25 Marzo 2025
Assicurazioni: quando la polizza è un danno


Una legge nata per coprire i danni ma che rischia di provocarne altrettanti. Era da tempo che si attendeva una normativa che mettesse lo Stato al riparo dal forte esborso per far fronte agli effetti delle catastrofi naturali come alluvioni, terremoti, siccità, frane. Il «paracadute» è arrivato con la legge di Bilancio 2024 che ha introdotto l’obbligo per tutte le imprese con sede legale in Italia di sottoscrivere polizze assicurative a copertura dei danni derivanti dalle calamità. La scadenza per l’adeguamento, inizialmente fissata al 31 dicembre 2024, è stata rimandata, con il decreto Milleproroghe, al prossimo 31 marzo. Quindi entro la fine del mese le imprese italiane dovranno stipulare coperture assicurative obbligatorie, limitando la dipendenza dagli aiuti pubblici. L’obiettivo è tutelare il patrimonio aziendale con un meccanismo di protezione finanziaria, che riduca l’impatto economico dei disastri naturali e distribuisca il rischio tra impresa, compagnie assicurative e Stato. Fin qui tutto bene, solo che l’onere a carico delle aziende è importante e c’è il rischio di fenomeni speculativi.

Ma prima di addentrarci nelle peculiarità della legge, è bene avere un’idea del fenomeno di cui stiamo parlando. Secondo il Report 2025 Climate and catastrophe insight di Aon, leader a livello globale nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa e nella consulenza per la gestione dei rischi, nel 2024, per il quinto anno consecutivo, le perdite assicurate a livello globale hanno superato i cento miliardi di dollari. L’anno scorso 18.100 persone hanno perso la vita a causa dei rischi naturali, soprattutto ondate di calore e inondazioni. In Italia, i danni assicurati hanno raggiunto un livello senza precedenti, superando i sei miliardi di euro. Di questi, 5,5 miliardi sono stati causati da eventi atmosferici estremi, mentre solo le alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana hanno provocato perdite per 800 milioni di euro. Questi dati sono stati presentati da Maria Bianca Farina, presidente dell’Associazione per le imprese assicuratrici (Ania), all’assemblea 2024 dell’organizzazione. L’Italia è uno dei Paesi europei con maggiore rischio sismico: circa il 40 per cento delle abitazioni civili si trova in aree a media o elevata pericolosità. Inoltre, risulta particolarmente fragile anche dal punto di vista idrogeologico con quasi il 95 per cento dei Comuni italiani a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera.

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Complessivamente oltre l’80 per cento delle case è esposto a un livello di rischio medio-alto per almeno uno di questi fenomeni. Secondo la relazione dell’Ania, l’Italia resta «sotto-assicurata». Solo il 6 per cento dei 35,3 milioni di unità abitative ha la tutela di una polizza. Ma è critica anche la situazione delle imprese: appena il 5 per cento dei 4,5 milioni di attività dispone di una copertura adeguata, con significative differenze in base alla dimensione dell’azienda (4 per cento delle micro imprese, 19 per cento di quelle piccole, 72 per cento delle medie e 97 per cento delle grandi). In caso di catastrofi naturali, le conseguenze finora sono ricadute principalmente sui bilanci pubblici. Spesso si è fatto ricorso ai fondi europei. Nel 2024 dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea (Fsue) sono arrivati 378,8 milioni di euro per l’Emilia-Romagna a seguito dei danni delle alluvioni del maggio 2023 e altri 67,8 milioni per la Toscana per le inondazioni dell’ottobre e del novembre 2023. L’assistenza del Fsue è andata a coprire parte dei costi delle operazioni di emergenza e di recupero, tra cui leoperazioni di bonifica la riparazione delle infrastrutture danneggiate, la salvaguardia del patrimonio culturale.

Il decreto viene quindi a colmare un deficit di protezione, scaricando però i costi sulle aziende. Pur non essendo previste sanzioni pecuniarie per chi non si assicura, le imprese inadempienti perdono il diritto a contributi, sovvenzioni o agevolazioni finanziarie legate a risorse pubbliche. Questo significa che, in caso di eventi distruttivi come terremoti o alluvioni, le realtà produttive prive di copertura assicurativa non potranno beneficiare di aiuti statali, trovandosi così a dover affrontare da sole i costi dei danneggiamenti subiti. Però l’assicurazione obbligatoria significa per le imprese caricarsi di un onere importante. Un’analisi del Centro studi di Unimpresa ha evidenziato che le piccole e medie aziende con una sede operativa di circa 500 metri quadri e 15 dipendenti pagheranno tra 1.500 e tremila euro l’anno nelle zone a basso rischio, tra tremila e seimila euro in quelle a medio rischio e tra seimila e 12 mila euro nelle aree ad alto rischio (come quelle sismiche o soggette a frequenti alluvioni). Le grandi aziende con più stabilimenti e una maggiore esposizione al rischio potrebbero superare i 30 mila euro annui di premio assicurativo. Un aspetto importante riguarda le franchigie, che non potranno superare il 15 per cento del danno.

Ciò significa che, in caso di sinistro, il produttore dovrà comunque coprire una quota delle perdite. Facendo un esempio: se un’azienda subisce danni per 500 mila euro a causa di un’alluvione, con una polizza che copre l’85 per cento del danno, dovrà comunque sostenere un esborso diretto di 75 mila euro. C’è anche il problema del poco tempo che gli imprenditori hanno a disposizione per adeguarsi. La Cna, l’Associazione degli artigiani, aveva chiesto un rinvio. «Impossibile in meno di un mese stipulare quattro milioni di polizze, che sono il numero delle imprese interessate. Inoltre, non potrà essere disponibile il portale dell’Ivass, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, introdotto dal legislatore nella legge annuale della concorrenza, per confrontare le offerte» rilevano gli artigiani. Questo espone a rischi di speculazione. Per le Pmi sarà difficile districarsi tra le offerte e il rischio di appesantire i bilanci è inevitabile.





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