
I fondi interprofessionali sono stati previsti dall’art. 118 della L. 388/2000 al fine di promuovere lo sviluppo della formazione professionale continua all’interno di diversi settori.
In particolare, previa presentazione di un progetto di finanziamento da parte dei datori di lavoro, tali fondi finanziano diverse tipologie di progetti formativi, a condizione che siano rispettate specifiche procedure di documentazione e di rendicontazione dei costi sostenuti.
Le somme erogate a titolo di finanziamento sono considerate, per il percettore, degli aiuti di Stato e sono denominate “contributi” o “rimborsi”, commisurati a una percentuale (fino al 100%) delle spese sostenute dai datori di lavoro. Poiché manca una norma che preveda l’esclusione di tali contributi dal concorso alla formazione del reddito imponibile, quando il soggetto percettore di tali somme è un professionista, occorre individuare quale sia il loro corretto trattamento fiscale, tenuto conto anche delle novità introdotte dal DLgs. 192/2024 di riforma dell’IRPEF e IRES in materia di lavoro autonomo, in vigore già dal 2024.
Per effetto di tale intervento, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, non sono più rilevanti, come componenti positivi di reddito, solo i “compensi”, bensì tutti i proventi collegati, in modo diretto o indiretto, all’attività artistica o professionale svolta, in virtù di un rapporto di causalità (c.d. principio di onnicomprensività).
Quando un esercente arte o professione richiede un contributo a un fondo interprofessionale per la copertura delle spese sostenute per la formazione continua dei suoi dipendenti, egli agisce in qualità di “professionista” e i relativi rimborsi possono, quindi, considerarsi percepiti “in relazione” all’arte o professione da lui svolta.
Pertanto, alla luce del principio di onnicomprensività, sembra corretto concludere che i rimborsi erogati dai fondi interprofessionali possono oggi essere annoverati tra i proventi che concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo del professionista che li percepisce.
Per quanto riguarda la disciplina previgente, i contributi in questione non sarebbero dovuti rientrare nella nozione di “compensi” di cui al vecchio art. 54 del TUIR, in quanto in tale nozione rientra esclusivamente la remunerazione correlata alla prestazione professionale prestata.
In assenza di una disposizione normativa analoga a quella prevista dall’art. 88 del TUIR con riguardo ai soggetti imprenditoriali, in dottrina era opinione condivisa che le sopravvenienze attive non dovessero concorrere alla formazione del reddito di lavoro autonomo.
Ciononostante, nel corso degli anni, l’Amministrazione finanziaria, rifacendosi a ragioni di simmetria impositiva, ne ha implicitamente ammesso la rilevanza fiscale.
Ad esempio, nella ris. n. 163/2001, è stato concluso, da un lato, che i contributi a fondo perduto concessi per le spese relative al primo anno di attività (c.d. prestito d’onore) non rientravano nella nozione di “compensi” e, dall’altro, che la quota di spesa coperta dal contributo non poteva essere dedotta, in quanto si trattava di un costo non effettivamente sostenuto.
Nelle ris. nn. 356/2007 e 106/2010, l’Agenzia delle Entrate ha considerato rilevanti, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, le somme che il professionista, al termine di giudizi civili, aveva percepito a titolo di rimborso di costi che avevano già concorso alla formazione del reddito professionale in periodi d’imposta precedenti.
Più recentemente, nella risposta a interpello n. 482/2022, l’Agenzia ha analizzato il caso di un professionista che, dopo aver sostenuto delle spese dedotte dal reddito di lavoro autonomo, si era visto riconoscere un rimborso delle stesse (a seguito di una mediazione) in un periodo d’imposta successivo. Anche in tal caso, la soluzione dettata dall’Amministrazione finanziaria è stata quella secondo cui la somma percepita dovesse concorrere, quale componente positivo, alla determinazione del reddito di lavoro autonomo nell’anno di percezione, in quanto “rimborso” di spese inerenti all’esercizio dell’attività professionale svolta.
La soluzione adottata dall’Agenzia in tali precedenti sembra rispondere a finalità di armonia sistematica, ma risulta criticabile, in quanto non è adeguatamente supportata dal previgente dato normativo (sul punto si veda “Imponibili le spese rimborsate al professionista” del 29 settembre 2022).
L’introduzione di una norma di chiusura, come quella prevista dal DLgs. 192/2024, consente di superare tale “forzatura” interpretativa, sebbene sancisca definitivamente l’allontanamento dei redditi di lavoro autonomo dalla nozione di reddito prodotto, per ricondurli nell’ambito dei redditi entrata, al pari di quanto previsto per il reddito d’impresa.
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