
La guerra in Ucraina, l’instabilità ai confini sud del continente, e un crescente disallineamento tra investimenti e risultati concreti. Questo il contesto in cui si inserisce una proposta destinata a far discutere: la creazione di un istituto finanziario autonomo, frutto di uno spin-off della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), interamente dedicato al finanziamento della sicurezza e della difesa.
L’’idea è stata promossa dall’ Irefi (Istituto per le relazioni economiche Francia-Italia ), un think tank italofrancese, che punta a colmare un vuoto strutturale nella capacità dell’Unione Europea di investire con efficacia nel comparto militare. A fronte di una spesa cumulata che si avvicina a quella degli Stati Uniti, l’Europa continua a registrare una produttività della spesa decisamente inferiore. A pesare, secondo i promotori, sono strumenti finanziari inadeguati, governance troppo lente, vincoli etici pensati per tempi di pace e una frammentazione che genera duplicazioni e inefficienze.
Un salto di qualità necessario
L’idea alla base è tanto semplice quanto rivoluzionaria: separare dalla BEI, istituzione nata per finanziare sviluppo e coesione, le sue attività legate alla sicurezza, creando un’entità autonoma, a cui è stato dato un nome provvisorio, Istituto Finanziario Europeo per la Difesa (IFED), con un mandato esclusivo e un assetto costruito per le esigenze del settore. Nessuna ambiguità sul dual use, nessun limite statutario, nessuna necessità di ridefinire obiettivi: solo difesa.
La proposta si pone come alternativa pragmatica a iniziative già sul tavolo ma che rischiano di essere parziali o inefficaci. Tra queste, la revisione del Patto di Stabilità per consentire maggior debito in nome della difesa; il Fondo SAFE, basato su emissioni di eurobond ma osteggiato dai Paesi cosiddetti frugali; il fondo EU-SII lanciato dall’Italia per attrarre capitali privati; o ancora l’uso dei fondi di coesione europei, che però suscita resistenze politiche per il rischio di sottrarre risorse a obiettivi sociali.
Perché un nuovo soggetto finanziario?
La BEI ha storicamente un mandato pacifico: finanzia infrastrutture, innovazione, PMI, transizione verde. Negli ultimi anni ha iniziato a sostenere progetti legati alla sicurezza tramite il concetto di dual use, ma solo in modo indiretto e sempre vincolata da limiti statutari, politici ed etici. Non può, ad esempio, finanziare l’acquisto diretto di sistemi d’arma o supportare la riconversione di linee produttive obsolete.
Secondo gli autori del progetto, uno spin-off risolverebbe tutto questo alla radice. L’IFED avrebbe una missione precisa: mobilitare risorse per la sicurezza, sostenere l’industria della difesa europea, attrarre investitori privati grazie a obbligazioni garantite dagli Stati membri e gestire un fondo di garanzia strutturato. Secondo le loro stime, un fondo di circa 16 miliardi potrebbe attivare investimenti fino a 200 miliardi, replicando il modello di successo dell’InvestEU.
Come evitare sprechi e duplicazioni
Uno dei punti di forza della proposta Irefi è il meccanismo di compensazione industriale. L’idea è semplice ma potente: evitare che gli Stati europei continuino a finanziare parallelamente filiere produttive superate per ragioni occupazionali o campanilistiche. L’IFED, attraverso il proprio consiglio strategico, potrebbe gestire il phase-out di progetti non più competitivi, accompagnando la riconversione industriale con fondi dedicati, in modo da salvaguardare l’occupazione senza ostacolare l’efficienza.
Questo approccio eviterebbe situazioni oggi frequenti, in cui ogni Stato finanzia un proprio passato della difesa ormai inutile e improduttivo, permettendo di concentrare le risorse alla progettazione di un drone, un carro armato, un sistema di sorveglianza di matrice comune. . L’obiettivo è sviluppare filiere comuni, condividere tecnologie, puntare sull’interoperabilità tra eserciti e massimizzare il ritorno degli investimenti.
Governance duale
Altro elemento chiave della proposta è la governance. L’IFED sarebbe gestito su due livelli: un consiglio di gestione finanziaria, con esperti nominati dagli Stati membri, e un consiglio di indirizzo strategico, composto dai vertici militari. Quest’ultimo avrebbe il compito di definire le priorità operative, garantendo l’allineamento con la NATO e con i piani di difesa dei singoli Paesi.
In questo modo si supererebbe la classica frizione tra tecnocrazia e politica: le decisioni finanziarie restano in mani competenti, ma le scelte strategiche vengono guidate dai governi e dagli eserciti. Si tratta di una novità significativa, che darebbe per la prima volta all’Europa uno strumento realmente integrato tra finanza e sicurezza.
Il ruolo guida di Francia e Italia
Roma e Parigi, azionisti di peso della BEI e attori industriali di primo piano nel settore della difesa, potrebbero candidarsi a guidare la fase di avvio dell’IFED. La proposta dell’Irefi prevede che entrambi contribuiscano con parte delle risorse derivanti dall’aumento della spesa militare (per l’Italia con la quota incrementale necessaria a raggiungere l’obiettivo del 3% del Pil previsto dalla NATO), fornendo così il capitale iniziale necessario.
In parallelo, viene suggerito l’avvio di un audit interno alla BEI per identificare le attività trasferibili al nuovo istituto. Una parte delle linee di credito e dei progetti oggi gestiti nell’ambito del dual use potrebbero infatti confluire nell’IFED, evitando dispersioni e duplicazioni.
Un progetto politico, prima che tecnico
L’ambizione della proposta va ben oltre la tecnica finanziaria. Si tratta di un progetto politico, che mira a rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa e a creare le condizioni per un vero pilastro europeo della difesa. In un momento in cui l’incertezza sul futuro dell’impegno americano nella NATO è palpabile, e la pressione sull’UE aumenta, l’IFED potrebbe diventare lo strumento tecnico con cui l’Europa prende finalmente in mano il proprio destino.
La proposta affronta, con pragmatismo, i nodi più spinosi del dibattito europeo: il timore dei mercati verso nuovo debito pubblico, l’opposizione politica a strumenti comuni, la lentezza delle istituzioni, e la necessità di attrarre capitali privati senza meccanismi coercitivi.
Un cambio di paradigma necessario
Secondo gli autori del paper di Irefi, una volta approvato, l’IFED segnerebbe un punto di svolta: non più una difesa europea come somma di eserciti nazionali con budget frammentati, ma un sistema finanziario integrato, in grado di supportare ricerca, sviluppo, produzione e formazione in modo strategico. Un modello scalabile, a cui ogni Stato membro potrà contribuire secondo le proprie priorità e possibilità. Un’infrastruttura finanziaria al servizio della sicurezza, della competitività industriale e, in ultima analisi, della sovranità europea.
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