la Napoli che non si ferma, guarda oltre la paura


Nel solo mese di gennaio 2025 l’aeroporto di Capodichino ha registrato con oltre 639mila tra arrivi e partenze un incremento del 2,9% del movimento passeggeri rispetto allo stesso mese di un anno fa. Un anno, peraltro, il 2024 che si è chiuso con circa 12 milioni e 650mila passeggeri, in crescita del 2,1% sul 2023, quarto scalo del Paese. A Nola invece, dove opera la filiera del sistema Cis Interporto (8 miliardi di fatturato prodotto dalle 500 aziende insediate), riunita nel “Nola business park”, è stato necessario chiedere e ottenere l’autorizzazione della Zes unica per acquisire un’ulteriore area di 100mila metri quadrati per ospitare nuovi insediamenti: da tempo, infatti, non si trova praticamente nemmeno un metro quadrato disponibile per la parte logistica, mentre in quella commerciale ne restano liberi appena tremila, un’inezia sul totale della superficie. Il tutto mentre investitori istituzionali di peso bussano per entrare, spinti dal richiamo organizzativo e dei servizi innovativi di questa esperienza imprenditoriale, unica in Europa.

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Sempre a Napoli città, la crescita del turismo, il fenomeno più rilevante degli ultimi anni, alza sempre più l’asticella delle previsioni dei nuovi arrivi (un milione solo quelli per i ponti di fine aprile e inizio maggio), in attesa dell’apertura di almeno 5 alberghi di lusso, tra capoluogo e provincia. Ma, soprattutto, il turismo continua ad avere un impatto importante sul mercato immobiliare del capoluogo: nel 2024, secondo dati freschissimi, il mercato residenziale è stato caratterizzato da una domanda maggiore dell’offerta disponibile per effetto della richiesta di immobili da destinare al turismo. Non solo al centro ma anche in quartieri (Sanità, ma non l’unico) che stanno vivendo una forte rivalutazione proprio grazie al boom di visitatori, peraltro soprattutto stranieri. Ecco, questi soli tre esempi danno il senso di cosa sono oggi Napoli e la sua provincia in termini di attrattività culturale, economica e imprenditoriale. E spiegano molto meglio di tante parole perché il cambio di paradigma sulla narrazione della città è un dato di fatto, non un capriccio, o, peggio ancora, il tentativo di negare a bella posta problemi, ritardi e contraddizioni. La Napoli che ad ogni emergenza (e sicuramente quella del bradisismo dell’area flegrea lo è) si vorrebbe puntualmente condannata a restare indietro, ripiegata sui suoi stessi limiti e dunque “esclusa” da ogni prospettiva di rilancio e di sviluppo, è in realtà ben altro.

È un sistema che attira capitali nazionali e stranieri, dal turismo alla manifattura, dalla farmaceutica all’agroalimentare, con medie superiori per valore aggiunto a quelle nazionali; che ospita sempre più giovani studenti stranieri, richiamati dalle Academy del polo universitario di San Giovanni a Teduccio della Federico II ma anche dalla qualità dell’offerta universitaria in generale, ulteriormente arricchita dal Centro di ricerca agroalimentare Agritech, uno dei cinque insediati in Italia, e da dotazioni tecnologiche senza paragoni, come il super computer quantistico dello stesso ateneo; che fa della cultura imprenditoriale una chiave di lettura anche per il futuro dei giovani visto che qui nascono più Start up che in quasi tutto il resto del Paese e che le Pmi innovative veleggiano numericamente ai vertici della classifica assoluta.

Zes unica, 300 milioni per le aree industriali

Questa Napoli ha accumulato in sé gli anticorpi necessari a renderla progressivamente immune da pregiudizi, stereotipi e rassegnazioni che hanno spesso monopolizzato la sua immagine. Ce ne vorranno ancora, certo, per liberarsene definitivamente ma non è un caso che qui anche una sfida decisiva come l’Intelligenza artificiale può essere oggi accolta e vinta. Perché, come osserva opportunamente il sindaco Manfredi, “a Napoli memoria e futuro convivono naturalmente”, tenute insieme da un collante come il fattore umano che specie per gli under 30 non ha rivali nella Penisola e sarà determinante per gestire la transizione tecnologica più delicata ma inevitabile degli ultimi anni. Riconoscerlo è un atto di onestà intellettuale, così come prendere atto che Napoli da sola produce il 25% del Pil della Campania e il 7% della ricchezza complessiva del Mezzogiorno. Che nel 2023 è stata la prima provincia del Sud nella classifica nazionale dell’export, precedendo Roma. Che attraverso le risorse della Coesione potrà finalmente mettere mano a progetti mai tanto attesi e necessari come il risanamento e la riqualificazione ambientale di Bagnoli-Coroglio, 1,2 miliardi che un tempo sarebbero stati accompagnati da dubbi e scetticismo sull’effettiva capacità di essere spesi e oggi invece sembrano quasi scandire il tempo sull’inizio dei lavori. Ecco, anche questo atteggiamento dà la misura del cambiamento, reso peraltro ancora più credibile da un’architettura delle relazioni istituzionali profondamente omogenea, nella quale si avverte l’impegno di remare pressoché tutti dalla stessa parte.

Non arrivano per caso, insomma, l’assegnazione alla città del ruolo di capitale di Confindustria 2025, per effetto di un dinamismo imprenditoriale documentato dai numeri (il saldo attivo tra nuove imprese e imprese che chiudono, ad esempio) e dal rilancio degli investimenti in chiave Zes unica (Napoli e la Campania sono di gran lunga i territori più gettonati del Mezzogiorno in questa nuova misura); o i darti che documentano i progressi, sempre più costanti, dell’economia del mare, prima attività economica della città, che sembra finalmente pronta ad assumere il ruolo guida che le è sempre spettato ma che solo raramente ha mostrato di voler esercitare fino in fondo. Non meraviglia, insomma, che dal 2019 al 2023 il valore della produzione delle imprese campane classificate dalla società di consulenza PWC nell’annuale “Top 500”, sia salito di oltre il 50% e del 7% solo tra 2023 e 2022. Né che il 41% delle imprese del settore manifatturiero investa fino al 10% del proprio fatturato in Ricerca e Sviluppo, mentre un ulteriore 36% destina a tali attività oltre l’11 per cento del proprio budget come ha documentato lo scorso anno una società di consulenza del calibro di Deloitte. E quasi non fa più notizia che in un anno, tra il 2022 e il 2023, le imprese campane con un livello base di digitalizzazione sono cresciute del 24,2% contro una media nazionale del 15,8%. Ripartire da tutto ciò vuol dire riconoscere un salto di qualità che allinea ormai Napoli alle grandi città metropolitane europee e ne rende perciò prioritaria la ricerca della sostenibilità degli obiettivi. La prossima sfida è questa ma in fondo è già iniziata.





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