La recente decisione dell’amministrazione Trump di tagliare drasticamente i fondi destinati agli aiuti umanitari internazionali ha suscitato preoccupazioni a livello mondiale. L’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ha visto una riduzione dei finanziamenti di oltre il 90%, mettendo a rischio numerosi programmi essenziali in diversi paesi. Un colpo durissimo per milioni di persone che dipendevano da quegli aiuti per accedere a cibo, acqua, cure mediche e sicurezza. Gli ultimi del mondo, ancora una volta, vengono sacrificati sull’altare di un nazionalismo miope, che si chiude su se stesso e nega responsabilità globali. A pagare il prezzo più alto di questa decisione non saranno certo le grandi potenze economiche o gli attori della geopolitica globale, ma le nazioni già piegate da guerre, carestie e instabilità croniche, tra cui la Siria, lo Yemen, il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, per citarne alcune.
A livello globale, diplomatici statunitensi hanno apertamente protestato contro lo smantellamento dell’USAID, temendo che questa decisione possa minare la leadership internazionale degli Stati Uniti e favorire l’espansione dell’influenza di potenze rivali come Cina e Russia. Nel frattempo, la Corte Suprema ha bloccato il tentativo dell’amministrazione di congelare quasi due miliardi di dollari in aiuti, segnando un’importante battuta d’arresto per le politiche di riduzione del sostegno internazionale. Tuttavia, la sospensione dei finanziamenti ha già avuto conseguenze devastanti sul campo: nella Striscia di Gaza, gli aiuti promessi non sono mai arrivati, mentre in Siria la cessazione improvvisa del supporto ha costretto ospedali, cliniche e programmi umanitari a interrompere i servizi essenziali, aggravando una crisi già estrema.
Nel contesto della Siria del Nord-Est, Un Ponte Per (UPP) si trova in prima linea nell’affrontare le conseguenze di questi tagli. L’organizzazione, attiva da anni in questo teatro di guerra, ha dovuto ridimensionare drasticamente le proprie operazioni. Ciò ha compromesso l’accesso alla sanità per centinaia di migliaia di persone, in particolare per le comunità di sfollati interni. La chiusura improvvisa di ospedali e cliniche ha lasciato intere fasce di popolazione senza cure, mentre le forniture mediche essenziali, come anestetici e farmaci per le terapie intensive, si stanno esaurendo.
Per comprendere meglio l’impatto di questa crisi e le prospettive future, abbiamo intervistato Lavinia Brunetti, project manager di Un Ponte Per, e Kovan Hussein, consulente medico presso l’ospedale di Hasakê. Entrambi ci raccontano le difficoltà quotidiane, i casi concreti di pazienti privati di cure essenziali e le strategie che UPP sta cercando di mettere in campo per garantire la continuità dell’assistenza sanitaria e umanitaria in una regione sempre più instabile.
Il collasso del sistema sanitario
Il dottor Kovan Hussein descrive un quadro allarmante: «L’impatto immediato dei tagli è stato devastante, soprattutto nel settore sanitario. Con il ritiro improvviso dei fondi, abbiamo dovuto ridurre i servizi vitali presso l’Ospedale Nazionale di Hasakê, che rappresenta una risorsa fondamentale per gli abitanti dell’intero distretto, compresi gli sfollati interni nei campi di Al-Hol e Roj. Il rischio più grave è l’interruzione delle cure salvavita: interventi chirurgici, terapie intensive e assistenza materna sono già compromessi a causa della carenza di anestetici, farmaci essenziali e forniture mediche».
Oltre alla crisi sanitaria, Hussein evidenzia anche il peso insostenibile che ora grava sulle autorità locali: «La riduzione del supporto ha scaricato tutta la responsabilità sul fragile sistema sanitario siriano, che non ha le risorse per mantenere lo stesso livello di assistenza. Di conseguenza, sempre meno pazienti riescono ad accedere a cure gratuite. Questo significa più sofferenza, più morti evitabili».
Lavinia Brunetti, responsabile dei progetti UPP, conferma che il blocco dei finanziamenti ha colpito non solo il settore sanitario, ma l’intera infrastruttura umanitaria: «Dopo quasi 14 anni di conflitto, la Siria dipende ancora dagli aiuti internazionali. Con la sospensione improvvisa dei fondi USAID, si sono fermati servizi sanitari essenziali, distribuzioni di cibo, programmi idrici e di protezione per rifugiati e vittime del conflitto. A pagare il prezzo più alto sono le comunità più vulnerabili, che dipendono interamente da questi aiuti per la sopravvivenza». Continua Brunetti:
«Si stima che 16,7 milioni di persone necessitino di assistenza umanitaria, tra cui 7,2 milioni di sfollati interni. Gli Stati Uniti, che sono stati il principale donatore di aiuti esteri alla Siria, hanno contribuito con oltre 18 miliardi di dollari in assistenza umanitaria dal 2011, inclusi 1,2 miliardi di dollari solo nel 2024. Ora, con questi tagli, l’intero sistema di aiuti è al collasso»
Kovan Hussein prosegue nel descrivere la gravità della situazione: «Ogni giorno vediamo pazienti che prima ricevevano cure gratuite e ora sono costretti a rinunciare ai trattamenti per mancanza di fondi. Molti arrivano in ospedale in condizioni critiche, ma senza le risorse necessarie, siamo costretti a limitare gli interventi. La situazione più drammatica riguarda i pazienti in terapia intensiva. Senza i farmaci essenziali, come il Fentanyl, la gestione del dolore e della sedazione è compromessa, rendendo insopportabili le condizioni dei malati più gravi. Anche le operazioni chirurgiche programmate sono state sospese: le persone che necessitano di interventi non urgenti devono aspettare a tempo indefinito, con il rischio che la loro condizione peggiori irrimediabilmente. Le donne in gravidanza, che prima potevano contare su parti assistiti e cesarei gratuiti, ora si trovano senza alternative sicure. Non possiamo più garantire un’assistenza adeguata e il pericolo per madri e neonati è altissimo. Le forniture mediche sono terminate. Da marzo non abbiamo più anestetici né narcotici, rendendo impossibili interventi chirurgici e cesarei». Anche il sistema di trasfusioni è bloccato. «Senza test per HIV, epatite B e sifilide, le trasfusioni sono sospese, con gravi conseguenze per i pazienti critici e le donne con emorragie post-parto. Inoltre, la TAC è fuori servizio e la macchina CR per le radiografie inutilizzabile. L’ospedale è al collasso».
Brunetti aggiunge che il blocco dei finanziamenti USAID ha colpito non solo i grandi ospedali, ma anche le strutture sanitarie di base: «Le cliniche nei campi profughi, che fornivano cure essenziali a centinaia di migliaia di persone, hanno chiuso, lasciando una popolazione già vulnerabile senza accesso all’assistenza medica. Il nostro partner locale, che operava all’interno dei campi, non ha più i fondi per continuare a garantire nemmeno i servizi minimi».
Ma il problema più grave riguarda l’Ospedale Nazionale di Hasakê (HNH), l’unico ospedale pubblico della regione. «Fino a febbraio, HNH garantiva assistenza secondaria gratuita a circa 700.000 persone, compresi rifugiati e sfollati. Dopo la sospensione del finanziamento, la struttura è stata costretta a reintrodurre il pagamento delle cure, escludendo di fatto chi non può permettersi un trattamento medico. Questo ha avuto conseguenze devastanti soprattutto per gli sfollati nei campi profughi, che prima potevano essere trasferiti gratuitamente per cure di emergenza o visite specialistiche. Ora, senza copertura finanziaria, questi pazienti non hanno più alcuna possibilità di ricevere assistenza ospedaliera».
Il problema non riguarda solo i servizi sanitari, ma l’intera struttura operativa dell’organizzazione. Brunetti descrive l’impatto immediato e devastante dei tagli su UPP in Siria. «Le attività si sono fermate improvvisamente, colpendo 10 cliniche sanitarie primarie, un ospedale secondario, una rete di ambulanze, oltre ai centri di protezione per sopravvissuti alla violenza di genere, tutela dei minori e supporto psicosociale in tutto il Nord-Est della Siria. I fondi USAID coprivano circa il 70% del budget di UPP in Siria e senza questi finanziamenti la nostra capacità di intervento è gravemente compromessa. La riduzione del personale è inevitabile, con la perdita di professionisti esperti, il che avrà ripercussioni dirette su migliaia di famiglie che dipendevano da questi impieghi».
I contraccolpi sull’autonomia e sui servizi essenziali
Anche i partner locali, privati del supporto tecnico e finanziario di UPP, sono in grave difficoltà. «Molti non riescono più a operare, causando la chiusura immediata di centri chiave e il collasso di servizi essenziali come educazione, supporto psicologico e protezione per i più vulnerabili. L’assenza di una fase di transizione ha aggravato la crisi, lasciando migliaia di persone senza alcuna rete di sicurezza». Oltre alle conseguenze immediate, i tagli compromettono anche la fiducia delle comunità locali nelle organizzazioni umanitarie. «Il ritiro improvviso dei fondi ha lasciato un senso di abbandono, rendendo più difficile il lavoro futuro di UPP e creando diffidenza verso gli aiuti internazionali». Anche le relazioni con le autorità locali rischiano di deteriorarsi. «Senza un sostegno stabile, i nostri partner faticano a mantenere operative le strutture, aggravando la crisi e lasciando migliaia di persone senza servizi essenziali».
Brunetti spiega che i tagli vanno oltre il settore sanitario. Anche i programmi di sviluppo a lungo termine sono a rischio. «Progetti essenziali, come riciclo dei rifiuti, governance sanitaria e opportunità di sostentamento, potrebbero chiudere. Senza risorse, sarà quasi impossibile andare oltre l’emergenza immediata». Una riprogrammazione degli aiuti sarebbe necessaria, ma senza fondi adeguati il settore umanitario rischia di azzerare anni di progressi. UPP sta cercando di mitigare la crisi. «Denunciamo le conseguenze dei tagli a livello internazionale, coinvolgendo istituzioni e donatori per colmare il vuoto lasciato da USAID e garantire la sopravvivenza dei servizi essenziali nel Nord-Est della Siria».
Brunetti sottolinea che i tagli ai finanziamenti USAID non mettono a rischio solo i servizi essenziali, ma colpiscono il modello di confederalismo democratico che regge il Nord-Est della Siria. «L’autogestione della regione dipende dalla capacità di garantire assistenza alla popolazione. Senza aiuti, questa struttura si indebolisce, minando la fiducia nelle istituzioni locali e limitando la risposta ai bisogni più urgenti».
Il collasso dei servizi sanitari, come dimostra la crisi dell’Ospedale Nazionale di Hasakê, è uno degli effetti più immediati. «Senza cure, le autorità locali non riescono a garantire diritti fondamentali. A soffrirne di più sono le categorie più vulnerabili, tra cui donne, bambini e sfollati interni, che dipendevano dall’assistenza gratuita».
La sospensione dei servizi essenziali ha conseguenze che vanno oltre il settore sanitario, incidendo sulla coesione sociale.
«Senza accesso a istruzione, protezione e cure di base, aumenta il rischio di divisioni interne e instabilità. Il vuoto lasciato dagli aiuti può esacerbare tensioni e rendere più difficile mantenere la pace e la sicurezza nella regione».
«L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est si è sempre basata su un sistema di governance dal basso, con un forte coinvolgimento delle comunità. Ora, senza sostegno internazionale, questo modello rischia di non poter più garantire i bisogni fondamentali della popolazione».
L’emergenza sanitaria è ormai fuori controllo. «Ospedali e cliniche faticano a rimanere operativi. L’Ospedale Nazionale di Hasakeh, punto di riferimento per l’intera regione, ha dovuto reintrodurre tariffe sanitarie, escludendo sfollati e comunità vulnerabili che non possono permettersi le cure.» Anche il settore educativo è al limite. «Scuole e centri di apprendimento affrontano gravi carenze di risorse, minacciando l’accesso dei bambini all’istruzione e al supporto psicosociale». I servizi di protezione per donne, sopravvissute alla violenza e bambini a rischio sono stati chiusi. «In un contesto di abusi diffusi, la mancanza di centri di supporto lascia le fasce più esposte senza assistenza».
L’interruzione improvvisa dei finanziamenti ha bloccato anche progetti infrastrutturali essenziali. «Senza risorse per il trattamento delle acque e la gestione dei rifiuti, cresce il rischio di crisi sanitarie. Le comunità dipendevano da questi programmi per servizi di base, e la loro sospensione potrebbe avere conseguenze devastanti».
«Nonostante queste sfide, la popolazione della Siria nordorientale ha una lunga storia di auto-organizzazione e resistenza. Per superare questa crisi, le reti locali devono mobilitare risorse e coordinare gli sforzi per mantenere attivi i servizi essenziali. Diversificare le fonti di finanziamento e collaborare con altri partner internazionali e ONG è fondamentale per colmare il vuoto lasciato dal ritiro di USAID». Anche gli sforzi diplomatici e di advocacy restano cruciali. «Bisogna sensibilizzare la comunità internazionale sulle conseguenze di questi tagli e spingere donatori e istituzioni a riconsiderare il loro sostegno. Rafforzare i legami con la società civile, le comunità della diaspora e le organizzazioni per i diritti umani può offrire fonti di assistenza alternative. Nonostante la gravità della situazione, l’impegno per l’autogoverno e la democrazia di base ha permesso alla Siria nordorientale di resistere alle crisi passate. Tuttavia, senza un intervento urgente, l’impatto umanitario di questi tagli potrebbe compromettere le basi del confederalismo democratico, rendendo la regione ancora più vulnerabile all’instabilità».
Nell’immagine di copertina, dispensario medico della clinica del campo di Washokani
Tutte le foto sono di Arianna Pagani
Un Ponte Per opera nel nord-est della Siria dal 2015, riabilitando numerosi ospedali, aprendo cliniche e ambulatori, fornendo assistenza a sfollati e profughi nei principali campi, tra cui Al-Hol. Oggi, la sospensione dei finanziamenti USA alle organizzazioni umanitarie minaccia la continuità di molti progetti, anche nella Siria del Nord-Est. Puoi leggere il comunicato dell’associazione cliccando qui e sostenere UPP cliccando qui selezionando “intervento in Siria”
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