Silvia Carta è esperta di politiche europee su migrazione e asilo. È responsabile dell’advocacy per Picum, rete di organizzazioni «che lavorano per garantire giustizia sociale e diritti umani ai migranti privi di documenti» basata a Bruxelles.
Cosa colpisce della proposta di regolamento sui rimpatri?
In primis che la Commissione ha fatto il contrario di quello che ha aveva promesso annunciando questa revisione, ovvero uno strumento legislativo bilanciato. Per anni ha detto che i rimpatri volontari, cioè le partenze volontarie di persone che hanno ricevuto un ordine di espulsione, andavano preferiti a quelli forzati per ragioni umanitarie e di efficacia. Ora invece questa relazione viene ribaltata e le deportazioni coatte diventano la regola. Poi c’è il tema della detenzione amministrativa, che non viene più concepita come ultima ipotesi. I tempi massimi sono prolungati da 18 a 24 mesi. Quando scadono la persona, evidentemente non rimpatriabile, non può contare su misure di assistenza sociale o per la regolarizzazione. Al contrario sarà colpita da nuove misure restrittive: braccialetto elettronico, obbligo di residenza o di presentazione alle autorità. Terzo punto: la Commissione impone agli Stati membri di limitare, attraverso vari strumenti, la libertà di movimento degli «irregolari» e a questi di collaborare al rimpatrio. In caso contrario sono previste misure punitive.
Nell’introduzione al testo la Commissione scrive che non espellere i migranti irregolari mina il sistema d’asilo ed è ingiusto verso gli stranieri che rispettano le regole. È così?
Per nulla. Questo modo di presentare la questione nega la realtà. Forse un simile discorso potrebbe essere valido in un mondo parallelo in cui esistono possibilità effettive di accedere a visti per cercare lavoro, permessi per ricongiungimento familiare e strumenti di regolarizzazione. Non è quello che accade oggi in Europa, dove le persone restano senza documenti per anni, nonostante magari abbiano una famiglia e un lavoro. Questi cittadini stranieri non andrebbero deportati ma regolarizzati.
Una norma apre ai «centri di rimpatrio» in paesi terzi. Permetterebbe di usare i centri in Albania come Cpr?
Sì, anche se bisognerebbe prima modificarne la destinazione d’uso perché al momento è riservata alle procedure di asilo accelerate che non sono toccate da questo strumento legislativo. Nei «return hub» fuori dai confini europei che prevede il nuovo regolamento potranno finire tutte le persone in situazione di irregolarità amministrativa. Unica eccezione sono i minori, accompagnati o meno. L’esclusione non riguarda nessuna altra categoria, neanche i soggetti con vulnerabilità. Almeno nella proposta attuale.
In Italia la detenzione dei minori è vietata dalla legge Zampa. La previsione del regolamento è una novità a livello europeo?
No, non c’è mai stato un divieto delle istituzioni comunitarie alla detenzione amministrativa dei minori. È già possibile con le attuali normative. Infatti alcuni Stati la praticano, mentre quelli che hanno standard più alti potranno mantenerli, se vogliono. Per gli under 18 l’unico obbligo previsto dalle normative Ue, che dipende anche dalle convenzioni internazionali sottoscritte dai paesi membri, è un maggiore livello di garanzie. Ma spesso queste valgono sul piano teorico che concreto.
Quali passaggi deve affrontare la proposta prima di entrare in vigore?
C’è tutta la procedura legislativa da seguire. Il consiglio degli Stati membri e il parlamento europeo devono adottare una loro posizione e un mandato negoziale. Servirà tempo. Anche se il parlamento si è spostato a destra, in questi casi richiede sempre degli studi alternativi sugli impatti delle modifiche legislative. A maggior ragione stavolta, visto che la Commissione non ne ha realizzato nessuno. Le tempistiche sono abbastanza lunghe. Rispetto al Patto immigrazione e asilo ci sono voluti quattro anni per concludere una discussione che comunque è stata molto sommaria. Quello era un pacchetto di norme, questo è un solo regolamento ma è lungo e ha molte implicazioni. Per gli Stati ci sono diversi elementi problematici, come l’ordine di rimpatrio europeo o l’armonizzazione e il riconoscimento reciproco delle decisioni nazionali.
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