1 Aprile 2025
Investimenti a prova di Trump: ecco come


E’ il fluido magico che fa funzionare i mercati, l’imperscrutabile carburante delle Borse. E quando manca, il motore s’inceppa e i titoli vanno giù. È la fiducia a tenere in piedi il castello della finanza e del risparmio. E con i suoi tira e molla sui dazi e gli attacchi ai partner commerciali, Donald Trump ha sparso massicce dosi di incertezza negli ingranaggi di Wall Street. Dai massimi del 19 febbraio ai minimi del 13 marzo, l’indice S&P della Borsa americana ha perso più del 10 per cento, per poi imboccare un accidentato saliscendi dominato dalla volatilità.

Così i consumatori statunitensi stringono la cinghia, visto che si erano riempiti le tasche di azioni che ora valgono di meno (secondo la banca JP Morgan nella settimana precedente al 5 febbraio ne avevano acquistato per ben 12 miliardi di dollari, un record storico). Tra le preferite c’erano naturalmente la Tesla di Elon Musk, che dall’inizio dell’anno ha perso circa il 40 per cento del suo valore, e Nvidia, giù del 20 per cento. Non solo. In questo clima diventato improvvisamente più cupo le imprese hanno iniziato a interrompere gli investimenti e le assunzioni. Di conseguenza, la produzione e l’occupazione tendono a diminuire. E l’economia rischia di entrare in un circolo vizioso.

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«JP Morgan ha rivisto al rialzo le probabilità di una contrazione economica, portandole dal 30 per cento di inizio anno al 40 per cento, mentre Goldman Sachs le ha aumentate dal 15 al 20» ricorda Edoardo Proverbio, responsabile area investimenti della società svizzera Decalia. «Queste previsioni hanno spinto gli operatori a rivedere al ribasso le stime di crescita del Pil statunitense per il 2025 e il 2026, oltre alle attese sugli utili aziendali, determinando una pressione ribassista sui listini azionari. Un simile nuovo scenario riflette non solo le politiche protezionistiche della nuova amministrazione americana, ma anche i previsti tagli alla spesa pubblica e federale».

Magari la recessione non ci sarà (Proverbio ci crede poco, pensa che un deterioramento drastico dell’economia globale non sia imminente), magari quella della piazza americana è solo una salutare correzione dopo mesi di rialzi. Ma nel dubbio gli investitori internazionali si stanno allontanando da Wall Street alla ricerca di porti più sicuri. E gli occhi sono puntati sull’Europa, dove sembra sorgere il sole della ripresa: la Germania guidata da Friedrich Merz, finalmente meno rigida sul debito pubblico, sta per varare un grande piano di investimenti e questo potrebbe far ripartire il treno delle economie europee. 

Anche dall’Asia arrivano notizie incoraggianti: Il governo cinese ha annunciato un importante piano per il rilancio dei consumi nel Paese, incrementando la domanda interna anche tramite un aumento dei salari. Intanto nei primi due mesi dell’anno le vendite al dettaglio sono aumentate del 4 per cento e la produzione industriale del 5,9, sopra le attese degli analisti.

Il rifugio obbligazionario

Quindi che cosa dovrebbe fare un risparmiatore italiano? Intanto avere un portafoglio ben bilanciato, diciamo con un 60 per cento di titoli di Stato e obbligazioni, e comunque con una rischiosità in linea con le proprie preferenze. «In un contesto di elevata incertezza, più politica, che economica, diventa essenziale adottare un approccio piuttosto prudente, mantenendo un portafoglio ben bilanciato e diversificato sia in termini di asset class, sia per settori, aree geografiche e stili di investimento» suggerisce Proverbio. «Il modo migliore per superare la tempesta dei dazi» aggiunge Nicolò Bragazza, associate portfolio manager di Morningstar Investment Management, «è di avere un approccio di lungo periodo in cui si gestiscono le fluttuazioni di breve periodo tramite un portafoglio ben diversificato tra diverse classi di attivo e che tenga in considerazione le valutazione degli asset, evitando o sottopesando gli investimenti che abbiano un rapporto tra rischio e rendimento poco attraente». 

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In campo obbligazionario Alessandro Parravicini, gestore di lunga esperienza e autore del libro Jungle Guide, il modo più difficile per fare soldi facili (Mondadori) consiglia di puntare su titoli di Stato governativi e obbligazioni corporate di elevata qualità dell’area euro che offrono rendimenti interessanti: «Un Etf Euro Aggregate li comprende entrambi ed è efficiente in termini di costi».

Conferma Bragazza di Morningstar: «Attualmente, le obbligazioni governative offrono rendimenti storicamente elevati, anche fuori dall’area euro, dove la Bce ha avuto un approccio molto più aggressivo sul taglio dei tassi rispetto a Stati Uniti e Regno Unito. Questi strumenti offrono un buon profilo di rischio e rendimento e possono fornire diversificazione di portafoglio in caso di rallentamento significativo dell’attività economica». Ancora Proverbio di Decalia sottolinea che «il decennale italiano è tornato a offrire un rendimento del 3,9 per cento, mentre i titoli dell’Unione europea (rating AAA per Fitch e Moody’s, AA+ per S&P) a dieci anni rendono il 3,3 per cento, livelli molto interessanti in un contesto di taglio dei tassi e che difficilmente ritroveremo tra qualche mese o anno. Tra le altre emissioni governative in euro evidenziamo il decennale polacco (rating A-) che rende circa il 3,8 per cento, quello cileno (rating A-) attorno al 4 e quello messicano (rating BBB) oltre il 5».

Cosa scegliere al supermarket delle azioni

Abbandonando lo scaffale dei titoli americani, su quali azioni dovrebbe orientarsi un investitore? «Il piano di stimoli fiscali in Germania sostiene il recupero dell’azionario euro, che è ancora a prezzi interessanti. Mentre la Cina dovrebbe beneficiare del piano a supporto della domanda interna» dice Parravicini. In Europa, secondo gli esperti, è fondamentale ridurre l’esposizione ai settori più colpiti dai dazi (per esempio l’auto, il lusso, gli industriali, l’acciaio) e puntare su titoli meno sensibili al commercio internazionale, come quelli legati ai servizi domestici (utilities e telecomunicazioni). Comparti come la difesa, l’energia rinnovabile e la sanità tendono a essere meno influenzati dalle tensioni commerciali. «I campi più difensivi, come beni di consumo di prima necessità e quello sanitario, sono piuttosto interessanti» afferma Bragazza «soprattutto se rapportati al minore rischio dei loro fondamentali rispetto a settori più ciclici e volatili come quello tecnologico e quello finanziario». 

Non è del tutto d’accordo Proverbio di Decalia: «Il settore tecnologico, il più penalizzato nelle ultime sedute, presenta valutazioni storicamente significative. Anche il comparto farmaceutico e quello finanziario offrono prospettive da valutare: il primo, per sua natura difensivo, beneficia della crescita demografica e dell’invecchiamento della popolazione, garantendo un flusso costante di ricavi. Tra le aziende più promettenti evidenziamo AstraZeneca, Roche ed EssilorLuxottica». Il secondo, quello finanziario, «oggi più solido rispetto al passato, trae vantaggio da tassi di interesse non più eccessivamente bassi. Le banche europee, ben capitalizzate, stanno valutando diverse opportunità di consolidamento, mentre quelle americane mantengono una posizione dominante a livello globale. I sistemi di pagamento (Visa, Mastercard), i data provider (S&P Global, Moody’s), gli asset manager (BlackRock) rappresentano segmenti con forti prospettive di crescita».

La banca svizzera Ubs ha realizzato un rapporto intitolato Six ways to invest in Europe (Sei modi di investire in Europa) in cui si sostiene che «i principali beneficiari di una ripresa economica in Europa sarebbero le aziende cicliche con un’elevata esposizione ai mercati finali europei». Per esempio «il produttore di beni di lusso Richemont e la compagnia aerea Ryanair hanno segnalato solide tendenze della domanda da parte dei consumatori del Vecchio contienente. Riteniamo che queste aziende, tra cui altre come Accor, siano in pole position per correre in avanti una volta che la ripresa dell’Europa si materializzerà». Per gli analisti di Ubs altre azioni di tenere d’occhio sono Lindt & Sprüngli, Accor, il gruppo chimico svizzero Lonza e Ferrari.

Gli esperti interpellati da Panorama suggeriscono di guardare anche alle utilities come Edf, E.On, Enel, poco sensibili ai cicli economici; alle società Nestlè, Unilever, Sap, Infineon, Webuild, EssilorLuxottica, Diasorin e naturalmente ai colossi delle produzioni militari come le francese Thales, la tedesca Rheinmetall, l’inglese Bae Systems e l’italiana Leonardo.

In Borsa con l’elmetto

 Ma sui titoli della difesa, trascinati verso l’alto dalle aspettative di aumento della spesa militare, va fatto un discorso a parte. La piattaforma di trading eToro ha condotto un’interessante analisi mettendo a confronto l’andamento delle Magnifiche 7, cioè le principali società tecnologiche statunitensi (Apple, Amazon, Alphabet, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla), con le sette aziende leader del settore della difesa in Europa: Bae, Dassault Aviation, Leonardo, Rheinmetall, Rolls-Royce, Safran e Thales. Il risultato è impressionante: in un anno le Magnifiche 7 sono salite del 22 per cento, mentre le sette star della difesa europea hanno messo a segno una performance dell’84 per cento! Nel giro di tre anni le prime sono salite del 102 per cento, le seconde del 354. «Tutte le principali aziende della difesa europea si trovano in territorio ipercomprato» afferma Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Ciò non significa necessariamente che il trend sia destinato a invertirsi, ma rende certamente il settore più vulnerabile a eventuali delusioni o ritardi nei programmi di spesa. Gli investitori dovrebbero tenere d’occhio se questi piani e impegni si concretizzeranno in finanziamenti e spese concrete nei prossimi mesi». 

Su Leonardo, in particolare, Debach è molto positivo: «L’alleanza già consolidata con Rheinmetall e il recentissimo accordo con il gruppo turco Baykar, leader nei droni militari, confermano Leonardo come un player sempre più integrato negli scenari geopolitici attuali. La società è poi in trattative avanzate anche per una nuova joint venture nel settore Aerostrutture, potenziale nuovo catalizzatore per il titolo, con uno sguardo sempre sulla divisione difesa di Iveco».

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Quanto durerà la turbolenza?

 Secondo Parravicini «è difficile prevederlo; i mercati resteranno volatili finché non sarà chiaro l’esito della guerra dei dazi di Trump. Una volta stabilito che cosa e quanto verrà tassato, i portafogli si aggiusteranno e potremo guardare avanti. Come minimo dobbiamo aspettare aprile, con l’annuncio dei dazi per l’Europa». Concorda Bragazza di Morningstar: «È molto pericoloso fare previsioni che inevitabilmente rischiano di rivelarsi inaccurate. Inoltre è evidente che alcune fonti di instabilità, come la politica commerciale americana, non sono facilmente prevedibili in quanto si basano su fattori che esulano dalle logiche del mercato e, al tempo stesso le imprese possono spesso adattarsi rapidamente a essa». 

Ma investire negli Usa ha ancora senso?

 Se Wall Street non si avviterà in una caduta catastrofica, investire in azioni americane ha senso. L’Economic team di Payden & Rygel, società di gestione americana con sede a Los Angeles, sostiene che «nonostante il pessimismo della stampa, crediamo che l’economia Usa abbia ancora spazio per crescere: il rapporto sull’occupazione di febbraio mostra come i consumatori statunitensi stiano registrando una crescita del reddito reale, con un aumento annuo del reddito nominale aggregato pari al 5 per cento, ben oltre la media di lungo periodo del 3,6 per cento e al di sopra del tasso di inflazione». Anche la banca Hsbc resta ottimista in particolare sulle valutazioni tecnologiche statunitensi, convinta che «la sottoperformance delle principali società tecnologiche ha portato a rapporti prezzo-utile più interessanti. La banca ritiene che le prospettive a medio-lungo termine per le azioni potrebbero diventare più costruttive se la situazione tariffaria si stabilizzasse e venissero introdotte ulteriori misure fiscali e di deregolamentazione negli Stati Uniti».

Insomma, incrociamo le dita. Le correzioni in Borsa, con cali tra il 10 e il 20 per cento rispetto ai massimi precedenti non sono infrequenti e non indicano necessariamente una recessione imminente, tanto che dal 1990 in poi si sono registrate ben 12 flessioni dell’indice S&P 500 senza che seguisse alcuna recessione. Prima di scommettere contro gli Stati Uniti, bisognerebbe dunque tenere a mente la storia del mercato azionario e monitorare i fondamentali macroeconomici, non soltanto i titoli di giornale.



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