
Le recenti decisioni dell’Amministrazione Trump in tema di politica commerciale hanno suscitato non poche perplessità nei mercati internazionali. A un’analisi superficiale, queste scelte potrebbero sembrare frutto di un atteggiamento impulsivo; eppure, una logica di fondo – seppur di breve termine – appare evidente.
Ogni decisione, ogni cambio di rotta, sembra rappresentare una mossa tattica, un’azione finalizzata al ritorno immediato piuttosto che alla costruzione di un equilibrio duraturo.
È il caso della recente escalation nella guerra commerciale con la Cina, condotta con una fermezza che ha coinvolto – spesso in modo incomprensibile – anche i partner storici degli Stati Uniti. Il risultato? Un mercato disorientato, un clima di incertezza e un’impennata delle speculazioni finanziarie.
La sospensione temporanea dei dazi per 90 giorni, con l’esclusione della Cina, rappresenta un’occasione che l’Europa non può permettersi di sprecare. In questo periodo di “pace armata” è indispensabile avviare un dialogo costruttivo che conduca a un’intesa stabile e favorevole per entrambe le sponde dell’Atlantico.
Nel passaggio da una logica globalizzata a un approccio semi-protezionista, le aziende italiane – in particolare quelle attive nella produzione di macchine utensili – si trovano a operare in un contesto di grande instabilità. Basti pensare che nel 2024 gli Stati Uniti hanno rappresentato il primo mercato di sbocco per il nostro export di settore, con un valore pari a circa 600 milioni di euro, equivalente al 10% della produzione nazionale.
Tuttavia, l’incertezza generata dalle politiche doganali scoraggia gli investimenti: le imprese americane esitano a confermare ordini in attesa di chiarimenti sui costi finali, e questo rallenta la catena produttiva anche nei settori a valle come l’automotive, l’elettrodomestico e la componentistica.
La produzione industriale richiede un contesto stabile e regole certe. Gli Stati Uniti hanno bisogno delle nostre tecnologie, delle nostre macchine avanzate, ma devono essere messi nelle condizioni economiche di poterle acquistare. Pensare a una delocalizzazione della produzione italiana negli Usa è un’ipotesi irrealistica: i distretti produttivi e le competenze non sono replicabili in tempi brevi né trasferibili con facilità.
È fondamentale, quindi, che l’Europa mantenga una posizione razionale ma ferma. Il nostro continente ha un grande peso specifico sia come esportatore che come importatore di beni e servizi americani. Occorre costruire una relazione fondata su rispetto reciproco, gradualità e una visione strategica condivisa.
Al tempo stesso, il Governo italiano è chiamato a svolgere un ruolo chiave. Deve agire su due fronti: sostenere le trattative europee con gli Usa e predisporre un piano d’emergenza per tutelare le imprese italiane nel caso si tornasse a uno scenario protezionista.
Tra le misure prioritarie:
– Riduzione del costo dell’energia, per rendere più competitivo il nostro sistema industriale;
– Rilancio del piano Transizione 4.0, con un aumento delle aliquote di credito d’imposta per chi investe in tecnologie green e sostenibili;
– Revisione del Green Deal europeo, ponendo l’accento sulla neutralità tecnologica e sull’importanza del risultato – la sostenibilità – rispetto al metodo.
Queste iniziative devono essere il segnale chiaro che l’Italia è pronta a difendere il proprio tessuto produttivo, a supportare le sue imprese e a garantire un futuro di crescita, anche in un contesto internazionale incerto e mutevole.
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