Maria Porzio: con “Le clementi” portiamo in scena l’epica tragica delle donne nelle Sacre Scritture, il loro rapporto con la Religione


Debutta al Teatro Serra di Napoli “Le clementi” trilogia di testi brevi di Maria Porzio a cura di Hirondelle sulle donne nella Bibbia il primo dei quali, “L’immacolata” è “Migliore Spettacolo” alla Golden Crown di MaxArt&Co e “Migliore Testo” e “Migliore Spettacolo” al Festival “InCorti da Artemia” dell’omonimo centro romano, gemellato con lo spazio flegreo. Dal 7 al 9 marzo in Via Diocleziano 316 (venerdì ore 21:00, sabato ore 19:00, domenica ore 18:00). Info: teatroserra@gmail.com, 347.8051793.

Ne parliamo con Maria Porzio, laureata in Filologia Moderna, ha cominciato a studiare teatro e regia presso il Teatro Elicantropo e il teatro ZTN di Napoli. Successivamente ha frequentato corsi presso la Scuola Civica Holden di Torino e presso la Civica scuola di cinema Luchino Visconti. Trasferita a Roma, ha frequentato il master in Drammaturgia e sceneggiatura presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico.

Maria, donne che scappano, donne che abbracciano, donne che aiutano, donne che consolano. Donne che pregano, donne che peccano. Pura, casta, immonda, peccaminosa, santa: “Le clementi” è una trilogia incentrata sul ruolo della donna all’interno delle sacre scritture cosa ti ha spinto a raccontarle?

L’idea è nata qualche anno fa, da un dialogo con alcune mie studentesse. Quell’anno insegnavo letteratura a un liceo di Napoli e in classe, con l’approssimarsi dell’8 dicembre, si era parlato del concetto di Immacolata concezione. Nel farlo e nel rispondere alle loro domande, mi sono trovata a parlare di purezza e peccato. Il disagio che ho provato nel proporre a giovani donne questi concetti, mi ha spinto ad esplorare il disagio che ho sempre provato io di fronte alla dicotomia peccaminosa/pura. “Le clementi” è stato un po’ un modo per me di farci i conti, dirmi anche le cose che finora non avevo avuto il coraggio di dirmi. Per quanto mi consideri ormai da molto atea, la fede e la chiesa hanno sempre avuto un posto importante nella mia sfera emotiva e di pensiero. Ho sempre pensato che un po’ dipendesse anche dal mio nome. Insomma, se porti il nome della madonna è difficile non ritrovartici a parlare.

Una delle espressioni, tra le tante, che mi ha colpito è “Vergine col velo bianco o Eva nuda e tentatrice: disprezzo e beatificazione, due facce della stessa medaglia, due lati della stessa pietra tonda, adatta alla lapidazione”. Visto il prezzo che hanno dovuto pagare, ci racconti di che cosa profuma la loro vita?  
Vorrei avere la presunzione di saperlo ma posso solo limitarmi a immaginarlo, proiettando sulle altre quella è la mia esperienza di donna. Ipotizzo, allora, che l’essere donna sia molto un giocare a trovare un equilibrio, un luogo in cui collocarsi tra i due poli di salvezza e maledizione. In fondo, però, penso sia la sfida che un po’ ogni essere umano è chiamato ad affrontare: capire dove posizionarsi. Fuori di sé, nel mondo e dentro di sé, in equilibrio tra peccato e purezza. Accettando entrambi gli aspetti di noi.

Delle donne che racconti chi ti ha affascinato e perché?

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È stato affascinante raccontare il personaggio di Oola, che rappresenta la città di Samaria. Nelle scritture lei è la sorella maggiore di Ooliba, Gerusalemme. In quanto maggiore, anche la prima ad essere punita per la sua condotta immorale. Nei testi si legge che Samaria è punita per essere d’esempio alle altre (ucciderne una per educarne mille). Nella nostra messa in scena, infatti, una volta assassinata lei comincia a preoccuparsi solo che ad altre non capiti lo stesso destino. Come fosse sorella maggiore di tutte, non solo di Gerusalemme.

E in tutto questo: dove sono gli uomini e cosa pensa di loro?

Sono ovunque. Credo che ogni trattazione sul femminile sia anche un racconto del maschile. Queste storie infatti noi le raccontiamo con gli uomini. In più di una scena sono loro a vestire panni femminili. In più di un’occasione sono loro a vivere il mondo femminile. Raccontare ciò che significa essere uomo e donna, persino puntando alle loro differenze, non significa mai separazione o distanza. Piuttosto, è sempre la ricerca di un contatto, di un ritorno all’uno.

Si dice che le persone siano portate a credere soprattutto quel che meno capiscono, uno su tutti i miracoli: c’è una letteratura smisurata e affascinante sul tema. Rileggere la Bibbia con occhi diversi ha il potere di incidere nella memoria?

Beh, rileggere la Bibbia con occhi diversi può incidere profondamente sulla memoria, perché permette di riscoprire il testo da una nuova prospettiva, creando connessioni più profonde e significative. La comprensione di passaggi complessi o simbolici, soprattutto per quanto riguarda i miracoli, può lasciare un’impronta importante, proprio perché ci spinge a riflettere.

Amore e Chiesa: le donne che hanno fatto la storia e quelle che la stanno riscrivendo?

Dalle grandi protagoniste del passato, come Maria Maddalena, Teresa d’Avila e Caterina da Siena, che hanno influenzato profondamente la spiritualità e la teologia, fino alle donne di oggi. Che siano teologhe, filosofe, laiche, missionarie, sono tantissime le donne che si battono, dall’interno, per una Chiesa più inclusiva, che accolga la donna in maniera inedita rispetto al passato.  

Torniamo al presente: il coraggio delle donne di cambiare le regole del gioco?

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Credo molto ai piccoli cambiamenti, alle parole messe al posto giusto, alle virgole spostate: i cambiamenti più grandi possono essere figli di azioni microscopiche, costanti. Se mi guardo intorno – e il mio lavoro nelle scuole mi concede un posto in prima fila – vedo tante giovani donne che stanno cambiando le cose. A partire da loro stesse, dal ritagliarsi il proprio posto nel mondo. Mi sembra già un ottimo punto di partenza.

Una curiosità: scrivere la vita degli altri a volte diventa complicato, si ha l’impressione di dover comporre quel cubo di Rubik che rappresentano. Se potessi scrivere una storia personale quale sarebbe?

Con la narrativa e il cinema scrivo molto spesso storie personali. Un po’ perché mi viene più semplice, un po’ perché trovo generoso donarsi in maniera autentica, guardarsi dentro per aiutare altri a farlo. Se dovessi pensare a qualcosa che non ho ancora raccontato di me, mi piacerebbe esplorare il rapporto con la città di Napoli. Fin quando ho vissuto lì non sono mai riuscita a cogliere la sua rilevanza ma quando mi sono trasferita a Roma ho avuto come un’epifania. Mi si è rivelata tutta l’importanza del proprio rapporto con le origini.

Col tempo trascorso a teatro cosa hai imparato?

Ho sempre pensato e penso ancora, fermamente, che fare teatro insegni l’empatia. Calarsi nei panni di qualcun altro, doverne ospitare le emozioni, i pensieri, è un esercizio umano che non ha eguali. Seppur è un’esperienza che possiamo fare tutti i giorni, in qualsiasi contesto, il teatro ti insegna a farlo con la giusta sensibilità, per indossare panni di altri ma senza sgualcirli.

Prossima fermata?

Tutta da scoprire, anche per me. Se c’è una cosa certa sono solo i compagni di viaggio, gli incredibili attori con cui ho avuto il piacere di lavorare per questo progetto. Il mio grazie va a loro, ad Attilio Accardo, Alessanta Gaglione, Maria Paparone, Giuseppe Piro, Tonya Porzio e Manuel Veltro, per la sensibilità e la bellezza dei loro cuori aperti, per il talento che hanno messo a disposizione di questa storia.

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