Musk, Trump e Zelensky: lo scontro alla Casa Bianca e la minaccia di un’America fuori da NATO e ONU


Un tweet di Elon Musk infiamma il dibattito geopolitico: con un laconico “Sono d’accordo”, il magnate ha appoggiato su X (ex Twitter) l’idea che gli Stati Uniti debbano ritirarsi dalla NATO e dall’ONU. Non un tweet qualunque, visto che Musk oggi non è solo il CEO di Tesla e SpaceX, ma anche un controverso consigliere di Donald Trump e anima di un inedito Dipartimento per l’Efficienza Governativa (soprannominato ironicamente DOGE a Washington). Il suo messaggio, rilanciato in risposta a un commentatore dell’area MAGA, ha subito assunto un peso politico enorme. I media si sono scatenati: c’è chi l’ha definito una provocazione storica, chi un pericoloso segnale di svolta isolazionista per l’amministrazione Trump appena tornata alla Casa Bianca. Di certo, l’endorsement di Musk ha dato voce all’ala America First del Partito Repubblicano, cementando il legame ideologico con Trump e i suoi sostenitori più radicali. Non a caso, proprio in quei giorni un gruppo di senatori repubblicani guidati da Mike Lee aveva presentato una legge per far uscire gli USA dalle Nazioni Unite. In questo clima infuocato, con Musk nel ruolo di “secondo Presidente” data la sua influenza spropositata, Donald Trump si preparava a un incontro delicatissimo: l’arrivo a Washington del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Sullo sfondo aleggiava una domanda inquietante: l’America di Trump sta davvero per voltare le spalle ai pilastri dell’ordine mondiale, NATO e ONU?

Il tweet di Elon Musk che scuote la politica USA

L’uscita di Musk su NATO e ONU non è caduta nel vuoto, anzi. Sui social e nei talk show americani non si parlava d’altro mentre Zelensky volava verso gli Stati Uniti. Elon Musk, definito da molti il megafono tech di Trump, aveva già abituato il pubblico a esternazioni fuori dalle righe – di recente aveva persino espresso simpatie per il partito tedesco di estrema destra AfD. Ma vedere il consigliere del presidente “endorsare” esplicitamente l’idea di un abbandono delle principali organizzazioni internazionali ha fatto saltare sulla sedia diplomatici e analisti. Il tweet, ripreso all’istante da testate di tutto il mondo, è stato interpretato come la legittimazione dall’alto di un orientamento isolazionista a lungo covato nell’area MAGA. “Musk sposa la linea dura di Trump” titolavano alcuni, ricordando come l’ex presidente già in passato avesse bollato la NATO come obsoleta. Altri sottolineavano i rischi: un’America che si sfila dalla NATO equivarrebbe a un terremoto geopolitico in grado di far vacillare la sicurezza europea – uno scenario fino a ieri impensabile. Il legame personale tra Musk e Trump è diventato oggetto di approfondimento: c’è chi ha ricordato come il miliardario sia ormai Senior Advisor alla Casa Bianca e come la sua piattaforma X sia spesso usata per lanciare segnali politici che la stampa tradizionale rilancia amplificati. In molti si sono chiesti se quel “Sono d’accordo” comparso sul profilo di Musk fosse un ballon d’essai orchestrato proprio per tastare il terreno prima di passi ufficiali. Sta di fatto che in poche ore la provocazione social si è trasformata in un caso politico: i parlamentari democratici hanno gridato all’irresponsabilità, diversi alleati storici degli USA (da Londra a Berlino) hanno espresso sconcerto e preoccupazione. Il timing, poi, è apparso tutt’altro che casuale: quel tweet al vetriolo è arrivato alla vigilia di un meeting cruciale tra Trump e Zelensky, quasi a voler dettare la linea di politica estera dell’amministrazione. E infatti, come vedremo, la risonanza mediatica del messaggio di Musk ha pesato sul clima dell’incontro, contribuendo a irrigidire le posizioni in campo.

Retroscena prima dell’incontro: tensione alle stelle

Già nelle ore precedenti al faccia a faccia alla Casa Bianca c’erano segnali di allarme. Secondo indiscrezioni, emissari europei avrebbero suggerito a Zelensky prudenza: “Non cadere nelle provocazioni, non offrire pretesti” – questo il consiglio trapelato da fonti diplomatiche. Trump, dal canto suo, aveva fatto capire attraverso canali informali che si aspettava concessioni concrete dal leader ucraino. In particolare, sul tavolo c’era un accordo economico di portata storica: un’intesa sulle terre rare ucraine, quei minerali strategici essenziali per alta tecnologia ed energia pulita. Trump lo aveva sbandierato per settimane come prova di un nuovo approccio: “Basta assegni in bianco a Kiev, vogliamo qualcosa in cambio”. L’idea era di creare un fondo congiunto USA-Ucraina per lo sfruttamento delle risorse minerarie di Kiev, quasi una “compensazione” per gli aiuti già forniti. Zelensky non si era detto contrario in linea di principio – definendolo “un buon inizio” – ma aveva posto una condizione chiave: qualsiasi accordo economico doveva essere accompagnato da garanzie di sicurezza americane per l’Ucraina. Insomma, sì a collaborare sul litio e l’uranio ucraini, ma in cambio Washington doveva impegnarsi a difendere l’Ucraina da future aggressioni russe, anche dopo la guerra. Un quid pro quo che, però, a molti falchi trumpiani suonava come uno schema già sentito (e inviso): quello dell’art.5 NATO che obbliga a difendere gli alleati attaccati. 

Non stupisce, dunque, che alla vigilia dell’incontro il clima fosse tesissimo: Mike Lee e altri senatori isolazionisti twittavano che Zelensky avrebbe fatto meglio a non presentarsi affatto senza “una sostanziosa offerta per l’America”. Dall’altra parte, gli uomini di Zelensky intravedevano una trappola: costringere il presidente ucraino a un umiliante accordo business-for-security per poi eventualmente dargli la colpa se l’intesa saltava. Con queste premesse, il terreno per lo scontro era già fertilissimo ancor prima che i due leader si stringessero la mano. E Musk? Dopo il tweet-bomba si era chiuso in un eloquente silenzio radio, mentre i suoi fedelissimi su X (compresi alcuni giovani dirigenti del Dipartimento Efficienza creato da Trump) alimentavano il fuoco: “Perché mandare soldi a Kiev quando potremmo estrarre valore?”, “Zelensky dovrebbe ringraziare e firmare”. Nel backstage della diplomazia, intanto, pare che persino Xi Jinping dalla Cina stesse osservando interessato l’esperimento americano: la possibile rottura dell’ordine multilaterale che la mossa di Musk lasciava presagire.

L’incontro alla Casa Bianca: Trump contro Zelensky, scintille in diretta mondiale

Quando Donald Trump e Volodymyr Zelensky si sono finalmente seduti l’uno di fronte all’altro nello Studio Ovale, il mondo aveva il fiato sospeso. Quello che doveva essere un colloquio riservato si è trasformato presto in uno spettacolo in diretta TV, una sorta di reality show geopolitico dai toni infuocati. Davanti ai fotografi e ai giornalisti ammessi all’inizio dell’incontro, Trump non ha lesinato frecciate pungenti rivolgendosi a un Zelensky già in evidente tensione. Il presidente americano ha esordito lodando con ironia il “coraggio” degli ucraini, “ma senza di noi non sareste arrivati fin qui”. Il copione è saltato quando Trump, incalzato da una domanda sui piani di pace, ha puntato il dito verso l’ospite: Stai giocando con milioni di vite, stai giocando con la Terza guerra mondiale, ha tuonato improvvisamente, rompendo ogni protocollo. Zelensky, visibilmente sorpreso dalla piega pubblica dello scambio, ha provato a replicare che “nessuno desidera la pace più di chi subisce un’invasione”. Ma Trump lo ha subito interrotto, alzando il volume: Devi ringraziarci – ha gridato – “Abbiamo evitato noi la Terza Guerra Mondiale, e tu mostri una mancanza di rispetto verso il nostro Paese”.

A quel punto la situazione è degenerata in uno scontro frontale. Accanto a Trump, spalleggiato dal suo vice J.D. Vance (senatore ultraconservatore dell’Ohio assurto a numero due dell’amministrazione), c’era anche l’ex vicepresidente Mike Pence. È stato proprio Pence a gettare il cerino che ha scatenato l’incendio: rivolto a Zelensky, con voce alterata gli ha chiesto bruscamente “Hai mai detto grazie almeno una volta durante questo incontro?”. E ancora, rinfacciandogli un episodio controverso: “Sei persino andato in Pennsylvania a fare campagna per l’opposizione a ottobre…” – alludendo al sospetto che Zelensky tifasse per Biden nelle presidenziali – “Mostra un po’ di apprezzamento verso gli Stati Uniti e verso il presidente che sta cercando di salvare il tuo Paese”. Zelensky a quel punto non è rimasto in silenzio. Con il volto teso, ha iniziato a rispondere in inglese: “Pensate che se parlate ad alta voce della guerra…”. Non ha finito la frase. Trump, rosso in volto, lo ha interrotto di nuovo: “No, no. Hai parlato fin troppo. Il tuo Paese è nei guai, non vincerete. Avete però una chance di uscirne bene grazie a noi. Un traduttore in simultanea faticava a stare al passo col turbinio di botta e risposta. Zelensky allora, esasperato, ha giocato una carta emotiva: ha tirato fuori dal faldone alcune foto di civili ucraini massacrati dall’esercito russo, posandole di fronte a Trump. “Putin è un assassino” – ha detto con voce rotta – “Capisce perché per noi niente compromessi? Non possiamo”.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

L’atmosfera era incandescente. Trump però non ha mostrato alcuna empatia per quelle immagini strazianti. Anzi, è passato all’attacco finale: “O fai un accordo, o noi ci tiriamo fuori. Se noi usciamo te la dovrai vedere da solo. E non credo che ti convenga” ha insistito, lanciando di fatto un ultimatum. “Una volta che firmiamo quell’accordo (sulle terre rare) sarai in una posizione molto migliore. Però non stai mostrando alcuna gratitudine, e questo non è bello” ha proseguito Trump, in tono paternalistico. “Sarò sincero: non è una bella cosa”. Zelensky, a quel punto, è sbottato tirando fuori forse la frase più memorabile dello scontro: “Voi dite che senza le vostre armi la guerra sarebbe finita in due settimane? Correggo: in tre giorni. Un attimo di silenzio gelido ha accolto quelle parole – era chiaro a tutti il riferimento: “tre giorni” era la vanteria di Putin su quanto ci avrebbe messo a conquistare Kiev senza resistenza. Zelensky stava di fatto accusando Trump di fare eco alla propaganda di Mosca. Il presidente americano è rimasto interdetto un secondo, poi ha rilanciato: “Sarà difficile fare affari così…”. Pence ha nuovamente interloquito: “Di’ grazie e basta”. Zelensky, con un filo di voce ma ferreo, ha replicato: “L’ho già fatto molte volte, con il popolo americano”. Ma Trump non mollava la presa: “Devi essere grato. Non hai le carte in mano. Stai esaurendo i soldati, e ci vieni a dire ‘io non voglio un cessate il fuoco’. In questa situazione, se puoi ottenere un cessate il fuoco, te lo prendi”.

Lo staff presente nella stanza, imbarazzato, cercava di concludere la parte pubblica dell’incontro, ma Trump ormai era inarrestabile. Ha voluto dire l’ultima parola guardando Zelensky negli occhi: Dovrete fare compromessi ha sentenziato, riferendosi alla pace con la Russia, “Non si può fare un accordo senza compromessi, anche se spero non saranno così grandi come molti pensano”. Zelensky, scosso, ha replicato secco: “No, nessun compromesso: Putin è un killer”. A quel punto Trump ha alzato le mani come a dire basta così. In un ultimo commento semi-udibile ai cronisti ha dichiarato: “Ho parlato con il presidente Putin, cercheremo di porre fine a questa situazione. Io non sto con nessuno, sto nel mezzo: voglio solo che si risolva”. E poi, riferito a Zelensky: “Può tornare quando è pronto per la pace”. La scena si è conclusa con Trump che si alza bruscamente e lascia lo Studio Ovale, sbattendo dietro di sé la porta – letteralmente – e lasciando Zelensky e la delegazione ucraina a bocca aperta. L’ambasciatrice ucraina Oksana Markarova, presente all’incontro, è stata vista portarsi le mani tra i capelli in un gesto di sconforto. 

In tutta la sala aleggiava la sensazione che fosse appena accaduto qualcosa di gravissimo: uno strappo senza precedenti nelle relazioni tra alleati. Volodymyr Zelensky, pallido, si è ricomposto a fatica e senza dire altro si è diretto verso l’uscita laterale. Nessuno scambio di cortesie, nessuna stretta di mano finale. La prevista conferenza stampa congiunta è stata annullata seduta stante. Dopo appena un’ora dall’inizio, l’incontro alla Casa Bianca si è concluso in quello che i media avrebbero poi descritto come “il peggior litigio diplomatico dell’era moderna”.

Le conseguenze immediate: Stati Uniti spaccati, alleati in allarme

L’eco dello scontro ha fatto immediatamente il giro del pianeta. Negli Stati Uniti, la polarizzazione politica è esplosa in pieno giorno. I sostenitori di Trump – galvanizzati dall’idea di un presidente che “finalmente dice le cose in faccia” – hanno applaudito alla fermezza mostrata verso Zelensky. Sui canali conservatori e sui social vicini a MAGA, Zelensky è stato dipinto come “ingrato” e “arrogante”. Lo stesso Trump, pochi minuti dopo l’alterco, ha diffuso una nota ufficiale durissima: “Zelensky ha mancato di rispetto agli Stati Uniti nel loro amato Studio Ovale. Ho capito che non è pronto per la pace se l’America è coinvolta, perché pensa che il nostro coinvolgimento gli dia un grande vantaggio nei negoziati. Io non voglio un vantaggio, voglio la PACE. Può tornare quando vuole davvero la pace”. Parole che in altri tempi sarebbero parse incredibili rivolte a un leader alleato, ma che ora facevano parte della nuova realtà. 

La Casa Bianca trumpiana ha rincarato la dose tramite la portavoce Karoline Leavitt: “Il presidente ucraino si rifiuta di riconoscere la realtà di questa guerra: va avanti da anni, i suoi connazionali muoiono e gli americani che finanziano lo sforzo sono stufi di pagare il conto”. E ancora, con tono ultimativo: “Zelensky oggi è in una situazione molto diversa rispetto al 2022… le carte non sono a suo favore, ma a favore del Presidente Trump. Il nostro presidente ha priorità diverse dalla scorsa amministrazione e vuole la fine della guerra, a differenza di Zelensky che non sembra volerla.

Contestualmente, è trapelato che Trump sta valutando lo stop immediato a tutti gli aiuti militari all’Ucraina in risposta a quella che considera l’intransigenza di Zelensky. Secondo il Washington Post, l’amministrazione avrebbe già congelato le spedizioni in corso di armamenti – parliamo di miliardi di dollari tra radar, veicoli, munizioni e missili – in attesa di decidere se annullarle del tutto. Un alto funzionario (probabilmente lo stesso Musk, secondo alcuni retroscena) avrebbe commentato off-record: “Why keep arming someone who non-cooperates?”. Sul fronte interno americano, anche diversi politici repubblicani tradizionalmente filoucraini si sono allineati al nuovo corso. Clamoroso il caso del senatore Lindsey Graham: un tempo grande sostenitore di Kiev, Graham ha dichiarato ai media che “forse è ora di un cambio di leadership a Kiev”, spingendosi a chiedere ad alta voce le dimissioni di Zelensky. Un’affermazione che ha scioccato molti a Washington – segno di quanto potente sia l’influenza di Trump sul Partito Repubblicano. I democratici, per parte loro, hanno condannato l’accaduto definendolo “catastrofico”: “Questo litigio nello Studio Ovale è un disastro che mette a repentaglio la sicurezza nazionale” ha dichiarato l’ex Speaker Nancy Pelosi. Ma al momento la loro voce è minoritaria. L’America appare divisa in due narrazioni opposte: per una parte Zelensky è l’eroe tradito dall’alleato, per l’altra è l’ospite ingrato che ha offeso il benefattore.

In Europa, la reazione è stata quasi corale e di segno opposto a quella trumpiana. Uno dopo l’altro, i leader dei principali Paesi alleati hanno espresso pubblico sostegno a Zelensky. “C’è un aggressore – la Russia – e va rispettato chi la combatte fin dall’inizio” ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron, commentando indirettamente lo scontro Trump-Zelensky. Il premier polacco Donald Tusk (tornato al governo a Varsavia) ha twittato un messaggio in lingua ucraina: “Cari amici ucraini, non siete soli. Sulla stessa linea il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez con un “La Spagna è al vostro fianco”. La presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha usato toni accorati: “La vostra dignità onora il coraggio del popolo ucraino… Siate forti, siate impavidi. Non sarai mai solo, caro Presidente Zelensky. Continueremo a lavorare con voi per una pace giusta e duratura”. Insomma, l’Unione Europea si è schierata compatta con Kiev, lanciando un segnale chiarissimo a Washington. Persino leader solitamente prudenti, come il cancelliere tedesco Scholz, hanno fatto trapelare il loro disappunto verso l’atteggiamento di Trump.

Tuttavia, non sono mancate crepe e toni discordanti. A Budapest, il premier ungherese Viktor Orbán – noto amico di Mosca – ha applaudito la posizione di Trump definendola “coraggiosa”: Gli uomini forti fanno la pace, i deboli fanno la guerra. Oggi il Presidente Trump si è schierato coraggiosamente per la pace, anche se per molti è stato difficile da digerire. Grazie, signor Presidente!”  ha scritto su X. Parole che stonano rispetto al coro europeo, ma che confermano la linea filotrumpiana di Orbán e lasciano intravedere possibili spaccature interne alla NATO. All’interno della stessa Italia, membro chiave dell’alleanza, il leader leghista Matteo Salvini (parte della maggioranza di governo) ha elogiato “l’atteggiamento pragmatico di Trump” alimentando polemiche a Roma.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Dal fronte opposto, Mosca esulta apertamente per lo spettacolo di divisione occidentale. Kirill Dmitriev, un negoziatore russo coinvolto in colloqui segreti con gli americani settimane fa, ha definito la lite “storica”. L’ex presidente Dmitri Medvedev ha gioito su Telegram con toni volgari, chiamando Zelensky “porco insolente” finalmente messo in riga. La portavoce del Cremlino Maria Zakharova ha sghignazzato per “la bella sberla nello Studio Ovale”, aggiungendo: “È un miracolo di autocontrollo che Trump e Vance non abbiano messo le mani addosso a quel mascalzone”. Insomma, per Putin e i suoi propagandisti, lo strappo Washington-Kiev è una vittoria da sfruttare: conferma la narrativa russa di un Occidente diviso e “stanco di sostenere l’Ucraina”. Non a caso, il ministro degli Esteri Lavrov ha subito colto l’opportunità per invitare Zelensky a Mosca: “Meglio parlare con noi che farsi insultare a Washington”, ha detto caustico in una conferenza stampa.

E le istituzioni internazionali? Alla NATO, l’atmosfera è stata descritta come la più tesa dai tempi della guerra in Iraq. Il Segretario generale – l’olandese Mark Rutte (subentrato da pochi mesi a Stoltenberg) – ha convocato immediatamente una riunione straordinaria con gli ambasciatori dei Paesi membri. Ufficialmente la NATO ha minimizzato l’accaduto ribadendo “l’unità e la determinazione dell’Alleanza nel supportare l’Ucraina”. Ma a porte chiuse molti alleati europei hanno espresso allarme: cosa accadrebbe se Trump, nel suo impeto isolazionista, decidesse di uscire davvero dalla NATO o di ignorarne le clausole di difesa collettiva? Uno scenario apocalittico che fino a ieri era relegato a romanzi di fantapolitica ora veniva discusso concretamente nei corridoi di Bruxelles. Anche alle Nazioni Unite si è avvertito il contraccolpo: il Segretario generale António Guterres, pur senza citare direttamente gli eventi, ha fatto appello a “non abbandonare il multilateralismo proprio nel momento di maggiore bisogno”. Traduzione: se gli USA voltano le spalle all’ONU e ai loro alleati, l’intero sistema di sicurezza internazionale rischia di collassare. In sintesi, le immediate conseguenze dello scontro Washington-Kiev si sono propagate come onde sismiche: l’Occidente è apparso spaccato, l’Ucraina più isolata, e gli avversari dell’Occidente – dalla Russia alla Cina – pronti a capitalizzare sulla situazione.



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