
Il piano per blindare Kiev dalle minacce della Russia: meno soldati e più tecnologia, con l’aiuto europeo
Droni e missili a lungo raggio costruiti a tempo di record e a basso costo, anche con i fondi europei: la trasformazione dell’Ucraina in un «porcospino d’acciaio» è già cominciata. Nell’intervista pubblicata ieri dal Corriere, Ursula von der Leyen ha rilanciato l’idea di un Paese blindato, super armato e quindi difficile da espugnare. L’immagine di una fortezza irta di spine viene spesso usata per descrivere il sistema difensivo di Israele o, forse in modo più appropriato, quello di Taiwan.
È la prospettiva che potrebbe consentire all’Ucraina di proteggere la propria indipendenza?
Emmanuel Macron ha annunciato che nei prossimi giorni «una task force» franco-britannica arriverà a Kiev per studiare come «rafforzare» l’esercito nazionale.
Da mesi Volodymyr Zelensky chiede agli Stati Uniti e ai Paesi europei che nel negoziato con la Russia siano previste «garanzie di sicurezza», vale a dire una forza di deterrenza che costringa Vladimir Putin a rinunciare ad altri attacchi.
Il dilemma
Il problema numero uno è che, nel breve periodo, senza il contributo degli americani tutto diventa molto difficile. Ma, almeno finora, Donald Trump è stato netto: gli Stati Uniti non saranno coinvolti; toccherà agli Stati europei proteggere l’Ucraina.
Si può fare? Diversi centri studi, come l’«Atlantic Council» di Washington e il «Bruegel» di Bruxelles, sostengono che si dovrebbe partire dall’industria militare ucraina, in crescita tumultuosa e con ancora grandi potenzialità. Un solo dato: nel febbraio 2022 praticamente tutte le armi usate per respingere i russi erano state costruite all’estero o provenivano da obsoleti depositi risalenti all’epoca sovietica.
Oggi il 40% del fabbisogno militare è prodotto in casa. È un processo iniziato grazie all’adozione del «modello danese». Nel 2024 la Danimarca non aveva più armi da inviare a Kiev. Il governo decise allora di coprire i contratti conclusi da Zelensky con le industrie domestiche: 50 milioni di euro per la produzione di 18 moderni missili a lungo raggio, i «Bogdana». Nel giro di due mesi gli ordigni furono consegnati al fronte. Norvegia, Svezia, Lituania e Islanda hanno seguito l’esempio danese.
Risultato: oggi le fabbriche ucraine possono assemblare circa 16 «Bogdana» al mese, quasi 200 all’anno. Il costo unitario è pari a 2,3 milioni di euro, di gran lunga il più basso in Occidente e competitivo anche con quello dei missili, meno sofisticati e con gettata minore, schierati dalla Russia.
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L’altro fenomeno clamoroso è lo sviluppo dell’industria dei droni. All’inizio della guerra in Ucraina esisteva una manciata di aziende specializzate; adesso sono oltre 200. Nel 2024 hanno messo in campo più di 1,5 milioni di droni, cioè il 96% del fabbisogno. Entro il 2025 la produzione supererà i 4 milioni di apparecchi con la visione completa del campo di battaglia. Leader mondiali e, ancora una volta, a costi contenuti: 500 euro per ogni dispositivo, contro una media occidentale di 1.800 euro.
Droni e missili a lungo raggio rappresentano le basi materiali del piano «porcospino d’acciaio». E per diverse multinazionali europee costituiscono un’inaspettata opportunità di investimento in Ucraina. I tedeschi di Rheinmetall hanno aperto stabilimenti per produrre armi, munizioni, blindati e panzer. Il gruppo franco-tedesco Knds costruirà carri armati. I francesi di Thales si sono associati con la locale Ukroboronprom per sviluppare, tra l’altro, sistemi di difesa aerea e di radar. Occorrono, però, altri fondi pubblici o privati che siano. Gli ucraini, pur continuando a premere sugli americani, chiedono un ulteriore sforzo ai Paesi europei. Finora sono stati stanziati 16 miliardi di euro per investimenti industriali: ne servono altri 18 per arrivare alla piena capacità produttiva dell’apparato ucraino nel 2025.
Il modello
Tutto ciò, però, potrebbe non bastare. Oggi il Paese è difeso da un milione di militari. Esausti. Il governo ucraino punta su un modello di difesa iper tecnologico che possa risultare efficiente anche con l’impiego di meno soldati. Proprio come insegna l’esperienza di Israele e di Taiwan.
È un obiettivo raggiungibile? Dipenderà dall’esito del negoziato con la Russia. Zelensky e diversi leader europei, Macron in testa, dubitano che Putin abbia davvero intenzione di deporre le armi. Potrebbe anche sottoscrivere una tregua formale, ma continuerà la guerra, magari riducendone l’intensità. In quel caso l’esercito ucraino avrà bisogno di rinforzi. Subito. Ecco perché il presidente francese e il premier britannico Keir Starmer insistono sull’invio di un contingente militare, anche solo per presidiare alcune aree interne strategiche.
Nell’immediato, però, sarebbe necessaria anche la copertura degli Stati Uniti. Nel concreto: la contraerea delle batterie Patriot e le informazioni di intelligence che consentono agli ucraini di monitorare i movimenti dei russi sul terreno. E qui le analisi dei militari cedono il passo alla politica e alla diplomazia. Obiettivo: strappare almeno qualche concessione non a Putin, ma a Trump.
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