Inquinamento da farmaci e resistenza antimicrobica: un’emergenza nascosta


Uno studio del 2022 pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), una delle riviste scientifiche multidisciplinari più citate e complete al mondo, ha rilevato la presenza di principi attivi farmacologici in quasi tutti i principali fiumi del mondo, compresa l’Antartide.

I paesi a basso reddito, con infrastrutture di trattamento delle acque inadeguate, mostrano livelli di contaminazione più elevati rispetto ai paesi ricchi. Lo studio analizza le concentrazioni nelle acque superficiali di 61 principi attivi farmacologici – tra cui quelli di paracetamolo, nicotina e caffeina – in oltre mille siti, lungo 258 fiumi in 104 paesi di tutti i continenti, rappresentando così l’impronta ecologica di 471,4 milioni di persone.

Come inquinano i farmaci

I farmaci possono inquinare l’ambiente attraverso diverse vie: durante la produzione industriale, attraverso l’uso ospedaliero, veterinario o civile, e tramite lo smaltimento scorretto dei medicinali, in particolare nelle acque reflue. Tra i farmaci a maggiore impatto ambientale ci sono gli anticoncezionali, che possono causare la femminilizzazione dei pesci e degli anfibi, compromettendo la loro capacità riproduttiva.

Gli antidepressivi alterano il comportamento di pesci e invertebrati, mentre il diclofenac (noto farmaco veterinario) ha quasi causato l’estinzione degli avvoltoi in India. L’ivermectina, un antiparassitario, può danneggiare gli ecosistemi acquatici e compromettere il ruolo ecologico degli scarabei stercorari. 

Gli antibiotici, l’OMS e il negazionismo

Viviamo in un’epoca fortemente conflittuale, in cui la nuova presidenza USA decide di uscire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dagli accordi di Parigi e il consenso scientifico sul cambiamento climatico è fortemente messo in discussione dal negazionismo globale. Proprio l’OMS e l’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), in contrasto alla china presa a livello globale, hanno presentato lo scorso anno una guida innovativa intitolata “Gestione delle acque reflue e dei rifiuti solidi nella produzione di antibiotici”.

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Il documento mira a fronteggiare il crescente problema dell’inquinamento da antibiotici derivante dai processi produttivi, un fattore chiave nella diffusione della resistenza antimicrobica (AMR), che si verifica appunto quando batteri, virus, funghi e parassiti cambiano nel tempo e non rispondono più ai farmaci, rendendo le infezioni più difficili da trattare e aumentando il rischio di diffusione di malattie, malattie gravi e morte. L’obiettivo è, dunque, mitigare questo rischio favorito dall’inquinamento ambientale dovuto alla produzione di antibiotici. Un’iniziativa che rappresenta un passo cruciale nella lotta globale contro un fenomeno che minaccia la salute pubblica e l’ambiente.

Cosa c’è da sapere

Gli antimicrobici, ne sono un esempio gli antibiotici, sono sostanze usate per eliminare microrganismi o per bloccarne la crescita e proliferazione. Sono comunemente utilizzati in medicina umana e veterinaria per curare un ampio ventaglio di malattie infettive.

La resistenza antimicrobica rappresenta una minaccia significativa per la salute pubblica, poiché compromette l’efficacia degli antibiotici, inclusi quelli prodotti nei siti di produzione inquinanti. Nonostante i numerosi studi che documentano i livelli elevati di inquinamento da antibiotici, il problema rimane ampiamente non regolamentato. Inoltre spesso i criteri di qualità dei farmaci non considerano le emissioni ambientali, e manca un’adeguata informazione ai consumatori sul corretto smaltimento degli antibiotici non utilizzati.

Gli impianti di depurazione sono considerati hotspot per lo sviluppo di batteri resistenti, poiché l’ambiente favorevole consente ai batteri resistenti di proliferare. I residui di antibiotici diffusi nell’ambiente contribuiscono ulteriormente alla diffusione dei geni della resistenza batterica.

I numeri sono allarmanti

L’antibiotico-resistenza è una delle dieci principali minacce per la salute globale, con oltre 35.000 morti annue stimate in Europa, un terzo delle quali solo in Italia. La resistenza antimicrobica (AMR) è una delle principali preoccupazioni per la salute pubblica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a livello globale, che miete circa 5 milioni di vittime all’anno. Questo numero potrebbe aumentare fino a 10 milioni entro il 2050, secondo uno studio del luglio 2023 pubblicato su PLoS Medicine.

Entro il 2050 si prevede che l’AMR costerà all’economia globale circa 100 miliardi di dollari, secondo le stime dell’OMS. Se non si interviene adeguatamente, l’inquinamento farmaceutico potrebbe continuare a danneggiare l’ambiente e la salute pubblica, con rischi a lungo termine per interi ecosistemi e per la biodiversità.

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Le nuove linee guida dell’OMS rappresentano sicuramente un passo avanti per affrontare il problema dell’inquinamento da antibiotici e contribuire a preservare l’efficacia di questi farmaci, garantendo una maggiore sicurezza per la salute pubblica e per l’ambiente. Questo l’assioma, quindi: maggiori controlli, minore inquinamento, minore inquinamento, minore proliferazione di batteri resistenti e conseguentemente minore minaccia per la salute globale. 

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L’inquinamento farmaceutico non si limita agli antibiotici. Molti farmaci, una volta espulsi dal corpo attraverso urine e feci, finiscono nelle acque del pianeta. Gli impianti di depurazione spesso non riescono a rimuovere completamente i residui farmacologici, causando la contaminazione di fiumi e mari. I farmaci, essendo biologicamente attivi anche a basse concentrazioni, possono avere effetti negativi su flora e fauna, con conseguenze sugli ecosistemi.

Uno spiraglio nel “corpo a corpo” ingaggiato dalla scienza

Per descrivere l’impegno della comunità scientifica per contrastare il fenomeno della resistenza antomicrobica si ricorre spesso a metafore belliche. Una specie di battaglia in cui la comunità scientifica progetta farmaci per curare infezioni batteriche letali, ma i batteri sviluppano difese anche contro quei farmaci, riportando chi fa ricerca al punto di partenza. Nel Journal of the American Chemical Society un team guidato dall’Università della California descrive lo sviluppo di un possibile farmaco candidato in grado di fermare i batteri prima che abbiano la possibilità di causare danni.

“Non dovremmo concentrarci solo sulla modifica di ciò che sappiamo già che funziona, ma piuttosto fare un passo indietro e adottare un nuovo approccio” spiega Sophia Padilla, dottoranda in chimica e autrice principale del nuovo studio. Il team californiano ha progettato una nuova famiglia di antibiotici che è una variante di un farmaco esistente chiamato vancomicina, che viene utilizzato come ultima risorsa per pazienti estremamente malati. La nuova versione di vancomicina prende di mira, si lega e rende inattive due diverse parti di una molecola sulle superfici dei batteri patogeni.

Attaccando le molecole di cui i batteri hanno bisogno per costruirsi una parete cellulare protettiva, il farmaco potrebbe interrompere il continuo “corpo a corpo” della ricerca con la resistenza microbica ed evitare che si debbano progettare continuamente nuovi farmaci per trattare ceppi di batteri resistenti.

La start-up nata ad Harvard e le altre realtà impegnate contro l’AMR

Novità rilevanti nella lotta all’AMR sono state annunciate anche da Kinvard Bio, società biotech della Carolina del Nord che sta sviluppando una tecnologia denominata oxepanoprolinamides (OPP), nata dalla ricerca condotta dai fondatori della start-up presso il Dipartimento di chimica e biologia chimica di Harvard. Le OPP costituiscono una nuova e distinta classe di antibiotici lincosamidi che possono legarsi in modo forte e specifico al ribosoma batterico.

Studi preclinici condotti ad Harvard indicano il potenziale degli OPP per mostrare una potente attività contro batteri sia positivi che negativi, che sono noti per innescare gravi esiti clinici e per i quali ci sono urgenti esigenze insoddisfatte. La società ha già ottenuto la licenza della tecnologia OPP da Harvard, aprendo la strada all’applicazione clinica. La start-up darà priorità alle infezioni resistenti “acute e croniche più difficili”, come la polmonite batterica, le infezioni complicate del tratto urinario e la malattia polmonare da micobatteri non tubercolari.

Non sono tanti gli attori del mondo della ricerca, in particolare tra i big della farmaceutica, impegnati ad affrontare l’AMR, perché è ritenuto un settore di sviluppo poco redditizio a fronte dell’impegno molto elevato che richiede. A luglio 2024 l’azienda farmaceutica Eli Lilly ha stilato un accordo con OpenAI per sviluppare nuovi agenti contro i patogeni resistenti.

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