«Ef þú vilt breytingar þá þarftu að kjósa breytingar», se vuoi il cambiamento vota il cambiamento. Con questo slogan sabato scorso i socialdemocratici sono ritornata a essere il primo partito d’Islanda dopo 15 anni. Rispetto alle previsioni, però, l’affermazione della giovane leader dello Samfylking, Kristrún Frostadóttir, è stata di misura con il 20% dei voti sui 260 mila aventi diritto.
Con un’affluenza dell’80% queste elezioni hanno, ancora una volta, sconfessato i pronostici della vigilia. La scelta del premier uscente, il conservatore Bjarni Benediktsson, di porre fine al governo con la sinistra verde e i liberali “progressisti” il mese scorso, è servito al leader dello Sjálfstæðisflokkurinn per porsi come unico argine a un governo compiutamente progressista riuscendo a recuperare quasi il 10% rispetto ai sondaggi e a ottenere un solo deputato in meno dei socialdemocratici.
Dopo 15 anni la politica islandese è tornata agli anni precedenti la grande crisi dei mutui bancari del 2008, riportando un bipolarismo, debolissimo, che dovrà fare i conti con altre 4 formazioni politiche, centriste o apertamente populiste.
Le urne di domenica hanno, infatti, sancito la scomparsa dall’Alþingi (il parlamento islandese) di tutte le formazioni a sinistra dei socialdemocratici: sia i rosso verdi che il partito pirata non hanno superato la soglia di sbarramento del 5% così come non ce l’ha fatta il nuovo partito socialista, tutti sotto il 4%.
La crisi della sinistra verde di Vinstri græn è il dato più clamoroso, anche se non imprevisto. Passati dal 13% al 2,6% la loro parabola sembra segnata dopo 7 anni di governo con i liberali e i conservatori.
Accusati di aver digerito troppi compromessi, dalle concessioni alle banche a quelle a favore della potente lobby della pesca, l’uscita di scena della loro leader ne ha decretato l’irrilevanza politica proprio a favore dei socialdemocratici.
Frostadóttir ha impostato buona parte della, breve, campagna elettorale sulla gratuità della sanità pubblica ma anche su un piano energetico che prevede la costruzione di 4 nuove centrali idroelettriche e su una politica estera meno filo atlantica e più europeista.
Potrebbe essere su questo terreno che si muoveranno i primi tentativi dei socialdemocratici di formare un governo con i liberali (di centro destra) e i progressisti (liberali).
Proprio i “progressisti”, partner di governo uscente di conservatori e rosso verdi, sono gli altri sconfitti di queste elezioni: perdono più della metà dei deputati e dei voti ma potrebbero essere comunque interessati a un nuovo governo che escluda il centro destra di Benediktsson.
Il leader dei conservatori, se fallissero i tentativi di Frostadóttir di formare un governo di centro sinistra, potrebbe però porsi come federatore di tutto il centro destra su un programma di chiusura delle frontiere e tagli al welfare se riuscirà a superare i veti incrociati registrati per tutta la campagna elettorale.
L’uscita di scena delle sinistre ha anche impedito lo storico raggiungimento della parità di genere nel nuovo parlamento (tutti e tre i partiti avevano leader e capilista donne) fermando al 45% il numero di deputate elette, la percentuale più alta di tutta Europa.
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