16 Aprile 2025
Il riarmo dell’Ue (e dell’Italia)


In un contesto globale già segnato da tensioni commerciali e conflitti geopolitici, la scelta dell’Unione Europea di sostenere e finanziare il riarmo nazionale – che non ha nulla a che fare con la difesa comune europea – è una scelta sbagliata e pericolosa sia perché allontana, anziché avvicinare la soluzione delle guerre in corso, sia perché avrà profonde conseguenze sul sistema economico e sul quadro di finanza pubblica.

Le motivazioni ufficiali sono altre, ma in realtà la svolta nasce innanzitutto come risposta alla crisi strutturale del modello di sviluppo della Germania – fortemente orientato alle esportazioni e all’austerità interna (pareggio di bilancio) – che versa in recessione economica da due anni consecutivi.
A metà marzo – da un lato – la Commissione Europea ha presentato il Libro Bianco “European Defence – Readiness 2030”, che rende operativo il Piano “ReArm Europe” garantendo ai Paesi UE maggiore flessibilità finanziaria e – dall’altro – la Germania ha deciso un allentamento del c.d. “freno al debito” previsto nella propria Costituzione, per poter investire centinaia di miliardi in spese militari e riconvertire in questo modo la propria struttura produttiva.

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Il Piano europeo si basa su sei pilastri:

un nuovo strumento comunitario SAFE (Security and Action for Europe): 150 miliardi di euro raccolti dalla Commissione con le emissioni di nuovo debito comune per finanziare prestiti (non sussidi) a lungo termine agli Stati (con conseguente aumento del loro debito nazionale), da utilizzare per investimenti in difesa attraverso appalti comuni (che coinvolgano almeno 2 paesi, compresi Ucraina e Stati EFTA, di cui uno membro UE);

l’attivazione, entro fine aprile, della Clausola di Salvaguardia nazionale del Patto di stabilità, per autorizzare i singoli paesi a indebitarsi oltre i vincoli vigenti (non verrà avviata la procedura di infrazione, ma aumenteranno comunque il deficit e il debito nazionale) al fine di finanziare spese aggiuntive per la difesa (sia di investimento che correnti) fino al 1,5% del PIL per quattro anni (prorogabili): previsione di 650 miliardi complessivi;
il dirottamento di quote rilevanti dei fondi di coesione verso la difesa, approfittando della revisione di medio termine del ciclo di programmazione dei fondi europei 2021/2027, iniziata a fine marzo e da concludersi entro il 31.12.2025 (vedi focus alla fine);

• l’ampliamento degli obiettivi di investimento della Banca Europea (BEI) anche alla difesa: 2 miliardi;

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• la mobilitazione dei capitali privati attraverso l’Unione del risparmio e degli investimenti;

• l’implementazione di altri strumenti finanziari attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) o la definizione di nuovi veicoli finanziari per acquisti congiunti (si ipotizza la costituzione di un nuovo Meccanismo di Difesa Europea attraverso un trattato intergovernativo tra i membri dell’UE – non necessariamente tutti e 27 – e il Regno Unito);

L’attuale discussione e la repentina apertura agli investimenti per il riarmo a livello europeo e nazionale dimostrano come la precedente assenza di spazio per gli investimenti pubblici in salute, istruzione, ricerca, sviluppo, politiche industriali ecc., fosse in realtà una scelta squisitamente politica.

In questa prima fase, bisogna tenere in considerazione due aspetti:

a livello europeo: i Paesi UE risponderanno in maniera differenziata al Piano in base alla maggiore o minore ampiezza del proprio spazio fiscale e/o alla volontà politica di aderire o meno all’iniziativa. È del tutto evidente che il maggiore sforzo si concentrerà in quei Paesi – a partire dalla Germania – con molto più spazio fiscale e risorse a disposizione.
Di fatto, RearmEU recepisce (e legittima) la volontà unilaterale (senza una vera negoziazione in sede UE) della Germania di far saltare le regole della nuova governance europea appena entrate in vigore, per lanciare un programma di riarmo che non ha precedenti da 80 anni a questa parte;

a livello nazionale: tenendo presente che attualmente la nostra spesa militare è pari a 32 mld all’anno (ca. 1,5% del PIL), l’Italia – oltre ai possibili miliardi provenienti da SAFE (comunque prestiti da restituire, non sussidi a fondo perduto) – potrebbe destinare al riarmo, attivando la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, fino a circa 30 miliardi annui aggiuntivi per quattro anni – raggiungendo in questo modo il livello del 3% di spesa nella difesa (che coincide
con il nuovo obiettivo richiesto dalla NATO) – con pesanti ripercussioni sul quadro di finanza pubblica (deficit e debito pubblico) e anche sul quadro macroeconomico (produzione, prezzi e occupazione).

Nel frattempo, da fonti governative, si ipotizza un primo intervento immediato (serve uno scostamento di bilancio previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta ai sensi dell’art. 81 cost.) per incrementare il livello di spesa militare italiano sino al 2% (9/10 mld annui in più) da portare “in dote” al prossimo vertice NATO che si terrà all’Aja nel mese di giugno.

Tutto questo:
• non ha nulla a che vedere – è il caso di ribadirlo – con l’obiettivo (piuttosto irrealistico senza una vera politica estera comune) di costruire una difesa comune europea: si tratta di una corsa al riarmo nazionale, frammentata e asimmetrica;

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non è oggettivamente necessario, visto che nel 2024 la spesa militare complessiva dell’Europa è stata superiore di ben il 58% rispetto a quella della Federazione russa che è in
pieno sforzo bellico (fonte: Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani);

rischia di compromettere la coesione alla base dell’Unione Europea, di favorire le forze nazionaliste, il cui consenso cresce inesorabilmente con il peggiorare della crisi sociale, e di avviare una pericolosa competizione militare tra i Paesi europei, con la riaffermazione della Germania come grande potenza militare;

• determina un profondo cambiamento del modello di sviluppo al fine di sostenere un’economia di guerra, che inizia con la riconversione dell’apparato produttivo per assicurarsi il materiale bellico e finisce con alimentare la militarizzazione e le guerre;

• è totalmente incompatibile – politicamente, finanziariamente, industrialmente – con un modello di sviluppo fondato sulla conversione ecologica, sull’innovazione tecnologica, sui beni comuni e lo stato sociale.

FOCUS SULLA POSSIBILE REVISIONE DELLA POLITICA DI COESIONE ITALIANA PER IL RIARMO

Come accennato, l’imponente incremento delle spese militari da parte dell’Italia – in applicazione dei nuovi dispositivi europei di cui sopra – potrà avvenire anche mediante il reperimento di risorse dai fondi di coesione 2021-2027, attraverso lo strumento della revisione intermedia della politica di coesione (MTR).

Nonostante la scadenza ordinaria per la presentazione della riprogrammazione dei programmi nazionali e regionali fosse fissata al 31 marzo scorso, la Commissione ha nel frattempo presentato due proposte di regolamenti con l’obiettivo di consentire agli Stati membri di riprogrammare le risorse sulla
base delle nuove priorità UE (tra cui “difesa e sicurezza”).
L’iniziativa legislativa seguirà la procedura ordinaria e sarà dunque ora all’attenzione del Parlamento europeo e del Consiglio per l’adozione. Gli Stati membri dovranno presentare le modifiche ai programmi entro due mesi dall’entrata in vigore della legislazione rivista. L’obiettivo della Commissione è concludere il processo di riprogrammazione entro il 31 dicembre 2025.

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In particolare, sono previsti:
• l’istituzione di nuovi obiettivi specifici relativi al potenziamento delle capacità produttive delle imprese del settore della difesa, alla costruzione di infrastrutture di difesa resilienti e alla mobilità militare;

• la possibilità di sostenere gli investimenti produttivi in imprese diverse dalle PMI nell’ambito del FESR (superando lo storico divieto di utilizzo di questi fondi europei in favore delle grandi imprese) nel caso in cui siano, tra l’altro, utilizzate per potenziare la produzione industriale per promuovere le capacità di difesa;

specifici investimenti sulle “competenze” dei lavoratori, con particolare riferimento a quelli coinvolti in processi di riconversione di imprese verso la produzione militare;

misure di semplificazione, incentivazione e flessibilità come: un tasso di cofinanziamento UE del 100% sulle nuove priorità; una maggiore flessibilità nei requisiti di concentrazione tematica per assegnazioni alle nuove priorità; la proroga di un anno della data di scadenza per l’ammissibilità della spesa per i programmi che riprogrammano (15%); un prefinanziamento una tantum.
A seguito della quasi certa approvazione di queste modifiche dei regolamenti comunitari, gli Stati membri potranno presentare le modifiche ai programmi nazionali e regionali entro due mesi dall’entrata in vigore della legislazione rivista, richiedendo lo spostamento di ingenti risorse sul sostegno alla produzione e alla ricerca in campo militare.
In base all’attuale quadro normativo, tali riprogrammazioni dovrebbero essere approvate dai rispettivi Comitati di Sorveglianza nazionali e regionali in cui sono sempre presenti i rappresentanti del partenariato economico e sociale.

In tutte quelle sedi la CGIL non potrà che esprimere parere negativo e voto contrario.

Per completezza informativa, occorre ricordare che queste proposte di regolamenti prevedono anche la possibilità di indirizzare la riprogrammazione verso obiettivi politicamente condivisibili – come: alloggi a prezzi accessibili; resilienza idrica; transizione energetica; rafforzamento dell’Iniziativa urbana europea – ma che possono essere strumentalizzati in funzione del sostegno alle eventuali scelte di riarmo.

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La Commissione convocherà – entro luglio 2025 – un dialogo sull’attuazione con le parti interessate dedicato specificamente alle riprogrammazioni delle politiche di coesione legate alle nuove priorità.

POSSIBILE RIMODULAZIONE DEL PNRR

La Commissione, inoltre, ha aperto anche alla possibilità di utilizzare le risorse del dispositivo per la Ripresa e la Resilienza per finanziare le spese per il riarmo.

Infatti – sempre nell’ambito della revisione intermedia della politica di coesione (MTR) – è previsto che gli Stati membri e le regioni, al momento della riprogrammazione, possano:
• identificare entro giugno 2025 i progetti nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF/PNRR), che rischiano di non essere completati entro agosto 2026;

• proporre il loro spostamento in programmi finanziati dal FESR/FC.

Pertanto, le possibili modifiche di tali programmi nell’ambito dell’MTR potrebbero tenere conto anche di questi progetti.
Il rischio di queste possibili scelte è che la rimodulazione del PNRR crei una provvista economica riutilizzabile per finanziare le politiche di riarmo.

In Italia – tenuto conto delle risorse del PNRR ancora da ricevere (attualmente oltre 72 miliardi) – tale
“residuo” potrebbe assumere dimensioni imponenti.
Per la CGIL le risorse del PNRR devono essere utilizzate esclusivamente per traguardi e obiettivi specificatamente previsti dal Piano.

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