
Odense è la terza città della Danimarca, ma è un moscerino su scala globale con i suoi duecentomila abitanti. E nonostante tutto è un interessantissimo modello di riconversione e sviluppo tecnologico avanzato. La sua industria più tradizionale era la cantieristica navale, andata in crisi negli anni Ottanta per la crescente concorrenza asiatica. Allora il cantiere navale Lindø, di proprietà del gruppo Mærsk, nel tentativo di reggere la competizione si avvicinò alla University of Southern Denmark (Sdu), per chiedere aiuto nello sviluppo di un robot di saldatura che rendesse più efficiente il processo di costruzione navale.
Questa partnership iniziò a cambiare le cose. L’impulso fondamentale alla trasformazione fu generato negli anni Novanta, quando la fondazione della famiglia Mærsk Mc-Kinney Møller finanziò con un’importante donazione la creazione del Mærsk Mc-Kinney Møller Institute (Mmmi) presso l’università.
L’Istituto ha continuato a fare ricerca nella robotica attirando giovani studenti e dando avvio ad alcune startup di grande successo come la “Universal Robots” acquistata nel 2015 dal gigante statunitense dei test di semiconduttori Teradyne per la ragguardevole cifra di duecentottantacinque milioni di dollari.
Nel 2018 la Teradyne acquisì una seconda startup di robotica, nata anch’essa a Odense, la “Mobile Industrial Robots” che produceva – e tuttora produce – robot per il trasporto di merci all’interno dei magazzini. Entrambe le società hanno ancora sede a Odense e fatturano un totale complessivo di circa quattrocento milioni di euro l’anno.
Dalla costruzione di navi alla robotica, anche grazie a una “naturale” cultura collaborativa: Kim Povlsen, presidente e Ceo di Universal Robots, come riportato dalla prestigiosa Mit Review nello scorso febbraio, afferma che era fondamentale che Teradyne mantenesse la base principale a Odense per continuare a godere della «cultura del lavoro» danese, che descrive come non gerarchica e altamente collaborativa non solo all’interno delle proprie mura, ma anche nei confronti di soggetti esterni, collaboratori facenti parte di una comunità allargata.
La «cultura collaborativa» come ingrediente indispensabile per rimanere competitivi e creare valore: «Il successo di queste due grandi aziende di robotica ha generato un effetto a catena, portando sia finanziamenti sia senso degli affari nel cluster di robotica», afferma Søren Elmer Kristensen, Ceo di Odense Robotics, agenzia finanziata dal governo danese ma sostenuta anche dai privati, il cui compito è sostenere la crescita e l’innovazione a livello nazionale del settore della robotica e automazione.
Odense non ha perso tempo. Popolato attualmente da circa centosessanta aziende legate in particolare, ma non esclusivamente, ai cosiddetti cobot (robot collaborativi) il cluster di Odense ha posto man mano attenzione a tutti gli elementi chiave, dalle competenze al superhub e incubatore di startup, per sviluppare ulteriormente innovazione e nuove aziende innovative.
La locale Agenzia per attrazione investimenti (Invest in Odense) – che conta più di trecentocinquanta soggetti membri tra istituzioni e imprese, in collaborazione con tutte le istituzioni locali dal Comune all’Università, dai centri di ricerca alle aziende presenti sul territorio – ha continuato ad attrarre capitali e talenti.
È stata creata addirittura una scuola elementare, la “Odinskolen”, che mira a diventare la migliore scuola di robotica al mondo per bambini. E le piccole dimensioni della città giocano a favore: il vicino aeroporto Hans Christian Andersen, grazie al traffico aereo relativamente contenuto e che consente ai droni di volare oltre la linea visiva, è diventato uno dei più importanti centri di sperimentazione dei droni a livello europeo.
Il cantiere navale, principale datore di lavoro per decenni della città, si è recentemente trasformato in un parco industriale volto a produrre grandi strutture in acciaio. Quello sinteticamente descritto è un virtuoso esempio di collaborazione tra diverse componenti, privati, istituzioni pubbliche, università, cittadini, imprese, che hanno lavorato in un’unica direzione e in maniera collaborativa, dando vita a un ecosistema raro e innovativo eguagliato da poche altre città del mondo.
Rasmus Torpegaard Festersen, direttore commerciale di “Invest in Odense” in un’intervista dell’anno scorso ha detto: «Il nostro ecosistema ha anche riconosciuto che per crescere dovevamo costruire fiducia». Il Cluster è sempre più attrattivo a livello globale, come spiega il direttore generale della stessa agenzia, Joost Nijhoff: «Quando abbiamo delegazioni in visita, spesso sono più impressionate non dal numero di aziende che lavorano nel settore, ma dal fatto che tutti collaborano e condividono le conoscenze. Questo è ciò che attrae molte aziende. È come un biglietto per la prima fila a un concerto della tua band preferita».
Oggi il Cluster, infatti, è considerato primo al mondo per i cobot (robot e droni collaborativi), contribuendo a generare a livello nazionale su base annua circa quattro miliardi di dollari di fatturato (dato 2022) e occupando sul territorio danese circa ottomilacinquecento addetti (quattromila solo a Odense).
Non solo cobot: questo ecosistema ha fatto partire altri importanti investimenti nella biotecnologia e nell’automazione in generale di sistemi avanzati. L’approccio collaborativo crea utili contaminazioni tra diverse competenze, generando da innovazione ulteriore innovazione.
Il gigante farmaceutico danese Nova Nordisk ha iniziato a costruire a Odense un nuovo stabilimento che sarà completato nel 2027 con un investimento di 1,2 miliardi di dollari, destinato a facilitare la produzione di medicinali per le malattie rare. Nelle conclusioni di un documento del 2021, intitolato “Building Trust in Business Ecosystems” e redatto dal Boston Consulting con l’ausilio del suo think tank internazionale Henderson Institute”, si legge: «Le aziende che pianificano di creare ecosistemi, devono progettare la fiducia nelle loro piattaforme fin dall’inizio. Ciò, da un lato, migliorerà il funzionamento dell’ecosistema, perché la fiducia catalizza una maggiore cooperazione tra i partecipanti. Dall’altro, la fiducia protegge l’ecosistema, perché genera gli effetti di rete che guidano la sua crescita. Quindi, gli ecosistemi generano un vantaggio competitivo tramite la fiducia». Facile a dirsi. Odense rimane però un esempio concreto da cui imparare.
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