EUROTECH: l’Unione entra nella corsa all’innovazione con l’AI Act


Europa mette il freno, mentre il resto del Mondo accelera. Dal 2 febbraio 2024, l’AI Act è legge: la prima regolamentazione sull’Intelligenza artificiale entra in vigore, con l’ambizione di rendere l’UE il punto di riferimento etico e normativo per il comparto. Ma mentre Bruxelles scrive leggi, Stati Uniti e Cina codificano innovazione.

I numeri parlano chiaro, nel 2024, le Startup di intelligenza artificiale hanno raccolto complessivamente 131,5 miliardi di dollari a livello globale, con una crescita del 52% rispetto all’anno precedente. Il 74% di questa cifra è stato destinato a realtà americane. Le controparti europee hanno ottenuto solo 14 miliardi di euro, evidenziando un divario sempre più marcato. Gli Stati Uniti dominano il Mercato con oltre 60 modelli di AI avanzati, mentre l’Europa si ferma a 21. La Cina, nel frattempo, gioca una partita tutta sua: in dieci anni ha brevettato sei volte più tecnologie AI rispetto agli USA e ora vuole sfidare il duopolio occidentale.

Il dilemma è evidente: protezione o progresso? Regolamentare l’intelligenza artificiale significa davvero controllare i rischi o è solo il segnale che l’Europa sta rinunciando alla leadership tecnologica? In un Mondo dove l’AI sarà il vero motore dell’economia, chi detta le regole rischia di restare al palo, mentre gli altri corrono.

Cos’è l’AI Act

L’Unione Europea vuole imporsi come regolatore globale dell’intelligenza artificiale. L’AI Act, entrato in vigore – come detto – il 2 febbraio 2024, è il primo quadro normativo al Mondo che disciplina l’uso dell’AI, con obiettivi chiari: trasparenza, sicurezza e tutela dei diritti fondamentali.

La norma classifica i sistemi AI in base al livello di rischio:

•  Rischio inaccettabile: sono vietati i sistemi che minano i diritti umani. Stop alla sorveglianza biometrica di massa, alla manipolazione subliminale e ai sistemi di social scoring in stile cinese.

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•  Rischio alto: subiscono obblighi stringenti per AI utilizzata in sanità, giustizia, infrastrutture critiche e selezione del personale. Serve una certificazione prima di entrare sul Mercato.

•  Rischio limitato: trasparenza obbligatoria per sistemi come chatbot, deepfake e AI generativa. Gli utenti devono essere informati quando interagiscono con un’intelligenza artificiale.

•  Rischio minimo: sono esenti da obblighi strumenti come filtri antispam, assistenti virtuali e sistemi di traduzione automatica.

Le multe sono pesanti. Fino a 35 milioni di euro o il 7% del fatturato globale per le aziende che non rispettano i requisiti. Per le Big Tech, significa rischiare sanzioni da miliardi. Per le Startup, il rischio di essere schiacciate dai costi di conformità.

Le strategie internazionali

Gli Stati Uniti puntano su flessibilità e autoregolamentazione, senza alcuna legge federale stringente sull’AI. L’amministrazione Biden ha emesso nell’ottobre 2023 un ordine esecutivo che impone trasparenza nei foundational models e valutazioni di sicurezza per le AI ad alto rischio. Ma ad oggi, con Donald Trump alla Casa Bianca, i veri decisori restano Google, OpenAI, Microsoft e Meta.

È una strategia che paga: nel 2024, secondo un’analisi pubblicata da Pitchbook, un fornitore di dati, le Startup di AI hanno raccolto 97 miliardi di dollari negli Stati Uniti, pari al 74% degli investimenti globali. Grandi nomi come OpenAI e xAI hanno chiuso round di finanziamento da 6,6 miliardi e 6 miliardi di dollari rispettivamente, con valutazioni che superano i 150 miliardi di dollari. Senza alcun freno all’innovazione, le regole sono minime, gli investimenti massimi.

Diverso l’approccio di Pechino, che cerca un controllo più stretto degli operatori. Ma anche qui, il finanziamento all’AI è massiccio. Dal 2014 al 2023, secondo  l’ultimo report dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), in Cina sono stati depositati 38mila brevetti AI, sei volte quelli degli USA. Nel 2024, la raccolta da investimenti privati ha superato i 7,3 miliardi di euro. Non è solo regolamentazione: è una strategia industriale. Le norme sono rigide. La Cina obbliga le aziende a registrare ogni modello AI generativo. Gli algoritmi devono rispettare i valori socialisti e la censura di Stato. Tuttavia, Pechino si concentra più sulla competitività tecnologica che sulle implicazioni etiche: le aziende cinesi sviluppano sistemi di Intelligenza artificiale avanzati con meno vincoli rispetto alle preoccupazioni europee sulla trasparenza e sui diritti.

Con un approccio più vicino a quello europeo, Regno Unito, Canada e India cercano invece un equilibrio tra innovazione e sicurezza. Londra evita un AI Act, preferendo linee guida etiche e incentivi per lo sviluppo. Canada e India elaborano invece regolamenti settoriali, diversificati a seconda di prodotti e circostanze specifiche.

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Gli ostacoli

Nel vecchio continente, il problema non è solo la regolamentazione, ma anche il costo di adeguarsi. Le Startup europee devono affrontare un processo di compliance che può richiedere fino a 18 mesi. Red tape, valutazioni di rischio, audit continui: così il peso burocratico si scarica sulle aziende più piccole, mentre le Big Tech, con miliardi in cassa, possono permettersi di adattarsi.

Il risultato? Molti fondatori di Startup stanno già guardando altrove. Secondo uno studio della European Tech Alliance, il 43% delle nuove imprese AI in Europa sta valutando di spostare le operazioni a Stati Uniti o Regno Unito, dove il framework normativo è più leggero e il capitale scorre senza ostacoli. Secondo i dati di Atomico, gli investimenti in Startup europee di AI sono diminuiti del 17% negli ultimi sei mesi, mentre negli Stati Uniti sono cresciuti a doppia cifra. Oltre alla regolamentazione, il problema principale sembra essere la difficoltà di operare in un contesto in cui le regole sono ancora in fase di definizione.

Per far sì che la regolamentazione non si trasformi in un freno, sarà determinante affiancare politiche industriali e strategie di investimento che incentivino la crescita dell’AI in Europa. Il futuro dell’intelligenza artificiale nel continente non dipenderà solo dalle regole stabilite, ma dalla capacità di attrarre talenti, capitali e imprese capaci di innovare all’interno di un quadro normativo solido e dinamico.

Le possibili soluzioni

L’AI Act segna un passo fondamentale per l’Unione Europea nel tentativo di regolamentare l’intelligenza artificiale, garantendo sicurezza, trasparenza e rispetto dei diritti fondamentali.

Questa iniziativa segue il solco tracciato dal General Data Protection Regulation (GDPR), che ha dimostrato come una normativa ben strutturata possa diventare un riferimento globale. Il GDPR ha rafforzato la tutela dei dati personali, spingendo molte aziende a rivedere le proprie politiche sulla privacy e contribuendo alla diffusione di standard elevati anche fuori dall’Europa.

Tuttavia, affinché l’AI Act abbia lo stesso impatto positivo, è necessario affiancarlo a politiche di sostegno all’innovazione. Il successo della regolamentazione dipenderà non solo dall’efficacia delle norme, ma anche dalla capacità dell’Europa di creare un ecosistema tecnologico competitivo. Investimenti in ricerca, incentivi alle Startup e infrastrutture per la certificazione dell’AI saranno fattori determinanti per garantire che la regolamentazione non diventi un ostacolo, ma un motore di sviluppo.

L’Unione Europea ha l’opportunità di definire un modello di sviluppo dell’intelligenza artificiale che coniughi innovazione e responsabilità. Se riuscirà a bilanciare regolamentazione e crescita, potrà non solo proteggere i propri cittadini, ma anche farsi portatrice di un modello di AI etico e sostenibile. ©

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📸 Credits: Canva          

Articolo tratto dal numero del 1 marzo 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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