
Le omissioni contributi sono un aspetto molto frequente nelle carriere di molti lavoratori. I contributi previdenziali rappresentano ciò che occorre versare per accedere, al momento opportuno, alla pensione. Questo momento dipende sia da un requisito anagrafico – raggiungere una certa età – sia da un requisito contributivo, ossia aver versato un numero sufficiente di anni di contributi.
Le omissioni contributive sono un fenomeno che, in alcuni casi, può penalizzare seriamente il lavoratore al momento del pensionamento. Infatti, senza il corretto numero di contributi, si rischia di non maturare il diritto alla pensione, oppure di percepire un importo pensionistico inferiore.
L’omissione contributiva può riguardare i lavoratori autonomi, che in fasi di difficoltà economica non riescono a sostenere l’onere del versamento.
Ma può interessare anche i datori di lavoro, che, per le stesse ragioni o per semplice negligenza, non versano i contributi dovuti per i propri dipendenti. Questo vale sia nel settore privato che in quello pubblico.
Pensioni, omissioni e contributi prescritti: ecco la proroga che salva le PA
Ed è proprio sul fronte delle omissioni contributive nel settore pubblico che arriva una novità rilevante. La prescrizione – ovvero quel meccanismo che, decorso un determinato periodo di tempo, rende impossibile sanare omissioni pregresse – viene prorogata.
Ai datori di lavoro della Pubblica Amministrazione (PA) viene concesso un ulteriore anno per regolarizzare le omissioni contributive dei propri dipendenti. Le amministrazioni pubbliche avranno tempo fino al 31 dicembre 2025 per mettersi in regola, come previsto dall’articolo 1, comma 2, lettere a e b del cosiddetto Decreto Milleproroghe (DL n. 202 del 2024).
Le disposizioni del decreto sono state recepite e confermate dall’INPS, che ha pubblicato la circolare n. 70 del 2025.
Ecco perché nel settore privato le omissioni contributi sono meno frequenti rispetto al pubblico
La circolare INPS, in linea con il Decreto Milleproroghe, certifica lo slittamento di un anno dei termini di prescrizione, permettendo la regolarizzazione entro il 31 dicembre 2025. Si precisa inoltre che la sanatoria può riguardare non solo i contributi previdenziali, ma anche quelli relativi a TFR e TFS. Si tratta quindi di una proroga ampia e strutturale.
Non sono solo i dipendenti delle PA a rientrare in questa proroga, ma anche i collaboratori. Una novità passata forse sotto silenzio, ma che coinvolge un numero elevato di contribuenti.
Chi crede che le omissioni siano più frequenti nel settore privato dovrà ricredersi. Poiché, nel settore privato, l’INPS è quasi sempre l’ente unico che gestisce le posizioni assicurative, le situazioni irregolari sono meno diffuse. Nel settore pubblico, invece, la molteplicità degli enti previdenziali ha prodotto più errori e maggiore disordine, rendendo le omissioni molto più comuni e aumentando le posizioni da sanare.
Chi paga la sanatoria entro il 31 dicembre 2025?
Le differenze tra settore pubblico e privato non si limitano alla sola proroga. Per evitare sanzioni e penalizzazioni, alle amministrazioni pubbliche è concesso più tempo per sistemare le irregolarità. Ma deve essere anche sottolineato che, nel pubblico, il costo della sanatoria è a carico dello stesso ente che ha commesso l’omissione.
Nel settore privato, invece, questo non accade. E non solo per i lavoratori autonomi, dove chi versa, chi omette e chi sana è sempre la stessa persona. Anche per i lavoratori dipendenti, a meno che non si riesca a rintracciare un datore di lavoro ancora attivo e disposto a sanare l’omissione, l’onere economico ricade sul lavoratore.
In questi casi entra in gioco lo strumento della costituzione della rendita vitalizia, che è interamente a carico del dipendente. Il lavoratore si trova così a coprire buchi contributivi che non ha generato, assumendosi tuttavia il peso finanziario della regolarizzazione.
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