
Ha senso, in un Paese che spende per il solo dissesto idrogeologico in media 4,5 miliardi di esborsi pubblici all’anno per far fronte alle emergenze – che salgono a oltre 8 miliardi aggiungendo terremoti e altre categorie di rischio – considerare una catastrofe, “tassa occulta”, “assurdo balzello” “tassa sulla disgrazia” la polizza assicurativa contro i danni catastrofali? Ha ancora senso la tenace opposizione trasversale che unisce le associazioni imprenditoriali – dalla Cna a Confartigianato, da Casartigiani a Confcommercio, da Confesercenti a Confcooperative e ovviamente in prima fila la Confindustria – nel pressing tra i palazzi della politica contro il sacrosanto obbligo dell’auto-protezione?
Il governo, in ogni caso, ha retto il fronte dell’obbligo della polizza assicurativa per le imprese a copertura dei danni da calamità naturali e eventi catastrofali, previsto all’articolo 1 della legge 30 dicembre 2023 n. 213 e, con il decreto di proroga del 28 marzo scorso, ha fatto slittare dal 1 aprile al 1 ottobre l’obbligo per imprese di medie dimensioni e al 1 gennaio del 2026 per le micro e piccole imprese. Per le grandi imprese resta però ferma l’applicazione dell’obbligo assicurativo con decorrenza da oggi 1 aprile, con i benefici dell’assenza di sanzioni per 90 giorni e della salvaguardia nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni finanziarie pubbliche anche in caso di eventi catastrofali.
Dopo almeno 40 anni di boicottaggi, di tentativi di parlamentari e di vari governi, è una novità necessaria per la nostra amata Italia hot spot di ogni rischio naturale prodotto dalla supremazia della Natura – spesso con il nostro contributo -, e di fronte all’escalation di vittime e di danni per i tragici effetti di alluvioni, frane, terremoti e altri eventi devastatori che ci lasciano senza fiato. Possibile che all’autolesionismo di aver contribuito a creare condizioni dir rischio si debba aggiungere l’autolesionismo di restare senza coperture finanziarie in caso di danni?
L’Italia ha bisogno di un bagno nella realtà e dell’assunzione di responsabilità. Basta promettere finte sicurezze che in molti luoghi non esistono, come dimostrano centinaia di case o capannoni industriali o supermercati travolti dalle piene. Basta con il far credere che arrivino sempre fondi pubblici e risarcimenti di Mamma-Stato ai privati, perché da almeno una quindicina di anni non è così. Solo il totale scollamento dalla realtà può far ancora immaginare coperture totali e a volte anche parziali che non esistono più. Non c’è più Pantalone! I governi, tutti i governi, ormai dal Fiscal Compact del Governo Monti nel 2011, non garantiscono più coperture con fondi di bilancio per famiglie e imprese colpite da catastrofi se non per un 10% circa, e con ritardi clamorosi. Nell’Italia case history mondiale di rischi da non dormirci la notte, l’unica verità è che nessuno risarcisce e risarcirà gli alluvionati o i franati e anche le ricostruzioni finanziate sono lentissime.
Nel Paese molto sotto-assicurato che siamo, che senso ha continuare a illudere gli italiani alimentando l’allergia alla copertura assicurativa. Liquidarla come “nuova odiosa tassa”. E tanti ne sono anche convinti, vantando un presunto diritto al risarcimento totale a carico dello Stato. La verità amarissima è che non c’è alcun obbligo di legge che impone allo Stato di coprire i danni a proprietà private. Solo le ricostruzioni post-terremoto restano a totale carico dello Stato, ma con tempistiche ultra-ventennali di realizzazione. E, tanto per stare sulle cifre, lo Stato sta impegnando oggi ben 53 miliardi di euro per ricostruire città e paesi dopo i crolli dei soli 3 peggiori disastri sismici degli ultimi 15 anni: L’Aquila 2009 per 17,4 miliardi, l’Emilia 2012 per 13 miliardi e il Centro Italia 2016-2017 per 23,5 miliardi. Restare al fondo classifica tra i Paesi più avanzati e più a rischio per forme assicurative contro catastrofi di ogni tipologia, non ha più senso. Oggi – per tutti – serve senso di realtà, far crescere la consapevolezza dell’esposizione ai rischi e delle tutele.
La protesta, sia chiaro, ci può stare. In parte c’è qualche ragione nell’indicare una quota di 4 milioni di aziende nel “caos per una tempistica non coerente con la portata dell’operazione”, come scrivono le associazioni di categoria, anche se ci sarebbero sedi e tavoli e tempo per risolvere questioni aperte, come le difficoltà applicative del regolamento attuativo o i ritardi del portale IVASS dove poter comparare offerte e costi dei contratti assicurativi.
La legge prevede polizze contro danni da catastrofi a “terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali e commerciali”. Esclude i beni immobili “gravati da abuso edilizio o costruiti in carenza delle autorizzazioni previste”. Esclude dal “pacchetto” le imprese agricole nonostante perdite da alluvioni e siccità clamorose – le ultime 9 gravi siccità dal Duemila ad oggi sono costate allo Stato circa 20 miliardi di risarcimenti e interventi in emergenza in ogni regione -, e le aziende agricole assicurate sono appena 74 mila, all’incirca il 10% del totale.
L’articolo 3 del decreto elenca gli eventi catastrofali coperti dalle polizze: alluvione, inondazione ed esondazione; sisma; frana e scivolamento o distacco rapido di roccia, detrito o terra lungo un versante o un intero rilievo. La polizza non copre invece i danni conseguenza diretta del comportamento attivo dell’uomo o i danni a terzi provocati da beni assicurati a seguito di eventi (ad esempio, il furto di macchinari che si verifica a seguito dell’evento catastrofale). L’adeguamento periodico dei premi è determinato “in misura proporzionale al rischio”, tenendo conto delle vulnerabilità dei territori e dei beni assicurati, sulla base delle serie storiche e delle mappe di pericolosità e rischiosità. Lo Stato mette in campo la possibilità di riassicurazione con SACE, il gruppo assicurativo-finanziario pubblico controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e specializzato nel sostegno alle imprese, dotato di un budget fino a 5 miliardi, e può coprire gli indennizzi fino al 50%.
Tra dubbi e incertezze e disorientamento, la strada della prevenzione strutturale la indica con realismo Federica Brancaccio, la presidente dell’ANCE, l’associazione nazionale dei costruttori edili. Brancaccio va al punto, e su Diac, il quotidiano online delle costruzioni e delle infrastrutture diretto da Giorgio Santilli, con Maria Cristina Carlini spiega che: “…la proroga è necessaria perché ci sono ancora una serie di punti oscuri da chiarire…Noi abbiamo avuto perplessità non tanto sulla opportunità di assicurarci anche privatamente ma sul fatto che devono essere chiari i contorni, come nel caso dell’assicurazione per inondazioni e alluvioni. La questione è questa: c’è l’alluvione ma se poi c’è una responsabilità, per esempio, della parte pubblica che non ha fatto manutenzione, che non ha pulito gli alvei e che non ha fatto le vasche di laminazione, insomma, che non ha fatto tutto quello che si dovrebbe fare, che cosa succede? È evidente che c’è un rischio di contenzioso e viene chiamata in causa anche la parte pubblica. La preoccupazione che abbiamo è che alcuni territori magari già più esposti e comunque più fragili, possano subire un ulteriore aggravio di costi perché è chiaro che se vai ad assicurare qualcosa in un territorio a rischio alluvione, dovrebbe essere più costoso. Per questo, chiediamo un’attenzione a calmierare i tassi con una sorta di mutualizzazione, un riequilibrio considerando che ci sono territori più fortunati rispetto ad altri”.
Aspetti da chiarire prima possibile per scongiurare il rischio, avverte Brancaccio, “di fare polizze che poi magari danno luogo solo a contenziosi e non raggiungono l’obiettivo che ci si è prefissati, che è di distribuire il rischio e alleggerire il peso di un eventuale calamità naturale sui bilanci dello Stato“. Per ANCE il primo obiettivo per tutti resta quello della prevenzione strutturale costante, della messa in sicurezza degli edifici sotto il profilo della resistenza sismica che consente di salvare vite umane, di un piano strutturale di intervento contro il dissesto idrogeologico.
E resiste anche il tabù dell’assicurazione dell’abitazione. Mancano, infatti, dalla nuova normativa, le case. Dei 35,6 milioni di unità abitative, il 52% è coperto da polizze solo anti-incendio, e appena il 4,9% con estensioni per eventi calamitosi nonostante l’esposizione al rischio del 75% delle abitazioni. Le polizze oggi attive per il rischio terremoto sono appena 579 mila, per il rischio alluvione 275 mila e per entrambi i rischi 496 mila. Solo nelle città di Trento, Firenze, Siena, Mantova e Brescia si raggiunge il 10%, ma la media in tutto il Nord crolla al 6,2%, al Centro-Sud la polizza si ferma sotto il 4%, e in Sicilia, Molise e Basilicata non supera l’1%.
E meno del 40% dell’edilizia produttiva con stabilimenti e macchinari annessi è coperta da danni, soprattutto per alluvioni. L’assenza così diffusa delle coperture assicurative è un inedito europeo e tra i Paese industriali. Il confronto è disarmante con il 63% dei beni privati assicurati in Germania, il 59% in Francia, oltre 50% in Olanda e Danimarca, come rileva la Banca Centrale Europea.
Le polizze entrarono nell’Accordo sul clima siglato a Parigi il 12 dicembre 2015, con l’articolo 8 che invitava tutti i Paesi, per ridurre al minimo perdite e danni, a dotarsi di “strumenti di assicurazione rischi, mutualizzazione dei rischi climatici e altre soluzioni assicurative”. E quasi ovunque, eccetto che in Italia, sono in vigore sistemi di gestione del rischio con partnership tra assicurazioni private e, a vario titolo, con l’intervento dello Stato. In Francia vige un modello pubblico-privato con le assicurazioni contro l’incendio che includono automaticamente la copertura dei rischi catastrofali, e lo Stato interviene come riassicuratore finale tramite la “Caisse Centrale de Réassurance”. Un sistema simile è attivo in Spagna con il “Consorcio de Compensación de Seguros” gestito dal Ministero dell’Economia come riassicuratore con polizze assicurative standard. In Romania c’è l’obbligo di assicurarsi, e un partenariato Stato-privato interviene in caso di perdite straordinarie. In Germania le assicurazioni offrono polizze per coprire i danni, nel Regno Unito l’assicurazione della casa copre anche rischi da terremoti, alluvioni e tempeste coperto da partnership pubblico-privato, in Grecia dove l’assicurazione ha una bassissima adesione modello Italia al 5% è stata prevista l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria. Negli Stati Uniti a livello federale il “National Flood Insurance Program” è il programma di assicurazioni contro le inondazioni e la “Federal emergency management agency” la impone per abitazioni e aziende in aree a rischio. Per il rischio sismico, dal 1996 la California earthquake authority offre coperture assicurative obbligatorie per tutti. In Canada c’è l’assicurazione contro alluvioni e terremoti. In Cile la penetrazione assicurativa di polizze per danni da terremoto sono integrate belle assicurazioni immobiliari. In Giappone si assicurano contro i terremoti, come in Cina e Nuova Zelanda.
Le compagnie assicuratrici calcolano i premi della polizza sulla base di parametri che vanno dall’anno di costruzione dell’immobile alla distanza dai corsi d’acqua o da versanti in frana o di fragilità costruttive in aree sismiche. Tra le clausole si chiede all’assicurato di adottare misure per non aggravare l’esposizione al rischio e di regolarizzare eventuali abusi. E forse dietro i nostri No alla polizza c’è anche il timore che possa tornare a galla uno degli storici motivi del tabù delle polizze sui quali lo Stato ha sempre chiuso e continua a chiudere gli occhi: l’abusivismo. Non è un caso che le proposte della “Carta d’identità dell’immobile” o del “Libretto di fabbricato” sono sempre respinte a grandissima maggioranza in Parlamento.
E quando sentiamo ripetere che non possiamo permetterci la polizza sulle catastrofi andrebbe sempre ricordato che siamo quel Paese con spesa media annua per italiano di oltre 1.500 euro buttati in gratta e vinci, slot machine, Lotto, Superenalotto…
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