte che allungano la vita.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link