Il mondo ridotto a cortile di casa


La vittoria di un personaggio come Trump, che fa dell’arroganza e del cinismo più volgare e feroce la sua bandiera, non c’è dubbio che segni la crisi di quel modello di democrazia che è stato finora il vanto dell’Occidente.

A proposito dell’incontro/scontro con Zelenski, che si è svolto venerdì in diretta a Washington, nello Studio Ovale del Presidente, c’è chi, nel dibattito che vi ha fatto seguito nel nostro Paese, ha associato il comportamento di Trump a quello di un «gangster», di un «mafioso», di un «cowboy da saloon».

Non c’è dubbio che il potere e la violenza che lo Stato ha riservato a sé assomiglia sempre più a quella privata, per cui di conseguenza vengono meno sia la credibilità che il rispetto del cittadino verso le istituzioni che lo governano. Ma può capitare anche il contrario, e cioè che una parte della popolazione, quella che soffre di condizioni di maggiore disagio, marginalizzazione e senso di impotenza, si senta legittimata a comportamenti analoghi.

Questa vicinanza tra i cittadini e chi li governa, tanto da riconoscersi in una sorta di “sovrano” o “despota”, ha sicuramente a che fare con quello che scrive Freud in un articolo ristampato recentemente: S.Freud, La guerra, Bollati Boringhieri 2025. «Lo Stato in guerra ritiene per sé legittime ingiustizie e violenze che disonorerebbero il singolo privato. Si serve contro il nemico non solo di una legittima astuzia, ma anche della cosciente menzogna e dell’inganno intenzionale (…) Lo Stato scioglie ogni convenzione e trattato stipulato con altri Stati, e non teme di confessare la propria rapacità e cupidigia di potenza: e il cittadino è tenuto ad approvare tutto ciò in nome del patriottismo. (…) Né possiamo meravigliarci se il rilassamento di tutti i vincoli morali tra i grandi personaggi dell’umanità si ripercuote anche sulla moralità privata, posto che la coscienza morale, lungi dall’essere quel giudice inflessibile di cui parlano i moralisti, altro non è alle origini che “angoscia sociale”».

Era il 1915 e la guerra «a cui non volevamo credere», dice Freud, era scoppiata e con essa la «delusione» di chi ancora si aspettava che le «grandi nazioni di razza bianca dominatrici del mondo» giungessero a risolvere i loro malintesi e conflitti di interesse «per altre vie», ma soprattutto che la contesa tra le parti non infliggesse sofferenze alla popolazione civile.

Che dire della «delusione» di chi oggi assiste da spettatore di dirette televisive a guerre che assomigliano sempre più ad azioni terroristiche, massacri, genocidi, pulizia etnica, al misconoscimento delle organizzazioni internazionali a cui è stato dato il compito di mantenere la pace e la sicurezza tra le Nazioni e la tutela dei diritti, come l’Onu e la Corte penale internazionale?

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Non posso non vedere in questo affondamento, giustamente temuto, della democrazia, dove il potere del popolo, considerato “sovrano” si trasferisce di fatto nella mani di un singolo, una linea di tendenza che era già stata riconosciuta cinquant’anni fa: la modificazione dei confini tra privato e pubblico. Sono stati il movimento non autoritario nella scuola e il femminismo a darne un’interpretazione che faceva intravedere «prospettive impensate».

Lo slogan «il personale è politico» diceva, in sintesi, che a essere state “privatizzate” e “naturalizzate” erano le esperienze più universali dell’umano, come la relazione tra i sessi, la sessualità, la maternità, ecc., e che andavano perciò riportate dentro la storia, la cultura e la politica. Si pensava, si sperava, che l’uscita dal dualismo e dalla «rovinosa dialettica» (Elvio Fachinelli) fosse il riconoscimento dei “nessi” che ci sono sempre stati tra poli separati e contrapposti.

«Portare la politica alla radici dell’umano», condizione ritenuta necessaria per la sua capacità trasformativa dell’esistente, significava prendere distanza dalla separazione millenaria tra il corpo e la Polis, ma anche tra la “persona” nella sua interezza e il “cittadino”, tra individuo e società, sentimenti e ragione.

La parabola, vista a distanza di mezzo secolo, sembra invece che si stia rapidamente dirigendo verso la privatizzazione della politica, il passaggio nelle mani di un singolo del potere e della facoltà di dettare legge che era prima delle istituzioni, dell’esercizio di una violenza sottratta a ogni limite imposto da organizzazioni internazionali.

Trump si è comportato nella Sala Ovale come fosse nel salotto di casa propria, e non molto diverso è il modo con cui va bacchettando altri governi, come se il mondo non fosse diverso dal cortile della sua casa.



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