A pochi passi dalle sepolture monumentali di Filippo de Pisis, Corrado Govoni e Vincenzo Monti, nella Certosa di Ferrara, da un anno riposano anche le spoglie di Roberto Pazzi (18 agosto 1946 – 2 dicembre 2023). E nel centro storico della sua città di adozione, dove a detta sua «si guarisce più in fretta» come su una pagina bianca, è nato il centro studi intitolato al poeta, scrittore e giornalista originario di Bocca di Magra.
Il Centro Studi “Roberto Pazzi”, fondato da Stefano Baldrati, Matteo Bianchi e Alessandro Turco, intende rendere accessibile la casa stessa e il lascito immateriale dell’intellettuale tradotto in ventisette lingue, che ha dato alle stampe nove raccolte in versi e ventiquattro romanzi, di cui l’ultimo postumo, ma di più, il testamentario La doppia vista, edito da La nave di Teseo, che nei primi mesi del 2025 ripubblicherà Cercando l’imperatore.
Secondo la critica, l’esordio in narrativa con cui Pazzi sfiorò il Premio Campiello, nel 1985, si conferma tra le opere che lo hanno reso uno degli esponenti più originali del Realismo magico in Italia. Senza tralasciare prove letterarie come La città volante, uscito nel 1999 e apostrofato “millenario” poiché, oltre a cristallizzare la sua “musa pentagona” sul crinale del Ventesimo secolo, entrò nella cinquina finalista del Premio Strega grazie a Dario Fo, che lo presentò poco prima di ricevere il Nobel.
“Per quasi mezzo secolo il suo studio in fondo al corridoio è stato un rifugio, in Contrada della Rosa, ma anche un osservatorio privilegiato sul mondo, rivelando un’inclinazione condivisa con l’Ariosto che Pazzi recitò a memoria sotto le torri del Castello Estense nel giugno 2021 – argomenta Bianchi – Con lui se ne va la penna più tenace e più fine della Ferrara dell’ultimo Novecento, la città che ha cominciato gli anni Zero con la scomparsa di Giorgio Bassani. Pazzi ne è stato l’erede, ma non in senso epigonale: ha incarnato, vissuto e restituito un tempo contraddittorio, che a Bassani non poteva più appartenere.
Visionario e corrosivo nell’indagare il reale, metteva in dubbio qualsiasi ovvietà. La sua tenuta stilistica non ha mai subito le nostre mura inscalfibili, non ha assecondato alcuna deriva ideologica, lasciando tanti germogli anche a distanza: questa è la sua scuola, la sua concezione di letteratura, secondo cui la vita necessita di una forma credibile e coerente a se stessa per sedimentare, per diventare memoria”.
Il centro studi, dunque, si occuperà anche degli articoli pubblicati nei decenni da Pazzi, a cominciare da quelli firmati sul New York Times, nonché degli scambi epistolari con le personalità che hanno orientato l’immaginario del Novecento internazionale, così Hillman, Montale, Nabokov, Yourcenar, Sanguineti e, primo tra tutti, il maestro Vittorio Sereni, dal quale fu tenuto a battesimo in poesia. Non a caso, a presiedere il comitato scientifico dell’ente culturale è proprio Dacia Maraini, amica di lunga data e compagna di viaggio, che ha condiviso con Pazzi le fasi finali del suo Caro Pier Paolo: «Roberto conosceva l’allegria e amava i libri. Era un intellettuale sfaccettato, capace di rivisitare il suo tempo pur riuscendo a estraniarsi, senza rinunciare all’apporto dei classici, né risparmiando alcunché alle storture dell’esercizio del potere. Mi piaceva la sua scrittura piena di sapienza storica e ironia umana». Il centro studi si impegnerà altresì a catalogare la corposa biblioteca dello scrittore, archiviando l’eredità di manoscritti e dattiloscritti rinvenuti, affinché sia consultabile per ricerche e approfondimenti, e possa accogliere le scuole.
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