Il senso degli affari nel Dna


Fonte: Aidaf

C’è chi l’imprenditoria ce l’ha proprio nel sangue. Specialmente in Italia, dove le imprese familiari rappresentano una componente fondamentale del tessuto produttivo, contribuendo in maniera significativa alla crescita economica, all’occupazione e alla competitività del Paese. Lo sappiamo da sempre, ma i numeri dell’ultima edizione dell’Osservatorio Aub, curata dalla Cattedra Aidaf-Ey dell’Università Bocconi, non fanno che confermarlo.

Qualche dato: negli ultimi anni, la popolazione delle imprese familiari con fatturato superiore ai 20 milioni di euro è aumentata del 36%, arrivando a 15.836 unità, pari al 67,2% del totale delle imprese monitorate. Parallelamente, il fatturato aggregato ha superato i 1.200 miliardi di euro, con un’incidenza sul totale delle aziende analizzate del 42%. Anche l’occupazione ha registrato un incremento significativo, con le imprese familiari che impiegano circa 3,375 milioni di lavoratori, corrispondenti al 52,3% degli occupati totali. Rispetto al 2013, l’aumento di occupazione è stato di circa un milione di unità, con un incremento dell’8%.

Opportunità uniche acquisto in asta

 ribassi fino al 70%

 

E anche dal punto di vista delle performance economiche, il 2023 ha confermato la capacità di resilienza delle imprese familiari, sebbene con una decelerazione della crescita rispetto al biennio precedente. L’occupazione è aumentata del 17,9% rispetto ai livelli pre-Covid, mentre i ricavi, pur in crescita, hanno mostrato un rallentamento significativo, passando dal +21,9% del 2022 a un modesto +1,4% nel 2023. Alcuni settori, come le Costruzioni (+8,9%) e l’Energia (+8,7%), hanno continuato a espandersi, mentre comparti come il Manifatturiero (-5,2%) e il Commercio all’Ingrosso (-4,8%) hanno subito una contrazione.

Non vi basta? L’analisi della redditività ha evidenziato una crescita del Roi per le imprese familiari, che nel 2023 ha raggiunto l’11,0%, mantenendo un vantaggio di 2,3 punti rispetto alle imprese non familiari. Tuttavia, il Roe ha subito un calo, attestandosi al 14,4%… ma è pur sempre rimasto superiore alla media delle aziende non familiari. Sul fronte della produttività, le imprese familiari hanno registrato un rapporto fatturato/costo del lavoro superiore rispetto alle aziende non familiari, attestandosi a 16,9 nel 2023, in calo rispetto al 2022 (18,0) ma superiore ai livelli pre-pandemia (15,5 nel 2019). Non solo: dal punto di vista patrimoniale la solidità media di tutte le aziende familiari italiane è ulteriormente migliorata nel 2023: il rapporto di indebitamento (totale attivo/patrimonio netto) si è ridotto da 4,2 a 3,9 volte (contro un valore di 5,0 nel 2019). Un analogo miglioramento si registra anche nel rapporto Pfn/Ebitda (ridottosi da 3,6 a 3,3 nel 2023). E anche il rapporto Pfn/Equity si mantiene su livelli molto bassi (oltre ad esserci dimezzato nel corso dell’ultimo decennio): nel 2023 il ratio delle aziende familiari è di poco superiore a 1 (contro un valore pari a 2,0 nel 2013). E se la percentuale di aziende familiari con una Pfn negativa (ovvero con disponibilità liquide in eccesso rispetto ai debiti finanziari) è aumentata di circa 7 punti rispetto al 2019, passando dal 33,0% al 40,1% nel 2023, quella delle aziende familiari con una situazione finanziaria problematica (con valori “critici” o comunque “di allerta” degli indicatori di solidità) si è ridotta di circa 11 punti (scendendo dal 26,7% al 15,6%).

Quanto al passaggio del testimone, di generazione in generazione (o di padre in figlio, ma saremmo poco inclusivi a scriverlo), momento cruciale per la continuità aziendale, i dati sono incoraggianti: dal 2020 i passaggi generazionali sono aumentati, con un impatto positivo sulla crescita del fatturato (+1,1 punti all’anno), sugli investimenti (+3,6 punti all’anno) e sulla produttività (+0,6 punti all’anno). Il numero medio di passaggi generazionali annui è passato da 127 prima del 2019 a 181 nel periodo 2020-2022. «I dati dell’Osservatorio AUB dimostrano come il passaggio generazionale nelle imprese familiari non sia solo una questione di successione, ma un vero e proprio motore di innovazione e crescita», spiega a Economy Cristina Bombassei, presidente Aidaf. «L’adozione di modelli di governance moderni, l’incremento della diversity all’interno degli organi decisionali e il dinamismo della NextGen stanno contribuendo a rafforzare le performance aziendali, migliorando redditività, solidità patrimoniale e produttività».

Sono ambiziose, le imprese familiari. E internazionalizzano: «Il numero di aziende familiari che investono all’estero è cresciuto del 27% dal 2019 –  con una crescita significativa in Asia (+11 punti) e Nord America (+9 punti), mentre l’incidenza di aziende con operazioni estere è rimasta stabile, ndr – a dimostrazione che sono in grado di affrontare con successo le sfide dell’internazionalizzazione e del mercato globale», conferma Bombassei. «Un percorso favorito dall’adozione di modelli di leadership collegiali e di una governance aperta e inclusiva: il contributo di professionisti esterni alla famiglia nei CdA si rivela determinante per l’apporto di competenze specifiche». È vero: il livello di internazionalizzazione risulta più elevato nelle imprese con modelli di governance aperti, che favoriscono la partecipazione di manager esterni alla famiglia. Attualmente, il 27,1% delle imprese familiari ha almeno un investimento diretto estero, con una predominanza delle aziende di grandi dimensioni (65,3% nelle aziende con fatturato superiore ai 250 milioni di euro). E, a proposito di inclusione, «continuare a incoraggiare il percorso di diversity si conferma tra gli obiettivi di Aidaf, che lavora da tempo e con passione per realizzare una transizione verso modelli di governance più evoluti e favorire un ricambio generazionale sempre più strategico», sottolinea Bombassei. Ma la strada da percorrere è ancora lunga: di fatto, nel 27,4% delle aziende italiane è presente almeno un consigliere giovane (con meno di 40 anni di età), mentre all’inizio del decennio precedente (2013) questa percentuale era del 40% circa. In compenso, nel 38,6% delle aziende familiari sono presenti più del 33% di consiglieri donna.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Infine, l’apertura del capitale si conferma un’opzione sempre più considerata dalle imprese familiari, con l’8,1% delle aziende che ha scelto questa strada. Come? Con una operazione di cessione di una quota di minoranza del capitale (1,7% dei casi), attraverso la quotazione in Borsa, conservando il controllo della società (0,9% dei casi) oppure con una operazione di cessione del controllo (5,5% dei casi). I partner industriali rappresentano la tipologia di acquirente più frequente (pari al 62,1% nelle operazioni di cessione del controllo e al 48,4% in quelle di minoranza).

La XVI edizione dell’Osservatorio ha approfondito l’impatto dell’apertura del capitale sulla redditività operativa (misurata dal Roi), sulla crescita (del fatturato), sugli investimenti (tasso di crescita delle immobilizzazioni) e sul livello di internazionalizzazione (numero di Ide). I dati evidenziano che le aziende che hanno aperto il capitale con quote di minoranza e tramite la quotazione in Borsa mostrano una redditività operativa, tassi di crescita del fatturato e del livello di internazionalizzazione statisticamente superiori (a partire dall’anno di apertura di capitale) rispetto alla media nazionale dell’Osservatorio Aub; di converso, le aziende che hanno ceduto il controllo, non hanno registrato significative variazioni di performance nei tre anni successivi al cambio di proprietà. E tutte le aziende che hanno aperto il capitale, soprattutto attraverso la quotazione in Borsa, mostrano una crescita statisticamente significativa degli investimenti (a partire dall’anno di apertura di capitale) rispetto alla media nazionale dell’Osservatorio Aub. In particolare, l’effetto sugli investimenti risulta amplificato in presenza di un partner finanziario (sia nelle operazioni di minoranza che in quelle di cessione del controllo).

Morale? Sarà anche vero che aprire il capitale toglie influenza alla famiglia… ma in compenso offre opportunità di crescita sostenibile e di rafforzamento competitivo a lungo termine.

Quando (e come) è il caso di passare il testimone

Il passaggio generazionale è un passaggio cruciale per le imprese familiari. «L’aspetto più importante riguarda la comprensione delle attitudini della nuova generazione», spiega a Economy l’avv. Massimo Di Terlizzi, chairman di Pirola Corporate Finance, società (parte dell’organizzazione professionale Pirola Pennuto Zei & Associati) di “advisory” in finanza strategica focalizzata sulle imprese di media grande dimensione, specializzata nel fornire servizi di consulenza in operazioni di finanza straordinaria. «In sintesi, si tratta di capire se le persone di nuova generazione abbiano le giuste skill per divenire dei c.d. “governanti” o se siano invece dei c.d. “regnanti”. In breve, bisogna comprendere se siano effettivamente in grado di ricoprire un giorno ruoli apicali di gestione o se sia più opportuno che tali ruoli siano ricoperti da managers esterni alla famiglia. Per questo è necessario che il processo d’inserimento inizi per tempo al fine di valutare al meglio le effettive capacità dei “futuri eredi”».

Già, ma come managerializzare l’impresa (e come fare in modo che la famiglia non snobbi i manager, che nelle imprese familiari spesso si trovano a operare con le armi spuntate)? «Facendo maturare ai futuri eredi esperienze esterne prima d’inserirli in azienda o, nel caso di manager esterni, identificando figure che abbiano maturato esperienze in aziende famigliari. Inoltre, è sempre opportuno programmare un percorso formativo della famiglia anche attraverso l’implementazione di nuove regole di governance», risponde Di Terlizzi.

Eppure, la strada del passaggio generazionale è costellata di errori. «L’errore più comune», sottolinea l’avv. Ludovico Mantovani, founding partner di Pirola Corporate Finance, «è quello di inserire le nuove generazioni in ruoli apicali nonostante questi non abbiamo ancora maturato la necessaria esperienza, ovvero, quando è necessaria la presenza di manager esterni, quindi non comprendere per tempo la necessità di affidarsi a manager esterni o non lasciare il giusto spazio a questi ultimi nel caso siano presenti». Qualche suggerimento utile? «Il passaggio generazionale va gestito in modo professionale iniziando per tempo gli inserimenti, sia che riguardino la nuova generazione, sia che riguardino manager, in modo tale da creare la giusta amalgama tra imprenditore e nuova generazione o imprenditore e manager», conclude Mantovani. «Inoltre, è sempre opportuno che i futuri eredi maturino esperienze esterne prima di essere inseriti nell’azienda di famiglia».



Source link

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazione debiti

Saldo e stralcio