
Mentre a Pechino è in corso una revisione al ribasso di alcune tariffe doganali, Trump annuncia di aver ricevuto una telefonata da Xi (alquanto improbabile). E il Politburo comunica gli strumenti pronti a scattare nel caso in cui la guerra commerciale con gli Stati Uniti dovesse continuare
Qualcosa si muove lungo la grande muraglia dei dazi alzata tra Stati Uniti e Cina.
A Pechino è in corso una revisione al ribasso delle tariffe doganali imposte ad alcune categorie di prodotti esportati dagli Stati Uniti, in particolare nel settore della sanità. L’informazione arriva dalla Camera di commercio americana in Cina, secondo la quale le autorità cinesi hanno deciso di esentare dai dazi al 125% oltre alle forniture sanitarie (in particolare medicinali salvavita) anche componenti utili all’industria aeronautica e chimica. Sui social cinesi circola una lista di 131 tipi di prodotti sui quali starebbero lavorando i tecnici mandarini per una possibile esenzione tariffaria: il valore complessivo di queste importazioni dagli Stati Uniti sarebbe di 45 miliardi di dollari, su un totale di circa 160 miliardi registrato nel 2024.
Il ministero del Commercio della Repubblica popolare non ha commentato la notizia e quello degli Esteri ha ribadito che prima di avviare una trattativa Washington deve «cancellare completamente ogni dazio unilaterale».
Negli ultimi due giorni da Washington sono arrivati segnali di flessibilità: prima il segretario al Tesoro Scott Bessent ha affermato che la guerra commerciale «non è sostenibile», poi il presidente ha detto che ci sono stati primi colloqui e ha prospettato che la crisi si concluderà con «un sostanziale abbassamento dei dazi».
I cinesi hanno ribattuto che non sono in corso negoziati o contatti con gli americani.
Venerdì è stata diffusa un’intervista al settimanale Time nella quale Trump ha affermato che Xi Jinping lo ha chiamato. Non ha voluto dire quando né che cosa sarebbe stato detto, ma ha aggiunto che la telefonata «non è stata un segno di debolezza da parte sua».
Sembra improbabile che il presidente cinese in questi giorni abbia chiamato l’avversario, forse Trump ha giocato sulla conversazione avuta il 17 gennaio, tre giorni prima del suo Inauguration Day, quando Xi aveva affermato che due grandi Paesi come Cina e Stati Uniti hanno sempre interessi contrastanti e differenze di vedute, e aveva proposto colloqui. Poi, ad aprile, il Liberation Day ha scatenato la guerra dei dazi americani al 145%, bollata da Xi come «bullismo che non produce vincitori».
Pechino lascia intendere di essere pronta, se necessario, a una lunga guerra d’attrito. Xi venerdì ha presieduto il Politburo del Partito comunista che ha annunciato un piano di difesa dell’economia nazionale con misure per sostenere crescita e sviluppo. Il comunicato del Politburo elenca gli strumenti per contrastare «gli choc esterni»: taglio dei tassi di interesse e delle riserve obbligatorie degli istituti di credito per «assicurare ampia liquidità sul mercato»; «pieno ed effettivo uso» delle politiche fiscali e monetarie esistenti; emissioni di buoni del tesoro; introduzione di nuovi mezzi di sostegno all’innovazione tecnologica, le esportazioni e i consumi; le aziende cinesi più danneggiate dai dazi potrebbero ricevere più fondi per mantenere la forza lavoro e «migliorare i salari dei gruppi a basso e medio reddito per stimolare i consumi».
Prima di parlare con Trump, certamente Xi vuole galvanizzare il fronte interno.
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