
Il presidente Xi Jinping è partito oggi per un tour di una settimana nel sud-est asiatico che lo porterà in Vietnam, Malesia e Cambogia. All’ombra della guerra commerciale scatenata da Donald Trump, il presidente cinese punta a rafforzare i legami con i paesi vicini, alcuni dei quali sono stati pesantemente colpiti dai dazi di Washington che il presidente americano ha poi deciso di sospendere per 90 giorni, ordinando un’imposta universale del 10%. Il Vietnam, potenza manifatturiera, e la Cambogia, dove abbigliamento e calzature costituiscono la spina dorsale dell’economia, erano stati colpiti da tariffe rispettivamente al 46% e al 49%. “Esortiamo gli Stati Uniti a compiere un grande passo per correggere i propri errori, cancellare completamente la pratica errata dei ‘dazi reciproci’ e tornare sulla giusta strada del rispetto reciproco”, ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio in una nota emessa dopo l’entrata in vigore, sabato, di dazi ritorsivi alla Cina del 125%. Poco prima della partenza, inoltre, Xi ha elogiato la partnership strategica del suo paese con l’Indonesia, celebrando il 75° anniversario dei rapporti diplomatici tra le due nazioni in una conversazione con il presidente Prabowo Subianto. Come ampiamente osservato negli ultimi, l’offensiva commerciale di Trump apre ampi spazi di manovra per Pechino nella regione e, con ogni probabilità, Xi userà la visita per sottolineare di essere un partner stabile, a differenza di Washington, per un’area fortemente dipendente dalle esportazioni.
Tra due fuochi?
Il viaggio del leader cinese è iniziato oggi in Vietnam, una delle economie a maggior crescita a livello globale e un’emergente potenza manifatturiera. Domani si recherà in Malesia, che quest’anno presiede l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean), e poi proseguirà per la Cambogia, dove l’industria tessile impiega più di 750mila lavoratori e le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano il 25% del PIL. Per i leader di questi tre paesi – impegnati in un delicato gioco di equilibri tra Cina e Stati Uniti, che costituiscono entrambi importanti partner economici – la guerra dei dazi innescata da Washington è un problema esistenziale. La scorsa settimana il consigliere commerciale di Trump, Peter Navarro, aveva sottolineato in un articolo sul Financial Times: “Quello che vogliamo sentire da paesi come Cambogia, Messico e Vietnam è che smetteranno di consentire alla Cina di eludere i dazi statunitensi facendo transitare le esportazioni attraverso i loro porti”. Per i funzionari di Hanoi, Kuala Lumpur e Phnom Penh gli Stati Uniti rappresentano un mercato di esportazione cruciale e un contrappeso all’assertività di Pechino nel conteso Mar Cinese Meridionale. Tuttavia, il commercio nella regione è strettamente interconnesso con la Cina e con i paesi dell’Asean, che lo scorso anno sono stati i principali destinatari delle esportazioni cinesi. Inoltre, nella regione si teme che i dazi del 145% imposti dagli Stati Uniti alla Cina possano inondare di prodotti cinesi a basso costo i mercati vicini, danneggiando l’industria locale.
Campioni di affidabilità?
Pechino ha dedicato anni a costruire solidi rapporti economici e commerciali nel sud-est asiatico, investendo miliardi di dollari in infrastrutture, nell’ambito della Belt and Road initiative. Tuttavia, mentre molte economie in via di sviluppo nella regione si stanno allineando sempre di più alla Cina, c’è una diffusa agitazione circa l’influenza che quest’ultima potrà esercitare su paesi più piccoli e infintamente meno potenti. Perché, come fa notare James Char, esperto di Cina presso la Rajaratnam School of International Studies di Singapore, in fondo, “la maggior parte dei paesi del sud-est asiatico nutre delle riserve sul potenziale della Cina di diventare una potenza egemone liberale”. Oggi però, l’incertezza causata dalle politiche di Trump crea l’opportunità per Pechino di presentarsi nel ruolo di partner affidabile e campione del libero commercio. In questo modo, le misure estreme imposte da Trump hanno già aperto la strada al riavvicinamento tra Pechino e i vicini Giappone e Corea del Sud, solitamente diffidenti, e tra Pechino e Bruxelles. Mentre gli Stati Uniti cambiano pelle, sotto i colpi dell’amministrazione repubblicana, la Cina osserva Howard W. French appare ora come “una forza più moderata nell’ordine internazionale, orientata alla stabilità e al mantenimento dello status quo. Al punto che, se un paese dovesse scegliere una superpotenza a cui agganciarsi, la Cina potrebbe apparire l’opzione preferibile”.
Europa: sfruttare il malcontento?
Venerdì, durante un incontro a Pechino, Xi ha detto al primo ministro spagnolo Pedro Sánchez che la Cina e l’UE dovrebbero “opporsi congiuntamente ad atti unilaterali di prepotenza”. La visita di Sanchez segnala che, anche con l’Europa, Pechino sta puntando a sfruttare il malcontento verso Trump per incunearsi tra le due sponde dell’Atlantico. Una strategia azzardata, certo, e in cui gli ostacoli non mancano, a partire dai timori europei per la sovrapproduzione cinese e il possibile flusso di merci a basso costo sui mercati del vecchio continente. Ma c’è anche la sensazione che Bruxelles sia tentata dal valutare la stabilità di nuovi equilibri in un mondo che la Casa Bianca sta rendendo ogni giorno più insicuro. La scorsa settimana il premier cinese Li Qiang ha parlato telefonicamente con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sottolineando la responsabilità di entrambe le parti nel sostenere un “sistema commerciale forte e riformato, libero, equo e fondato su condizioni di parità”. E secondo il South China Morning Post, a fine luglio si dovrebbe tenere un vertice tra Xi Jinping, la presidente della commissione e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Se, come pare, il vertice dovesse tenersi a Pechino sarebbe un segnale della rilevanza politica che entrambe le parti intendono dargli.
Il commento
Di Filippo Fasulo, Co-Head Osservatorio Geoeconomia ISPI
“Tra gli obiettivi dell’amministrazione Biden c’era la creazione di una rete di alleanze economiche con il sudest asiatico, favorendo la pratica del friendshoring produttivo via dalla Cina verso paesi politicamente più amici. Il Vietnam era stato indicato come il principale “vincitore” in quel contesto di rilocalizzazione industriale, ma i dazi indiscriminati di Trump hanno messo in dubbio l’ombrello di sicurezza economico degli Usa per quei paesi che temono l’eccessiva influenza cinese. Xi Jinping lo sa bene, e nel viaggio nel Sud Est Asiatico propone un modello di cooperazione stabile, anche attraverso il rafforzamento dell’accordo di libero scambio RCEP, mentre Trump si era ritirato nel 2017 da quello proposto da Obama – il TPP – e sta lasciando nel dimenticatoio quello di Biden del 2022, chiamato IPEF. Nel contesto della competizione tra grandi potenze in cui i paesi dell’Asia si bilanciavano tra Washington e Pechino, Xi Jinping sta così cogliendo l’opportunità di presentarsi come l’unico vero partner affidabile nel lungo periodo, mentre gli Usa non solo non offrono alternative, ma impongono perdite economiche alla regione”.
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