L’art. 17 comma 5 del DLgs. 14/2019 dispone, inter alia, che l’esperto della composizione negoziata (CNC) possa, nel corso delle trattative, “invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuativa o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”. Il caso pare difficilmente applicabile a contratti “nuovi”, venuti ad esistenza nel corso delle trattative e pare riferirsi a quelli già in essere al momento di apertura della CNC.
In tal senso è una norma significativa poiché l’invito dell’esperto equivale a una indicazione terza e oggettiva che la revisione dei termini contrattuali è necessaria per il risanamento, in quanto capace di ripristinare la marginalità operativa o consentire remunerazione e rimborso dei debiti. A questa seconda fattispecie si riferisce, ad esempio, la rinegoziazione delle condizioni delle linee di credito in ammortamento, ivi compresi i mutui ipotecari, in cui la modifica – in senso deteriore per il mutuante – dei tassi di interesse o dei termini di pagamento, può consentire il mantenimento o il ripristino dell’equilibrio finanziario.
Tali modifiche in genere portano a misure di forbearance le quali, a loro volta, per gli intermediari finanziari hanno una regolamentazione dettagliata con conseguenze in termini di classificazione e monitoraggio delle esposizioni (deteriorate e non), di assorbimento del capitale di rischio e di accesso al rinnovo o all’ampliamento delle linee di credito dei mutuatari. La disciplina del trattamento delle linee di credito nella CNC è stata integrata dal c.d. terzo correttivo con la modifica dell’art. 18 comma 5 per le misure protettive, che inibisce alle banche di rifiutare l’adempimento dei contratti, di sospenderli o risolverli se oggetto di tali misure, salvo che la sospensione e la revoca non siano disposte per effetto della applicazione della regolamentazione di vigilanza. L’art. 17 comma 5, però, si pone su un piano differente dall’art. 18 comma 5 (che limita i poteri di reazione delle banche in relazione alle misure cautelari confermate dal Tribunale ed ha quindi uno scopo moratorio o di mantenimento dello status quo) e riguarda le manovre operative e finanziarie per perseguire il risanamento (e quindi l’azienda non “as is” ma “to be”).
Circa le condizioni soggettive che devono sussistere affinché l’esperto possa invitare i contraenti alla revisione delle condizioni, il comma 5 dell’art. 17 fa riferimento alle circostanze che: la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, o che si sia alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Tali condizioni non paiono assimilabili alla nozione di eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.; al loro verificarsi, quindi, potrebbe non applicarsi il rimedio della risoluzione, né quello dell’offerta della modifica in senso equitativo delle condizioni contrattuali formulata dalla parte che subisce la richiesta di risoluzione.
D’altro canto, sembra raro che la risoluzione di un mutuo possa essere strumentale al risanamento in continuità. La risoluzione peraltro – pur applicabile al mutuo (in quanto non aleatorio ma, al più, nullo nel caso in cui “l’alea” consegua dalla indeterminatezza delle condizioni che incidono il tasso di interesse; cfr. Cass. n. 36026/2023) – richiede la sopravvenienza di eventi straordinari e imprevedibili fra i quali solo raramente ricadono le cause della crisi. Per certi versi, al contrario, la circostanza che, ad esempio, le condizioni applicate al mutuatario siano gravose ab origine può rappresentare, in re ipsa, l’apprezzamento della sussistenza di un rischio di impresa elevato, così che la successiva crisi del debitore difficilmente potrebbe essere considerata straordinaria o ex ante imprevedibile. Non a caso, il Codice della crisi usa termini diversi facendo menzione, in senso ampio, di “circostanze sopravvenute” che alterano l’equilibrio fra le parti.
Non dovrebbe rendersi necessaria la verifica delle condizioni dell’art. 1467 c.c. per poter dar luogo alle modifiche delle condizioni dei mutui nella CNC, con l’avvertenza che tale rinegoziazione non pare trovare altro luogo possibile per essere formalizzata che gli accordi a cui la CNC darà luogo ex art. 23 del DLgs. 14/2019, in quanto riferita a debiti oggetto di “ristrutturazione”.
Ecco così che, ad esempio, il mutamento (sopravvenuto al mutuo) della redditività operativa del debitore che rende l’EBITDA percentualmente inferiore al tasso di interesse passivo del mutuo, potrebbe rappresentare l’elemento (o uno degli elementi) che consente il ripristino dell’equilibrio reddituale a livello di risultato di esercizio e la generazione di un flusso di cassa libero a servizio del rimborso delle esposizioni finanziarie. L’esempio sembra rappresentativo dell’esigenza sentita in diverse CNC, con riferimento alle quali l’eventuale rifiuto di concordare modifiche alle condizioni che sia motivato dalla insussistenza delle condizioni di cui all’art. 1467 c.c. appare perlomeno dubbio.
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