Con l’Ordinanza 34655/2024 del 27 dicembre 2024, la Cassazione si è pronunciata per la prima volta in merito alla possibilità per i lavoratori impatriati di ottenere il rimborso successivamente al riconoscimento ex post dei benefici fiscali non fruiti in precedenti annualità.
La Suprema Corte, difatti, ha affermato come il diritto al rimborso debba essere riconosciuto sulla sola base della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge (articolo 16 D.Lgs. 147/2015 applicabile pro-tempore), a prescindere dall’adempimento di qualsiasi obbligo di carattere formale.
Va peraltro anticipato che, successivamente alle vicende oggetto del giudizio, è stato introdotto il comma 5-ter all’art. 16 D.Lgs n.147/2015, secondo cui “Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo“. Tale disposizione, entrata in vigore il 30 aprile 2019 e non più riproposta dalla nuova normativa in vigore dal 1° gennaio 2024, è stata interpretata nel senso di escludere l’ammissibilità di un rimborso in casi come quello oggetto del giudizio qui in discussione.
L’art. 16 D.Lgs. 147/2015
L’art. 16 D.Lgs. 147/2015 – ora abrogato e sostituito a decorrere dal 1° gennaio 2024 dall’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023 – prevedeva una tassazione agevolata del reddito dei lavoratori che trasferiscono la loro residenza fiscale in Italia, contestualmente ad altre condizioni quali:
“a) i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
b) l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano.”
Tale norma prevedeva che l’agevolazione si applicasse a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza e per i successivi 4 anni, periodo prorogabile di ulteriori 5 anni a determinate condizioni.
Il co. 4 dell’art. 16 prevedeva altresì, ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, che il lavoratore esercitasse una opzione per usufruire del regime agevolativo con modalità definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Invero, l’Agenzia delle Entrate con provvedimento n. 46244/2016 ha previsto una sola modalità per l’esercizio dell’opzione, ovvero la richiesta al datore di lavoro ai fini della ritenuta fiscale; tale richiesta presenta un contenuto formale specifico nonché la domanda espressa di esercizio dell’opzione.
Il contesto in cui si pone l’Ordinanza 36455/2024
L’esito del giudizio sembrerebbe risolvere la disputa tra due longevi orientamenti, contrapposti, sulla medesima quaestio.
Da un lato, l’Agenzia delle Entrate ha sempre affermato la tesi secondo la quale il regime di agevolazione degli impatriati, quale regime opzionale, sarebbe subordinato ad un comportamento attivo del contribuente, consistente, nel caso specifico, in una richiesta scritta al datore di lavoro o nell’indicazione dell’imponibile ridotto nella dichiarazione presentata per il medesimo periodo d’imposta. Tale posizione trova conferma con le circolari n. 17/E/2021 e n. 30/E/2020 emanate dall’Agenzia delle Entrate, con le quali la stessa ha sempre affermato la tesi secondo cui il regime opzionale sarebbe precluso in caso di mancato adempimento nei termini delle modalità di esercizio dell’opzione espressamente previste nei provvedimenti sopra richiamati.
D’altro lato, la giurisprudenza di merito si è espressa più volte in senso opposto a quello dell’Agenzia delle Entrate (cfr. ex multis CGT. II Lombardia, sentenza n. 940/2023), statuendo come l’art. 16 D.Lgs n. 147/2015 non preveda in alcun modo la decadenza dal beneficio in caso di mancato assolvimento degli adempimenti per beneficiare del regime degli impatriati. In sintesi, stando a quanto espresso dalle Corti di giustizia tributaria, l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate si pone in contrasto con le disposizioni di legge.
La tesi giurisprudenziale delle Corti di merito inquadrava il regime previsto per gli impatriati non come un regime opzionale , bensì come possibilità di fruire della più favorevole tassazione prevista al verificarsi di precisi requisiti individuati ex lege (vd. anche CGT. II Lombardia, sentenza n. 2872/2023). Sulla scia di questo ragionamento, in altre pronunce successive, è stato ulteriormente ribadito che gli impatriati, in presenza dei requisiti ex art. 16 D.Lgs. 147/2015, potevano sempre presentare istanza di rimborso entro 48 mesi dalla data del versamento o da quando la ritenuta viene effettuata (cfr. ex multis CGT. II Lombardia, sentenza n. 2378/2024, CGT. II Lombardia, sentenza n. 2379/2024).
La conclusione della Corte
La vicenda trae origine da un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la Sentenza pronunciata dalla CTR della Lombardia n. 3640/2022 nella quale il giudice di merito aveva ritenuto sussistenti i requisiti per fruire del regime degli impatriati mediante dichiarazione integrativa, con conseguente rimborso. L’Agenzia opponeva il carattere eccezionale della norma, la quale prevedendo un’opzione ne richiederebbe necessariamente l’esercizio nei modi e nei tempi previsti dalla stessa Amministrazione Finanziaria prima che il contribuente possa fruire dei benefici.
La Corte di Cassazione ha sposato la tesi della giurisprudenza di merito, argomentando, tra l’altro, che con un’altra circolare (n. 14/E del 4 maggio 2012), rispetto a determinati adempimenti attuativi del regime agevolativo, l’Agenzia precisava che: “In via residuale, il soggetto interessato può presentare richiesta di rimborso ai sensi dell’art. 38 D.P.R 602/73 a un Ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, allegando la documentazione rilevante a dimostrare la sussistenza dei presupposti per la fruizione del beneficio.”
È doveroso specificare che quest’ultima circolare si riferiva al regime agevolativo per gli impatriati previsto all’art. 3 della previgente L. n. 238/2010, poi successivamente modificato dal D.Lgs. n. 147/2015.
La Cassazione conclude che l’assenza di un divieto di rimborso (antecedentemente all’introduzione nell’art. 16 D.Lgs n. 147/2015 del citato comma 5-ter), consente di affermare che il mancato adempimento nei termini previsti dall’Agenzia delle Entrate di quanto necessario per usufruire dell’agevolazione non comporta la decadenza del beneficio fiscale, ma preclude solamente l’attivazione della procedura di richiesta dal beneficio tramite il sostituto d’imposta, gravando così il contribuente dell’onere di chiedere il rimborso, ove intenda recuperare la maggiore imposta versata. Gli adempimenti formali non sono invece condizioni per legittimare il rimborso.
Criticità
È bene ribadire che il principio statuito dalla Corte di Cassazione potrà essere invocato solo ed esclusivamente dei soggetti che hanno trasferito la loro residenza in Italia prima del 29 aprile 2019, atteso che a far data dal 30 aprile 2019 è stato introdotto il divieto di rimborso ex comma 5-ter dell’art. 16 D.Lgs. 147/2015.
Pur condividendo le conclusioni della Corte, dispiace rilevare che il Collegio non abbia colto l’opportunità anche per censurare il comma 5-ter dell’art. 16 D.Lgs. 147/2015 sollevando dubbi sulla sua potenziale illegittimità.
Nel caso di specie, infatti, non appare conforme ai criteri di ragionevolezza la deroga prevista ex lege al principio di emendabilità, in ossequio del quale il contribuente può sempre correggere gli errori commessi ad esempio nella dichiarazione dei redditi che incidono sull’obbligazione tributaria (vd. Ordinanza n. 12895/2018). A nulla può valere il riferimento fatto dal comma 5-ter all’”adempimento spontaneo“; esso è un elemento co-essenziale all’adempimento del tributo mediante dichiarazione ed autoliquidazione. Non è, invece, un atto di acquiescenza del contribuente, come la norma sembrerebbe suggerire.
Pur essendo l’intero art. 16 D.Lgs. 147/2015 stato abrogato a seguito della riorganizzazione dei testi normativi conseguenti alla riforma fiscale – che ha comportato l’inserimento del regime degli impatriati nell’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023 a far data dal 1° gennaio 2024 – la norma (e dunque anche il comma 5-ter) continua ad essere applicabile per i lavoratori impatriati fino al 31 dicembre 2023.
Sarà un caso che la normativa oggi in vigore non riproduca la disposizione “Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo“? Il tema sembra tutt’altro che definito.
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