2 Aprile 2025
Stipendi italiani troppo bassi, ci sono 5 rimedi anti-inflazione


Un recente report dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) indica numeri e percentuali che non fanno dormire sonni tranquilli all’Italia. Nel periodo 2008/2024, infatti, i salari dei lavoratori italiani hanno perso l’8,7% del loro potere d’acquisto. Un piccolo sussulto, in verità, c’è stato nel 2024, con una crescita media delle retribuzioni pari al 2,3%, controbilanciata però da due anni di cali consecutivi, pari al 3,2% nel 2022 e al 3,3% nel 2023.

Una complessiva diminuzione che preoccupa e che stona con l’incognita inflazione e con il carovita percepibile nei supermercati e nei negozi: conflitti internazionali, crisi finanziaria e dell’energia, con appesantimento dei costi delle bollette, diffusione di attività lavorative non stabili e mancato o tardivo rinnovo dei contratti collettivi sono alcuni dei fattori che hanno influito su un dato percentuale, che rende il nostro Paese fanalino di coda tra le economie evolute del G20.

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L’Italia produce e riduce la disoccupazione, ma non riesce a dare stipendi più sostanziosi, alimentando le turbolenze dei sindacati che chiedono risposte esaurienti al mondo della politica. D’altronde, le domande sorgono spontanee: c’è una via d’uscita da questo scenario? Si può recuperare terreno rispetto al carovita? Proviamo insieme a capire con quali strumenti e strategie è possibile invertire un trend complessivamente negativo e gravante soprattutto sulle retribuzioni più basse.

Introduzione del salario minimo legale

Strumento per garantire una retribuzione di base equa, soprattutto nei settori più esposti al lavoro povero, il salario minimo legale potrebbe contribuire a risolvere l’annoso problema delle paghe basse. In questi mesi, si è discusso molto a livello politico e sindacale di questo argomento e presumibilmente il tema continuerà a restare caldo anche in futuro.

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Per salario minimo legale, si intende una soglia retributiva fissata dal legislatore sotto la quale nessun lavoratore, al di là del settore di attività, può essere pagato. In altre parole, l’introduzione del salario minimo legale significherebbe che, anche nei settori in cui non esiste un Ccnl o in cui la retribuzione prevista dai contratti collettivi è molto bassa, aziende e datori di lavoro sarebbero tenuti a garantire almeno la paga minima stabilita dalla legge.

L’effettiva soglia potrebbe essere fissata sulla scorta di parametri economici come:

  • l’inflazione;
  • il costo della vita;
  • la produttivitĂ  media.

Il salario minimo legale andrebbe incontro, in particolare, ai ceti bassi della popolazione, che più risentono del calo del potere d’acquisto dei salari, perché i prezzi sono aumentati maggiormente per i beni e i servizi di prima necessità rispetto all’indice generale.

Ulteriore taglio del cuneo fiscale

Differente strategia per accrescere il potere d’acquisto dei salari reali è la riduzione del cuneo fiscale, o meglio la sua ulteriore riduzione. La ricetta di abbassare il costo del lavoro abbassando le imposte sui salari, grazie all’aumento di detrazioni fiscali o al taglio dei contributi previdenziali migliorerebbe il netto in busta paga, senza pesare sulle tasche dei datori di lavoro.

Ricordiamo che il cuneo fiscale altro non è che la differenza tra il costo del lavoro gravante sull’azienda e il reddito netto percepito dal lavoratore. Questa differenza è costituita dai contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro, come anche dalle imposte sul reddito, come Irpef e addizionali regionali e comunali.

Il cuneo fiscale fa spesso capolino nelle leggi di Bilancio, perché ridurlo è una delle strategie più utilizzate dai governi per aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e incentivare l’occupazione, senza imporre aumenti salariali diretti alle aziende.

Ma attenzione, perché la presenza del cuneo in manovra o in riforme fiscali o decreti legge ad hoc ha un inevitabile costo per lo Stato. Tagliare contributi o imposte riduce le entrate pubbliche e, di conseguenza, ogni intervento dovrà essere studiato e finanziato, trovando risorse altrove o aumentando il deficit. Il rischio di una coperta corta è quindi molto alto.

Rinnovi piĂą frequenti dei contratti collettivi

Al fine di garantire aumenti salariali proporzionati al carovita, il ruolo dei contratti collettivi è centrale. Anzi, a ben vedere, negli ultimi anni i rinnovi dei Ccnl sono stati spesso ritardati rispetto alla loro scadenza naturale. Una situazione incerta e fumosa, spesso dovuta alle difficoltà nelle trattative tra sindacati e aziende, che ha gravato sui dipendenti, con conseguente perdita del potere d’acquisto. I salari, infatti, non sono stati adeguati in modo tempestivo all’aumento dei prezzi.

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Da notare, inoltre, che in alcuni settori i rinnovi sono stati addirittura condizionati da altre misure di contenimento della spesa dello Stato, come nel settore pubblico, in cui i rinnovi sono stati legati a vincoli fiscali e politiche di austeritĂ .

Il rinnovo più frequente e tempestivo dei Ccnl (insieme all’applicazione del meccanismo di indicizzazione parziale) potrebbe contribuire a contrastare la diminuzione del potere d’acquisto dei salari reali.

Investimenti in digitalizzazione, formazione e automazione

Come aumentare la produttività e giustificare così salari più alti? La risposta sta anche nell’iniziativa di quelle imprese che investono in tecnologie innovative e migliorano i processi produttivi. Come in un circolo virtuoso, le stesse risorse – tempo, lavoro e capitale – possono essere sfruttate in modo più efficiente, per produrre di più. In altre parole, se la produttività cresce, le aziende riescono a produrre di più con lo stesso numero di dipendenti.

E, solitamente, un aumento della produttività è collegato a un miglioramento dei salari, perché i datori di lavoro, vedendo accresciuti i loro profitti o la loro competitività, saranno in grado di offrire stipendi più elevati senza subire perdite economiche. Ecco allora che il salario reale può salire, compensando i costi crescenti legati all’inflazione e alle tensioni internazionali.

Al contempo, anche investire con lungimiranza nella formazione dei dipendenti non solo aumenta la produttività, ma può portare a una rete di posti di lavoro qualificati e meglio retribuiti. In sintesi, se le aziende sono più competitive e produttive, possono avere bisogno di più lavoratori specializzati, il che può portare ad un incremento dell’occupazione di qualità e, dunque, a salari più alti per i lavoratori qualificati.

Incentivi fiscali e bonus alle aziende

Infine, una strutturale rete di incentivi fiscali alle aziende, magari quelle che assumono con contratti a tempo pieno e indeterminato, può efficacemente contribuire al contrasto al precariato e al part-time involontario.

Anche questo può contribuire all’aumento del potere d’acquisto dei salari dei dipendenti, indipendentemente dalla firma di rinnovi contrattuali. Sulla stessa linea si collocano, a ben vedere, anche gli sgravi fiscali per le spese essenziali delle famiglie a basso reddito (affitti, bollette e trasporti pubblici).

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Un mix di queste strategie potrebbe portare a un strutturale aumento del potere d’acquisto e a una riduzione delle disuguaglianze salariali nel nostro Paese. Certamente, un cambiamento non dall’oggi al domani, ma che possa fornire basi solide per il futuro.





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