23 Aprile 2025
Iran: Quo vadis, Pezeshkian? | ISPI


Negli ultimi mesi le tensioni politiche all’interno della Repubblica islamica e l’apparente incapacità d’azione del presidente della Repubblica Masoud Pezeshkian hanno gettato nuove ombre sul percorso che l’Iran sta intraprendendo. Mentre sembra essere finita la luna di miele dell’elettorato riformista nei confronti del presidente iraniano, molte sono le sfide che attendono la Repubblica islamica sul fronte regionale e internazionale. Dall’indebolimento del cosiddetto Asse della resistenza al riemergere delle tensioni con gli Stati Uniti a seguito dell’insediamento di Donald Trump – tensioni che paradossalmente potrebbero avere avuto un risvolto positivo e aiutato a riaprire i dialoghi sul programma iraniano – Teheran continua a vivere una complessa fase storica.

Quadro interno

Dopo essere riuscito a bloccare la nuova legge sul velo e aver allentato la censura su alcune piattaforme digitali occidentali[1], il governo Pezeshkian sembra stia iniziando a subire la pressione della fazione più intransigente e fatica a gestire la complessa situazione politica che l’Iran sta affrontando. A metà febbraio Pezeshkian ha dovuto prendere atto e accettare la mozione di sfiducia contro il ministro delle Finanze Abdolnaser Hemmati, già governatore della Banca centrale durante la presidenza di Hassan Rouhani. La destituzione di Hemmati è stata votata a larga maggioranza dal parlamento (Majles) – 182 voti favorevoli contro 89 contrari – a soli sei mesi dalla formazione del governo e ha rappresentato un duro colpo per la compagine riformista-conservatrice moderata. Infatti Hemmati era stato il solo candidato vicino a Rouhani ammesso alle elezioni presidenziali del 2021 e, all’interno di questo esecutivo, era uno dei pochi ministri vicini all’ex presidente. La destituzione di metà febbraio ha scatenato dure critiche verso l’operato di Pezeshkian. La compagine riformista e moderata ha contestato apertamente la “linea dell’unità” adottata dal presidente nei confronti dei rivali politici, una strategia che nei mesi precedenti aveva avvicinato Pezeshkian al presidente del parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf e aveva portato alla nascita di un “asse anti-radicali” all’interno del Majles. Tuttavia questa alleanza si è rivelata fragile quando la compagine conservatrice non ha votato contro la mozione di sfiducia del ministro delle Finanze. Il rapido consumo della parabola ministeriale di Hemmati è stato causato dal continuo deterioramento delle condizioni economiche del paese e dalle lotte intestine al sistema di potere iraniano. Infatti, una parte dello stato profondo del paese non sembra aver gradito la scelta di privatizzare il colosso automobilistico Iran Khodro[2], una delle principali piattaforme attraverso cui varie reti clientelari si assicuravano rendite dal settore pubblico[3]. Invece sul versante economico negli ultimi mesi non vi sono stati i progressi sperati sia dal sistema di potere iraniano sia dai cittadini della Repubblica islamica. Ad esempio, dalla nomina di Hemmati a ministro delle Finanze il rial ha perso circa il 50% del suo valore ed è arrivato a essere scambiato a fine febbraio a 940.000 rial per un solo dollaro. Allo stesso tempo all’inizio del nuovo anno l’inflazione è tornata a crescere superando il 35% (dal 2021 non era mai scesa sotto il 30%[4]).  Il deterioramento delle condizioni economiche del paese ha colpito duramente anche il potere d’acquisto degli iraniani. Nell’ultimo anno il prezzo dei generi alimentari ha subito un rincaro fino a oltre il 100% rispetto all’anno precedente[5] rendendo difficile per almeno un iraniano su tre permettersi beni di prima necessità[6]. Questa crisi si è intersecata anche con quella dell’approvvigionamento energetico. L’Iran continua infatti a subire improvvisi blackout che secondo recenti stime starebbero causando perdite economiche di 224 milioni di dollari al giorno e, nel caso in cui dovessero proseguire per tutto il corso del 2025, potrebbero avere un impatto negativo sull’economia del paese di circa 80 miliardi di dollari, ovvero il 20% del Pil[7]. Le difficoltà a rifornire le famiglie e le imprese del gas necessario per il loro fabbisogno sembra aver creato tensioni anche tra il dicastero del Petrolio e quello dell’Energia. I due ministri si sono incolpati a vicenda per le difficoltà che il paese sta affrontando e che hanno più volte portato alla chiusura di scuole, università e uffici governativi[8].

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Accanto alle critiche per non aver difeso abbastanza Hemmati, Pezeshkian ha ricevuto attacchi[9] anche per non essere stato in grado di opporsi al “cambio di rotta” adoperato dalla guida (rahbar) Ali Khamenei sul dialogo con gli Stati Uniti e i paesi europei. L’apparente assenza di prospettive negoziali – evidente quantomeno fino all’invio dell’inaspettata lettera da parte di Donald Trump al rahbar, che ha portato ai successivi colloqui in Oman di metà aprile – ha scatenato nuove proteste all’interno del paese e alimentato le richieste di dimissioni nei confronti del presidente. Sul possibile dialogo con l’Occidente, proprio in occasione dell’udienza parlamentare per difendere l’operato di Hemmati, Pezeshkian aveva dichiarato: “Ero dell’idea che ci fosse bisogno di un dialogo, ma quando la guida ha detto che non ci sarebbero dovuti essere colloqui [diretti] con l’America, ho detto che non avremmo negoziato con l’America, punto[10].” Queste parole hanno portato giornalisti, analisti e osservatori a credere che Pezeshkian non stia più agendo come presidente della Repubblica islamica ma piuttosto come un primo ministro, ovvero come una figura subalterna alla guida e incapace di svolgere un’azione politica indipendente dai dettami di Khamenei. Queste critiche erano state mosse a Pezeshkian anche ad agosto quando il parlamento votò la fiducia ai ministri del suo governo. In quell’occasione il presidente aveva dichiarato che Khamenei aveva pre-approvato tutti i suoi candidati. Una dichiarazione che aveva fatto storcere il naso a molti iraniani poiché sembrava ridefinire i rapporti di forza tra la presidenza e la guida. Infatti, in passato Khamenei si era limitato a validare solo i candidati di determinati ministeri chiave[11] come quelli della Cultura, della Difesa, degli Affari esteri, dell’Intelligence e dell’Interno. Accuse di questo tipo non vanno sottostimate poiché sembrano dare ragione a chi all’interno dell’Iran vede una costante erosione del sistema di pesi e contrappesi caratteristici del sistema presidenziale iraniano, in vigore fin dalla creazione della Repubblica islamica.

Da ultimo, è anche alla luce delle iniziali difficoltà nel dialogo con l’Occidente che si possono leggere le dimissioni del vicepresidente per gli Affari strategici Mohammad Javad Zarif, a inizio marzo per la seconda volta da quando è stato nominato. Javad Zarif era da mesi nel mirino dei radicali e di parte dei conservatori che ne chiedevano le dimissioni a causa della cittadinanza statunitense dei suoi figli. Secondo una legge del 2022 infatti a chi ha coniugi o figli con doppia cittadinanza non è permesso accedere a posizioni governative di primo piano[12]. Javad Zarif così, sotto pressione del capo della magistratura Gholamhossein Mohseni-Ejei, ha scelto di consegnare le proprie dimissioni a Pezeshkian che, a oggi, non sembrerebbe averle ancora accettate[13], restando forse in attesa di una modifica della legge o per timore di alimentare ulteriormente il già elevato dissenso interno. Secondo alcuni analisti infatti[14], ad aver portato Javad Zarif a rassegnare le dimissioni sarebbero state anche le parole di Khamenei avverse al dialogo con l’Occidente. L’ex ministro degli Esteri di Rouhani, infatti, era tra i principali sostenitori di un ritorno al dialogo sul programma nucleare e si era speso nella campagna elettorale di Pezeshkian proprio per questo obiettivo. 

L’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari, la carenza di elettricità e il potenziale rigetto del dialogo con l’Occidente sembrano aver frenato gli entusiasmi di coloro che credevano nel governo riformista e speravano che Pezeshkian potesse imprimere un deciso cambiamento nella traiettoria politica del paese. In questo senso, le dimissioni di Javad Zarif e la destituzione di Hemmati rappresentano un ennesimo sintomo dell’“accerchiamento” che la compagine riformista e i conservatori moderati sentono di subire nonché il considerevole ridimensionamento di quella promessa elettorale che a otto mesi dalla vittoria di Pezeshkian appare ormai ridimensionata e ricondotta nei ranghi della realpolitik.

Relazioni esterne

Sul fronte della politica estera, per Teheran i primi mesi del 2025 sono stati all’insegna del rafforzamento delle relazioni con Mosca e Pechino, dei primi passi mossi nel tentativo di riconfigurare la sua proiezione regionale e delle altalenanti relazioni con Washington. A metà gennaio Russia e Iran hanno firmato un importante accordo di cooperazione ventennale. Composta da 47 articoli l’intesa prevede una maggiore cooperazione politica in ottica anti-occidentale e un’intensificazione del commercio bilaterale e delle joint venture nei settori energetici. Inoltre, l’accordo sottolinea la necessità di favorire l’integrazione economica e una maggiore cooperazione militare nonché in materia di sicurezza informatica e di controterrorismo. Sul fronte della difesa, il rafforzamento dell’intesa tra Mosca e Teheran potrebbe permettere alla Repubblica islamica di ottenere le tanto attese consegne di equipaggiamenti militari avanzati, tra cui jet da combattimento e sistemi di difesa aerea. Tali equipaggiamenti sarebbero particolarmente importanti per l’Iran non soltanto per migliorare la sua deterrenza regionale, soprattutto nei confronti di Israele, ma anche per acquisire competenze tecnologiche utili a rafforzare la propria industria di difesa. In questo senso risulta indicativo che l’Iran, pochi giorni dopo la firma della partnership ventennale, abbia confermato per la prima volta l’acquisto di jet russi Sukhoi Su-35[15]. L’accordo firmato a gennaio tra Mosca e Teheran prevede inoltre una maggiore cooperazione sull’uso “pacifico” dell’energia nucleare. Proprio sul nucleare iraniano, negli scorsi mesi, la Russia ha cercato di giocare un ruolo di facilitatore fra Washington e la Repubblica islamica. Infatti, secondo alcune indiscrezioni, la Russia avrebbe accettato di provare a mediare sul programma nucleare iraniano sotto richiesta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, in occasione di una telefonata con l’omologo russo Vladimir Putin, avrebbe anticipato quanto poi discusso da alti funzionari statunitensi e russi nel corso dei colloqui tenutisi in Arabia Saudita sulla guerra in Ucraina[16]. Tuttavia, i vertici iraniani sembrano restii a voler percorrere fino in fondo la via diplomatica portata avanti da Mosca. L’Iran, infatti, teme di diventare una merce di scambio tra Russia e Stati Uniti e non vede di buon occhio le discussioni in corso per raggiungere la pace in Ucraina poiché teme che possano portare Mosca a ridimensionare l’alleanza instaurata con Teheran negli ultimi anni[17]. La Russia, tuttavia, sembra intenzionata a proseguire lungo questa rotta di dialogo. A fine febbraio il ministro degli Affari esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov si è recato in visita a Teheran per “allineare” la posizione russa a quella iraniana in tema di nucleare, riaffermando l’adesione dei due attori al Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa). A metà marzo invece i viceministri degli Esteri di Russia e Iran si sono incontrati a Pechino con il ministro degli Esteri cinese per siglare una dichiarazione congiunta che affermava il diritto iraniano a un programma nucleare civile[18].

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Con la Cina invece prosegue la vendita di petrolio nonostante le sanzioni statunitensi. Secondo la società Kpler a gennaio le esportazioni iraniane verso la Cina avrebbero raggiunto una media di 1,531 milioni di barili al giorno mentre a febbraio vi sarebbero stati 1,523 milioni di barili al giorno esportati dalla Repubblica islamica alla Repubblica popolare[19]. Inoltre, la stessa azienda stima che nel prossimo futuro i volumi potrebbero raggiungere un record di 1,9 milioni di barili al giorno[20]. Resta tuttavia da valutare quale impatto potranno avere le nuove sanzioni di Trump sull’export iraniano anche verso Pechino[21]. Proprio dalla Cina a febbraio sarebbero salpate due navi cargo cariche di 1.000 tonnellate di perclorato di sodio, utilizzato per produrre perclorato di ammonio, necessario per il propellente dei missili a combustibile solido. La quantità di perclorato di ammonio stimata potrebbe produrre 1.300 tonnellate di propellente, sufficienti ad alimentare 260 missili iraniani a medio raggio[22]. Inoltre, con Russia e Cina, l’Iran ha svolto esercitazioni militari congiunte[23].

Accanto all’asse russo-cinese, sul programma nucleare iraniano stanno agendo anche altri due canali diplomatici: quella ginevrina tra delegati iraniani e rappresentanti dei paesi europei (Francia, Germania e Regno Unito, E3) parte del Jcpoa e quella indiretta tra Washington e Teheran mediata dai paesi del Golfo – in questa fase sono stati soprattutto Emirati Arabi Uniti e Oman a cercare di costruire un dialogo tra le parti. I colloqui indiretti avvenuti il 12 aprile a Muscat in presenza del ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e dell’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Steve Witkoff, sembrano aver aperto una nuova finestra negoziale. A sancire la natura positiva di questo dialogo sembrano essere stati da una parte la minaccia statunitense di un attacco diretto contro le infrastrutture nucleari iraniane, dall’altra la presunta disponibilità da parte di Washington a concedere un allentamento della morsa sanzionatoria a Teheran senza tuttavia chiedere in cambio il completo smantellamento del programma nucleare iraniano. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’Iran avrebbe incrementato il suo stock di uranio di 1.690 chilogrammi, raggiungendo il totale di 8.294 chilogrammi, un dato di gran lunga superiore ai 300 chilogrammi consentiti dal Jcpoa. Inoltre, Teheran avrebbe aumentato il suo uranio arricchito al 60% di 92,5 chilogrammi[24]. Secondo stime recenti, a oggi, l’Iran potrebbe avere uranio della qualità necessaria per produrre sette ordigni nucleari in una settimana. Questo rapido incremento della quantità e qualità dell’uranio arricchito sembra essere stato causato sia dagli sconvolgimenti regionali, che hanno portato a un indebolimento del cosiddetto Asse della resistenza e alla conseguente necessità di riorientare la sua strategia di deterrenza, sia alle rinnovate tensioni con gli Stati Uniti. Fin dal suo insediamento Donald Trump ha condotto una strategia escalate to de-escalate volta a mettere pressione a Teheran per poi negoziare da una posizione di forza. Trump ha così minacciato di ripristinare la “massima pressione” nei confronti di Teheran se non avesse accettato di trovare un rapido accordo sul suo programma nucleare. Tuttavia, quello che per Washington doveva essere uno spiraglio per Teheran sembrava essere divenuta una porta serrata. L’amministrazione statunitense aveva infatti paventato la possibilità di un cambio di approccio nei confronti dell’Iran e il presidente, in occasione della firma del memorandum presidenziale che riavviava la campagna di massima pressione, aveva dichiarato di “essere combattuto se fare o meno la mossa”[25]. Ciononostante, le parole e le azioni dei vertici statunitensi sono stati percepiti dall’Iran con una levata di scudi. Due giorni dopo la firma del memorandum presidenziale Ali Khamenei in un discorso davanti agli ufficiali dell’aeronautica ha dichiarato che “negoziare con l’America non è né intelligente, né saggio, né onorevole. Non risolverà nessuno dei nostri problemi”[26]. Accanto alle parole della guida vi sono state anche quelle, inaspettate, del presidente della Repubblica. A inizio marzo, nel corso di una conferenza stampa, Pezeshkian ha affermato che “è inaccettabile per noi che loro [gli Usa] diano ordini e facciano minacce. Non negozierò con voi. Fate quel diavolo che volete”[27]. Alla luce di queste dichiarazioni risulta evidente come l’Iran non fosse disposto a negoziare sotto pressione e che la nuova campagna contro gli houthi iniziata da Trump – che ha minacciato l’Iran di “conseguenze terribili” nel caso in cui il gruppo yemenita continuasse ad attaccare le rotte di navigazione internazionali[28] – e l’imposizione di un intervallo di tempo massimo di due mesi per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare[29] non potevano favorire un clima disteso per costruire un dialogo. Proprio quando sembrava che le posizioni dei due paesi fossero inconciliabili, la lettera di Donald Trump a Khamenei consegnata da Anwar Gargash, consigliere diplomatico del presidente degli Emirati Arabi Uniti[30], ha aperto la strada a nuovi colloqui indiretti. A questa lettera Araghchi, rispondendo tramite l’Oman, aveva confermato la disponibilità di Teheran a proseguire i colloqui indiretti con Washington[31], poi tenutisi a Muscat pochi giorni dopo. Questo rinnovato slancio della diplomazia dovrebbe condurre a un nuovo round di colloqui il 19 aprile sempre con la mediazione omanita. Inoltre la prospettiva, nel medio-lungo periodo, di investimenti statunitensi in Iran sembra essere stata accolta con favore dai vertici della Repubblica islamica[32]. Tuttavia, il tempo scorre e in assenza di un accordo sull’Iran aleggia la prospettiva di una re-imposizione delle sanzioni delle Nazioni Unite da parte dei paesi E3, una scelta che i tre attori europei dovranno compiere prima della scadenza naturale delle sanzioni Onu di ottobre.

Sul piano regionale, invece, l’Iran continua a cercare uno spazio nella complessa fase di ridefinizione degli equilibri mediorientali. In occasione del discorso per il Capodanno persiano (Nowruz) Ali Khamenei ha riconosciuto che la Repubblica islamica ha vissuto un anno tumultuoso[33]. Questa fase critica sembra destinata a proseguire. In Iraq, ad esempio, l’Iran sembra destinato a subire maggiori pressioni statunitensi. Infatti recentemente Washington ha lasciato scadere l’esenzione che permetteva a Baghdad di acquistare elettricità dal paese confinante. Se questa strategia volta a impedire le importazioni iraniane verso l’Iraq dovesse essere estesa anche alle esportazioni di gas l’impatto sulle entrate di Teheran potrebbe essere consistente. Allo stesso tempo, tuttavia, un blocco alle esportazioni di gas potrebbe avere anche un impatto positivo per l’Iran e permettere alla Repubblica islamica di concentrarsi sul fabbisogno interno, evitando di rispettare gli impegni contrattuali già in essere proprio grazie alla scusa del divieto imposto da Washington[34].

Con il Libano invece persiste la fase di tensione seguita all’indebolimento di Hezbollah e alla formazione di un nuovo governo nel Paese dei cedri. Nelle scorse settimane Beirut ha impedito alle compagnie aeree iraniane di atterrare nel paese[35] – per timore di attacchi da parte di Israele – e ha continuato a sequestrare ingenti somme di denaro dirette a Hezbollah. Nel corso dei mesi si sono tenuti alcuni incontri tra le autorità dei due paesi nel tentativo di riorientare le relazioni bilaterali. Tra i più importanti vi è stato quello in concomitanza dei funerali di Hassan Nasrallah e Hashem Safieddine tenutisi il 23 febbraio. In quell’occasione è giunta a Beirut una folta delegazione iraniana presieduta la presidente del Majles Ghalibaf e composta anche dal ministro degli Esteri Abbas Araghchi, da circa quaranta deputati e da alcuni alti comandanti del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica. A margine dei funerali Ghalibaf ha incontrato il presidente libanese Joseph Aoun impegnandosi a “garantire il sostegno dell’Iran all’unità territoriale, all’integrità e alla sovranità del Libano”. A queste parole Aoun avrebbe risposto che “il Libano è stremato dalle guerre degli altri sul suo territorio” e che “nessun paese dovrebbe interferire negli affari interni di un altro paese”[36]. Infine, in Siria, dopo la caduta di Bashar al-Assad, l’Iran sembra stia faticando a trovare un approccio funzionale ai suoi interessi. Teheran ha optato per una strategia bicefala nei confronti di Damasco. Da un lato sta cercando di perseguire un’azione diplomatica per mantenere rapporti cordiali con il nuovo governo guidato da Hayʼat Tahrir al-Sham. Dall’altro invece sembra puntare su una strategia di divide et impera, supportando le minoranze presenti nel paese ostili o scettiche nei confronti della leadership di Ahmad al-Sharaʿ. È in quest’ottica che va letto il presunto coinvolgimento iraniano negli scontri avvenuti a inizio marzo nei governatorati di Latakia e Tartus a sostegno delle forze lealiste dell’ex presidente Assad. Sempre alla luce dello stesso approccio si possono analizzare i tentativi di rafforzare i legami con la componente curda della Siria. Sebbene non confermato dalle parti, le voci di questo riavvicinamento avrebbero portato anche a un inasprirsi delle relazioni con Ankara[37], che nelle scorse settimane è stata accusata da analisti e giornalisti iraniani di aver alimentato le tensioni etnico-religiose tra curdi e azeri nella città di frontiera di Urmia ed è stata criticata per la dura repressione delle proteste scoppiate nel paese a seguito dell’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu[38].


[1] L. Toninelli, “Iran: braccio di ferro interno e regionale”, in Focus Mediterraneo allargato n. 9, ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, gennaio 2025.

[2] B. Khajehpour, “The interwoven interests behind a ministerial Impeachment in Iran”, Amwaj.Media, 18 marzo 2025.

[3] Ibidem.

[4] L. Toninelli “Iran: visione sfumata”, ISPI Commentary, 7 marzo 2025.

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[5] Ibidem.

[6] “Surging potato prices spark debate on decision making in Iran”, Amwaj.media, 12 febbraio 2025.

[7] L. Toninelli “Iran: visione sfumata”, cit.

[8] “Deep Dive: Energy, petroleum ministries trade blame as blackouts roil Tehran”, Amwaj.media, 14 febbraio 2025; Fereshteh Sadeghi (X, @fresh_sadegh), “4- meanwhile another fight is going on between the petroleum ministry and the energy ministry inside the government. The two ministries blame each other for  this week’s sudden blackouts across the country that lasted between 2 to 3/5 hours.”, 12 febbraio 2025.

[9] A. Alfoneh, “Khamenei Nixes U.S. Negotiations, Sparks Rumors of Pezeshkian’s Resignation”, The Arab Gulf States Institute in Washington, Iran Media Review, 11 febbraio 2025.

[10] “Inside story: Zarif submits resignation after meeting with Iranian chief justice”, Amwaj.media, 3 marzo 2025.

[11] Ibidem.

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[12] L. Toninelli, “Iran: braccio di ferro interno e regionale”, cit.

[13] “Iran says Zarif still holds post despite resignation”, Iran International, 17 marzo 2025.

[14] Saeed Azimi (X, @SaeedAzimi1772), “Thread on reasons Zarif resigned”, 3 marzo 2025.

[15] “Iran’s Revolutionary Guards commander says Iran purchased Russian-made Sukhoi 35 fighter jets”, Reuters, 27 gennaio 2025.

[16] “Putin Agrees to Help Trump Broker Nuclear Talks With Iran”, Bloomberg, 4 marzo 2025.

[17] “Russian offer to mediate talks with Trump spurs expressions of mistrust in Iran”, Amwaj.media, 6 marzo 2025.

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[18] “Russia’s Lavrov aligns positions with Iran on nuclear programme”, Reuters, 25 febbraio 2025; R. Woo, X. Chen e L. Chen, “China, Russia back Iran as Trump presses Tehran for nuclear talks”, Reuters, 14 marzo 2025.

[19] J. Gnana, “Why Iran’s oil exports to China are surging despite Trump’s ‘maximum pressure’”, Al-Monitor, 21 febbraio 2025.

[20] Ibidem.

[21] T. Gardner, “US slaps Iran-related sanctions on oil tankers, China ‘teapot’ refinery”, Reuters, 21 marzo 2025.

[22] D. Sevastopulo, “Ships carrying missile propellant ingredients set to sail from China to Iran, say officials”, Financial Times, 22 gennaio 2025.

[23] N. Gan, “Iran, China and Russia launch annual joint naval drills as Trump upends Western alliances”, CNN, 10 marzo 2025.

[24] International Atomic Energy Agency (Iaea), Verification and monitoring in the Islamic Republic of Iran in light of United Nations Security Council resolution 2231 (2015), IAEA and Iran – IAEA Board Reports, 26 febbraio 2025.

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[25] S. Holland e J. Mason, “Trump reimposes ‘maximum pressure’ on Iran, aims to drive oil exports to zero”, Reuters, 5 febbraio 2025.

[26] “Iran’s Khamenei says experience proves talks with US ‘not smart’”, Reuters, 7 febbraio 2025.

[27] P. Hafezi, “Iran’s President to Trump: I will not negotiate, ‘do whatever the hell you want’”, Reuters, 11 marzo 2025.

[28] M. Matza, “Trump warns Iran will face ‘dire’ consequences unless Houthi attacks stop”, BBC, 18 marzo 2025.

[29] B. Ravid, “Scoop: Trump’s letter to Iran included 2-month deadline for new nuclear deal”, Axios, 19 marzo 2025.

[30] “Iran assessing threats and opportunities in Trump’s letter – foreign minister”, Iran International, 20 marzo 2025.

[31] “Iran responds to Trump’s letter, voices readiness for indirect talks”, Reuters, 27 marzo 2025.

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[32] “Iran open to US investment but rejects regime change attempts, says Pezeshkian”, Al Arabiya News, 9 aprile 2025.

[33] “Iran’s Khamenei acknowledges tumultuous year, pledges production focus”, Iran International, 20 marzo 2025.

[34] “Deep Data: US ends Iraq’s Iran electricity waiver, stoking crisis and opportunity”, Amwaj.media, 10 marzo 2025.

[35] A. Samrani, “« Irangate » : le gouvernement Salam face à sa première crise de grande d’envergure”, L’Orient-Le Jour, 15 febbraio 2025; “Barring of Iranian flights highlights change in Lebanon”, Amwaj.media, 17 febbraio 2025.

[36] “« Le Liban est épuisé par les guerres des autres sur son territoire », lance Aoun aux Iraniens”, L’Orient-Le Jour, 23 febbraio 2025.

[37] “Iranians outraged as Turkey warns action in Syria will boomerang for Iran”, Amwaj.media, 5 marzo 2025.

[38] “Deep Dive: Tension between Azeris, Kurds escalates in northwestern Iran”, Amwaj.media, 24 marzo 2025; “Iranian media blame opposition protests in Turkey on ‘Erdogan’s tyranny’”, Amwaj.media, 26 marzo 2025.

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