Bastion 36 è un film sulla corruzione in polizia che parte esplosivo ma si perde in banalità


Non so te, ma quando si parla di film sulla corruzione della polizia, ci si aspetta un racconto energico, un’esplosione di azione e una narrazione che ti faccia davvero sentire il peso dell’ingiustizia. Eppure, Bastion 36, diretto da Olivier Marchal e basato sul romanzo Flics Requiem di Michel Tourscher, promette tanto e poi… beh, poi ti lascia letteralmente con il fiato sospeso, non per le scene d’azione, ma perché il film, per quanto abbia un’apertura esplosiva, si svuota in ore di banale esposizione e dialoghi scontati.

Un inizio esplosivo, ma che scompare in fretta

Ti spiego subito: il film si apre con una sequenza d’azione incredibilmente ben realizzata. Immagina questo: la squadra di poliziotti, capitanata dal protagonista Antoine Cerda, si lancia in una frenetica corsa sotto la pioggia sulle strade di Parigi per inseguire il criminale Karim Mahmoudi, il quale, diciamo, è troppo furbo per loro. Le immagini sono potenti, i tagli del montaggio sono rapidi e la colonna sonora, curata da Erwann Kermorvant, ti fa quasi dimenticare che la scena d’apertura è solo un anticipo di ciò che potrebbe essere un capolavoro.

Ma aspetta, perché poi il ritmo cala drasticamente? Quella sequenza iniziale – che potremmo definire un’ode all’azione alla Mission: Impossible – svanisce in un mare di esposizione. Mentre il pubblico si prepara a digerire quella dose di adrenalina, il film decide di rallentare e passare a una narrazione stracolma di spiegazioni, che ti fanno pensare: “Ma dai, basta già con le chiacchiere!”

La trama: un mistero che non serve a nulla

Il film si propone di raccontare la storia di una squadra di poliziotti che combatte la violenza delle bande, ma il mistero centrale, ovvero l’inseguimento di Karim Mahmoudi e la successiva indagine, diventa subito una sorta di noiosa routine. Dopo l’inseguimento iniziale – che, te lo dico, è il punto forte del film – Antoine Cerda viene coinvolto in un combattimento clandestino in una gabbia organizzato da un personaggio chiamato Marcus Reinhart. Sì, proprio così: in un momento di disperazione e di impulso, Antoine decide di partecipare a un incontro illegale, dove i concorrenti vogliono, letteralmente, picchiare i poliziotti. Questa scena dovrebbe essere un punto di svolta, un colpo di scena che ti sorprende, ma invece finisce per essere solo un ulteriore espediente per mostrare quanto sia facile per Antoine scivolare nel caos. Quando la sua partecipazione viene scoperta, viene trasferito al commissariato di Bobigny come punizione – e quasi un anno dopo, scopre che membri della sua vecchia squadra stanno morendo. A questo punto, invece di indagare in modo intrigante, il film si limita a una serie di flashback e scene espositive che, amico mio, ti fanno perdere il filo.

Personaggi: talentuosi, ma sprecati dalla sceneggiatura

Parliamo del cast. Antoine Cerda è il protagonista e, francamente, è uno dei pochi motivi per cui il film prova a tenerti incollato allo schermo. L’attore riesce a dare una certa gravitas al personaggio, ma il suo percorso narrativo è afflitto da una sceneggiatura che non gli permette di evolversi: ogni sua emozione, ogni sua reazione, è prevedibile e priva di quel brivido che ti fa dire “Wow, non me l’aspettavo proprio!”.

E poi ci sono gli altri membri della squadra: Sami Belkaim, Hanna Levasseur, Richard Esteves, Vinny Segura e Walid Jabrane, accompagnati dal loro capo, Charles Balestra, interpretato da Yvan Attal. Qui, le potenzialità sono tante, ma il film spreca ogni occasione per far brillare il loro talento. Ad esempio, Victor Belmondo appare costantemente con quella faccia indifferente che non sa nulla di emozioni, e Juliette Dol, dopo essere caduta dalla sua bici in una scena iniziale – un momento che mi ha fatto già pregustare il suo destino di personaggio sottoutilizzato – si dimostra poi completamente priva di spessore. È una situazione frustrante: se la chimica tra il protagonista e i suoi compagni non viene costruita correttamente, tutto il tentativo di dare un senso alla loro lotta per la giustizia risulta vuoto e immateriale.

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La regia: un montaggio che urla “azione”, poi tace

Olivier Marchal, che avrebbe potuto fare miracoli con una storia di corruzione e ingiustizia, sceglie un approccio narrativo tanto complicato quanto banale. Il film inizia con una scena d’azione che ricorda i migliori momenti di John Wick 4 e Mission: Impossible – Fallout, ma poi, oh sorpresa, il ritmo si trasforma in una lunga esposizione.

Il montaggio è a tratti brillante: i tagli sono rapidi, la fotografia di Denis Rouden è dinamica, e la colonna sonora di Erwann Kermorvant pulsante ti fa quasi dimenticare la frustrazione. Tuttavia, questi momenti si perdono in un susseguirsi di scene espositive e dialoghi a vuoto, dove la tensione accumulata nell’apertura viene dispersa in una serie di spiegazioni inutili. E ogni volta che provi a lasciarti coinvolgere, il film si ferma per darti un’infografica di informazioni, senza mai far scaturire una vera emozione. È come se tutto il potenziale iniziale venisse sprecato da una sceneggiatura priva di innovazione.

Criticità e difetti: dove il film manca di mordente

Bastion 36, pur con una premessa interessante e una qualità tecnica elevata, soffre di numerosi difetti. Prima di tutto, la narrazione è troppo espositiva. Dopo l’apertura esplosiva, il film si perde in una lunga sequenza di dialoghi banali che, invece di approfondire la trama, si limitano a ripetere le solite frasi fatte sul tema della corruzione e dell’avidità. Il mistero centrale, cioè l’inseguimento di Karim Mahmoudi e la scoperta della più profonda cospirazione che minaccia di destabilizzare l’intero apparato della polizia, non riceve lo sviluppo che meriterebbe. In realtà, l’atto di indagare si trasforma in una routine noiosa, dove ogni nuova scoperta è scontata e non porta davvero nulla di inaspettato.

Poi, c’è il problema del ritmo: il film comincia esplosivamente, ma poi l’energia cala drasticamente, come se qualcuno avesse spento l’interruttore della tensione. E ogni volta che pensi che le cose possano riprendere, la narrazione si ferma per spiegarti, ancora una volta, che la verità è sotto il naso. Questo flusso continuo di esposizione ti fa perdere l’interesse e ti fa desiderare un po’ di quella suspense che ti avrebbe fatto rimanere incollato allo schermo.

Infine, i personaggi, pur essendo interpretati da un cast di alto livello, risultano trattati in modo superficiale. Victor Belmondo appare sempre con quella faccia di chi non si preoccupa minimamente di nulla, mentre altri personaggi come Sami e Balestra non ricevono abbastanza spazio per svilupparsi. È un vero peccato, perché se il film avesse investito più tempo nello sviluppo dei personaggi, forse il potenziale narrativo sarebbe stato più alto.

Un mix di emozioni: risate, rabbia e disperazione

Ammettiamolo, Bastion 36 ti fa ridere – sì, ci sono momenti in cui le situazioni assurde ti strappano una risata, come quella scena in cui Antoine partecipa a un combattimento in gabbia, dove l’obiettivo dei concorrenti è battere dei poliziotti. Quella scena, incredibilmente surreale, è l’unico vero colpo di scena che ti fa pensare: “Wow, questo è veramente assurdo!” Ma poi, subito dopo, ti ritrovi a soffrire con la consapevolezza che tutto il resto del film è un susseguirsi di exposizione banale.

In pratica, il film si trasforma in una lunga corsa in discesa, dove la tensione accumulata inizialmente si dissolve in dialoghi che non portano a nulla di concreto. È una sensazione frustrante, perché c’è così tanto potenziale nella storia di una squadra di poliziotti che lotta contro la corruzione, ma tutto viene annullato da una sceneggiatura che non osa rischiare.

La critica finale: un film che poteva essere grande

Ecco il punto: Bastion 36 aveva tutte le carte in regola per diventare un film memorabile. Con una sequenza d’apertura che ti fa quasi dimenticare che non sei in un film d’azione di Hollywood, un cast di attori capaci e una regia tecnica impeccabile, il film poteva davvero raccontare una storia potente sulla corruzione e sull’avidità delle forze dell’ordine. Ma invece, il prodotto finale è tanto prevedibile quanto deludente.

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La narrazione si limita a una lunga esposizione, i personaggi non evolvono, e il mistero centrale – la cospirazione che minaccia di destabilizzare l’intero apparato di giustizia – si risolve in modo tanto scontato da farti alzare gli occhi al cielo. In poche parole, è un film che, nonostante tutto il potenziale iniziale, finisce per essere un’ennesima lezione di “copaganda” che non ispira né emoziona davvero.

Conclusioni: Un film da vedere, se cerchi l’analisi tecnica, ma da saltare se vuoi emozioni

In conclusione, Bastion 36 è un film su polizia e corruzione che ti offre un mix di immagini tecniche eccellenti e una narrazione che, pur partendo forte, si svuota in una routine espositiva. Il film è tecnicamente ben realizzato – la regia, il montaggio e la colonna sonora sono di alto livello – ma la sceneggiatura è talmente priva di innovazione da farti desiderare che bastasse un’email per trasmettere tutto il suo messaggio.

Il cast, sebbene di talento, non riesce a compensare la mancanza di profondità e di sviluppo dei personaggi, e la storia si perde in dialoghi e scene ripetitive. È davvero una delusione, perché in un’epoca in cui i film sul tema della corruzione dovrebbero scuotere le fondamenta del nostro pensiero, Bastion 36 si limita a raccontare il solito racconto, senza osare andare oltre.

E tu, cosa ne pensi? Lascia un commento qui sotto e raccontami la tua esperienza: ti ha colpito la potenza delle immagini e la denuncia della corruzione, o ritieni che il film non abbia saputo sorprendere per nulla? La tua opinione è davvero importante!

La Recensione

Bastion 36

PRO

  • Denuncia della corruzione evidente.

CONTRO

  • Caratterizzazioni non evolvono.
  • Il film si trascina oltre il necessario.
  • Il mistero centrale non viene approfondito.

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