Il commissario Brunner ha presentato all’Europarlamento la sua proposta precisando le differenze con le strutture italiane a Gjader e Shengjin. L’iter potrebbe richiedere oltre un anno, ma definisce la direzione dell’Unione in materia migratoria. Un approccio repressivo
«Un nuovo sistema comune europeo» in cui prevedere un «ordine di rimpatrio unico», «regole chiare per rimpatri forzati con l’incentivo dei rimpatri volontari», «un bilanciamento tra garanzie e obblighi più severi per le persone che vengono rimpatriate», «hub di rimpatrio in paesi terzi», «idee innovative».
Il linguaggio è centrale nella nuova proposta della Commissione europea presentata l’11 marzo nell’aula dell’Europarlamento dal commissario europeo per gli Affari interni e le migrazioni, Magnus Brunner, secondo il quale «i sistemi nazionali sono troppo frammentati» e per questo l’Ue «ha bisogno di un sistema comune di rimpatrio».
Quella che Silvia Carta, advocacy officer di Picum (ong che raccoglie a livello europeo oltre un centinaio di organizzazioni) definisce «un’ossessione dell’Ue verso i rimpatri», che porta a «un approccio discriminatorio e punitivo nei confronti di qualsiasi persona si trovi in una situazione di irregolarità».
Brunner, ricordando che il tasso di rimpatri oggi è «solo» al 20 per cento, ha invitato il parlamento a essere rapido. La proposta dovrà passare al Consiglio, ma sono diversi gli elementi che «vanno a toccare punti sensibili per gli stati membri», spiega Carta, «come ad esempio cosa si intende per rischio per la sicurezza nazionale». Per questo, è plausibile che le negoziazioni non si concludano prima di un anno o un anno e mezzo e che alcuni elementi del Patto Ue sulla migrazione e l’asilo saranno visibili prima della nuova normativa sui rimpatri.
Il patto Ue
La Commissione ha più volte collegato la nuova proposta al Patto adottato a maggio, a partire dalla sezione introduttiva del documento: «Nel quadro del Patto, le domande di asilo saranno trattate in modo più rapido ed efficiente. Affinché ciò sia sostenibile, i rimpatri devono avvenire tempestivamente».
Un racconto da tempo sostenuto dall’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, che presenta «il rafforzamento dei rimpatri come parte del sistema di gestione della migrazione e dell’asilo», sottolinea Carta. Ma, continua, «è maggiore l’attenzione al sistema di rimpatrio rispetto al sistema di asilo o alle misure di inclusione sociale». Questo elemento emerge chiaramente dalle fonti di finanziamento: si potrà attingere dal Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione. Non è una novità, dice Carta, «ma è senza dubbio un’ulteriore conferma».
I contenuti della proposta
Nella versione finale del documento, la Commissione propone regole comuni sulle procedure di rimpatrio tra tutti gli stati membri, un nuovo meccanismo per il riconoscimento delle decisioni tra gli stati e per l’esecuzione degli ordini di rimpatrio. In conferenza stampa i rimpatri volontari sono stati presentati come la via principale del sistema delineato.
Ma dal testo emerge chiaramente una prevalenza dei rimpatri forzati di chiunque si trovi sul territorio in una situazione di irregolarità e abbia ricevuto un decreto di espulsione. Soprattutto, il testo pone le basi legali per i cosiddetti “return hub” in paesi terzi fuori dal territorio dell’Unione: centri di rimpatrio che nei fatti sono centri di detenzione, da cui sarebbero escluse famiglie con minori e di minori stranieri non accompagnati. Centri, ha chiarito Brunner, diversi da quelli italiani in Albania.
Per Picum si tratta di «centri di deportazione», in cui c’è il pericolo di «detenzioni arbitrarie, problemi di responsabilità e di monitoraggio dei diritti umani, rischi di deportazioni a catena verso paesi non sicuri». Si introducono poi misure punitive, come il divieto di ingresso nell’intero territorio dell’Ue per un periodo che può durare fino a dieci anni, prorogabile, e specifiche deroghe ai diritti fondamentali per chi è considerato un rischio per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico.
La nuova proposta espande inoltre in modo importante l’uso della detenzione amministrativa, non più presentata come una misura di extrema ratio. Anzi, viene rafforzata con l’allungamento dei termini: il termine già molto lungo di 18 mesi in vigore oggi, è aumentato a 24 mesi, così come quello minimo, che da 6 mesi diventa di 12. Tra le persone che rischiano la detenzione amministrativa, anche i minori.
La Commissione va anche oltre: «Considera la possibilità di prevedere misure alternative alla detenzione, anche queste spesso estremamente restrittive, per estendere la detenzione stessa», spiega Carta.
Diritti negati
Nella narrazione di Brunner gli obblighi e l’approccio punitivo bilanciano la garanzia dei diritti. Ma per chi si occupa di diritto dell’immigrazione, e osserva come i governi e le istituzioni europee stiano via via criminalizzando chi decide di migrare, «le garanzie e i diritti fondamentali sono completamente abbandonati». A partire dal diritto alla difesa e all’informativa legale. «Le garanzie assicurate ai cittadini di paesi terzi», conclude Carta, «sono di gran lunga inferiori rispetto a chi si trova nel circuito penale».
E il testo della Commissione introduce anche la possibilità per gli stati membri di applicare misure «di emergenza» di fronte a un numero «eccezionale» di persone in attesa di essere espulse, in deroga alle garanzie di detenzione e limitando l’accesso al controllo giudiziario.
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