
Le risorse genetiche dematerializzate (DSI), utilizzate soprattutto nell’industria farmaceutica, la cosmetica e l’agroalimentare, sono una componente chiave della transizione ambientale ed energetica. Chiamate anche “oro verde”, le DSI sfruttano la ricchezza della biodiversità e sono originate dalla raccolta di dati estratti dal patrimonio genetico di piante, animali o microrganismi, che vengono poi archiviati in banche dati mondiali ad accesso libero. Il loro utilizzo consente in particolare di sostituire ingredienti provenienti dal settore petrolifero anche se un uso massiccio di questi dati gratuiti, originati in natura, dipende interamente dalla biodiversità. Argomento al centro della COP16 dedicata alla biodiversità, il lancio del fondo Cali nel corso della COP 16.2 tenutasi a Roma lo scorso febbraio segna sicuramente un progresso. Siamo agli inizi di questa iniziativa destinata a finanziare azioni di tutela della biodiversità attraverso i contributi delle aziende che utilizzano le DSI, anche se siamo convinti che sia urgente finanziare la biodiversità, che è la chiave della transizione.
Si incoraggiano le aziende che ricorrono alle DSI a finanziare il fondo nella misura dello 0,1% del loro fatturato o dell’1% dei loro profitti. Se a lungo termine questo contributo si rivelerà, a nostro avviso, indispensabile per preservare la biodiversità e rendere sostenibile il business model delle aziende che molto dipendono dalla natura, a breve termine però questo può impattare sulla loro valutazione di mercato. Nel caso della società danese di biotecnologie Novonesis, con la quale stiamo facendo engagement dal 2024 per un contributo della stessa alle DSI, l’importo annuale oscillerebbe tra i 4 e i 6 milioni di euro. La progettazione di biosoluzioni consente infatti a Novonesis di posizionarsi direttamente nel segmento delle DSI. Grazie agli organismi viventi, la biotecnologia produce molecole finora sviluppate dalla chimica di sintesi e queste biosoluzioni finiscono col trasformare ogni fase della catena del valore andando a impattare su tutti i settori: biocarburanti, industria alimentare, probiotici, detersivi. Agiscono direttamente sul nostro ecosistema tutelando le risorse della biodiversità e contribuendo in questo modo alla transizione.
Poiché siamo convinti che l’impatto delle aziende sull’ecosistema e sulla biodiversità sia uno dei motori della transizione, ci interessiamo ai leader di ogni settore, come Novartis, che punta alla neutralità carbonica entro il 2040. Il gruppo svizzero è uno dei pionieri nella sfida delle DSI nell’industria farmaceutica. All’inizio degli anni 2000 Novartis concluse un accordo con lo Smithonian Tropical Research Institute dell’Università di Panama per l’analisi delle fonti biologiche provenienti dalla foresta tropicale al fine di sviluppare una cura antitumorale. In cambio di estratti di piante, Novartis trasferisce il suo know-how bioanalitico, contribuisce alla tutela della biodiversità e finanzia i team di ricerca locali.
Numerose sono le sfide. Vanno rafforzate in maniera significativa le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Per preservare la biodiversità, la Banca Mondiale stima il fabbisogno di finanziamenti annuali in 700 miliardi di dollari entro il 2050. All’interno del Gruppo LBP AM, siamo convinti che spetti agli investitori aiutare le aziende a comprendere queste sfide e quali azioni intraprendere. Questa sinergia tra investitori e aziende è fondamentale per affrontare una delle grandi sfide del nostro secolo: la tutela del nostro pianeta.
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