Più raro, più caro, più richiesto (all’estero): ecco il nuovo mercato dell’olio evo


Lolio evo italiano cresce in prezzo e posizionamento, giocando le sue carte sui mercati globali. Sul fronte della grande distribuzione – il principale canale di vendita dell’olio d’oliva all’interno dei confini nazionali – gli ultimi tre anni sono segnati dagli effetti combinati dell’inflazione e di una produzione straordinariamente leggera, che hanno determinato una riduzione delle vendite a volume di olio extravergine di oliva (tra il 2022 e il 2024) del 10% a fronte di un aumento del 64% a valore. Un incremento che riguarda l’evo italiano in generale e che sembra mantenersi, come evidenziano le elaborazioni Ismea presentate al Tavolo di filiera aperto da Masaf in seno alla fiera Sol2Expo di Verona. Se infatti le quotazioni dei principali competitor scendono, l’evo di casa nostra è l’unico a impennarsi complice una domanda (globale) in aumento e la riduzione della produzione legata all’annata scarsa in Puglia.

Olio evo, la spinta dell’export sui mercati “nuovi”

Se l’evoluzione positiva della domanda di evo italiano sul mercato interno (in Gdo) è legata alla riduzione netta del differenziale tra l’evo 100% italiano e quello comunitario (che continua a rappresentare la tipologia più venduta, con una quota a volume del 62%), l’impennata della domanda non è invece legata al prezzo sui mercati esteri. L’export di evo dall’Italia raggiunge complessivamente 160 Paesi, realizzando il 65% del valore nei cinque top mercati (Stati Uniti, Germania, Francia, Canada e Giappone), e stando ai dati Sol2Expo-Nomisma, i volumi sono in espansione: tra gennaio e novembre 2024, l’olio d’oliva made in Italy ha registrato performance sopra la media in Germania (+58% la crescita del tricolore contro un aumento delle importazioni del 42%), Corea del Sud (+141% vs +86%), Australia (192% vs 106%) e Messico (99% vs 82%).

Olio evo, i produttori guardano alla qualità

Qual è allora il polso nella filiera? Le voci di alcuni produttori e consorzi presenti al Sol2Expo di Verona confermano a Italia a Tavola una confidenza nella crescita di consapevolezza del consumatore e una forte attenzione verso i mercati internazionali. «Abbiamo visto un cambiamento del consumatore – confermano dal Frantoio Agostini nelle Marche – per cui c’è sempre più attenzione e si sta lentamente recependo il messaggio per cui l’olio non è un condimento, ma è un alimento. E questo fa riflettere il consumatore sulla qualità, sulle proprietà antiossidanti e su tutti i benefici salutistici. Poi è chiaro che c’è molta confusione, perché il consumatore vede prezzi molto diversi: l’olio comunitario ha un prezzo bassissimo, quello italiano un prezzo più alto. E quindi bisogna spiegare molto meglio al consumatore la differenza fra un olio “normale” e uno di alta qualità».

Olio evo italiano, qualità al centro: la sfida dei produttori tra prezzi e mercati

Rispetto al mercato, a fronte della scarsa produzione italiana dell’ultima stagione olivicola, Agostini non nasconde la preoccupazione per la spinta inflattiva. «Nonostante le Marche siano andate in controtendenza, con una produzione molto buona – dice – quest’anno in Italia la produzione è stata molto bassa e quindi le vendite di made in Italy sono in contrazione per questioni di prezzo. Ovviamente il nostro olio costa circa il 50% in più rispetto a quello comunitario e quindi c’è un po’ di preoccupazione, ma dato che la produzione globale si è ristretta confidiamo di vendere nonostante il calo dei consumi». Un calo italiano ed europeo, a cui fanno da contraltare il nuovo entusiasmo dei consumatori extra-europei.

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Intanto, viste con l’occhio dei produttori, le note dolenti sono quelle che riguardano la ristorazione. «Purtroppo nonostante la tradizione importantissima (forse unica a livello mondiale) della cucina italiana – osserva Agostini – dobbiamo costatare che solo in pochi ristoranti si bada alla qualità dell’olio. Mi dispiace dirlo, perché dovrebbe essere esattamente il contrario, però purtroppo non c’è molta attenzione da parte del ristoratore nonostante un filo di olio eccellente possa nobilitare un gran piatto mentre un olio cattivo può devastare lo stesso piatto. Invece si guarda ancora al prezzo, ma questo significa una scarsa attenzione verso la qualità di quel che si offre ai propri clienti. Eppure l’olio è l’ultima voce in cucina come spesa, nonostante dia un apporto qualitativo cruciale, dunque ha senso davvero andare al risparmio? Dovrebbe esser ripensato l’approccio».

Un’area clou per il made in Italy oleario è la Puglia. «Veniamo da un’annata che in regione ha messo in crisi dell’olivicoltura, nel senso che quest’anno abbiamo una produzione mediamente tra il 30 e il 40% della media normale – riferisce Antonio Di Battista dell’Associazione dei frantoiani di Pugliaquindi i prezzi sono molto alti. Peraltro il prezzo del prodotto italiano ha una forbice molto ampia rispetto a quello comunitario e chiaramente questo ci danneggia. Noi siamo mastri oleari e i nostri frantoi lavorano solo prodotto di qualità, ma la concorrenza straniera è pesante».

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L’olio evo è un alimento, non un condimento: i produttori puntano sulla consapevolezza

A fronte di questa dinamica, il consumatore sta prendendo consapevolezza del concetto di qualità rispetto all’olio, «ma diciamo che questa consapevolezza non è purtroppo al cento per cento – chiosa l’imprenditore – perché le finanze di noi italiani non sono floride e molta gente si va a rifugiare su un prodotto magari di bassa qualità che si trova al supermercato. Questa per noi è una battaglia difficile da combattere, perché a noi il prodotto costa realmente intorno ai 10 milioni euro per la produzione e le olive in Puglia hanno raggiunto anche i 200 euro al quintale. Poi è chiaro che chi vuole un prodotto di eccellenza e ha la disponibilità economica chiaramente compra olio italiano». Questo vale anche per l’Horeca, dato che non tutti i ristoranti valorizzano il rapporto col territorio.

L’olio evo e il ruolo dei consorzi

In questo percorso, il legame con il territorio viene valorizzato dai consorzi storici e nuovi. «La situazione del mercato è tutto sommato buona – evidenzia Giuseppe Arezzo, presidente del Consorzio di tutela olio Dop Monti Iblei – anche se purtroppo non dal punto di vista quantitativo. Ogni anno in agricoltura si va incontro alla crisi idrica, ma in generale a un cambiamento climatico che tutti conosciamo e che incide sulla produzione». Guardando allora alla dinamica domanda-offerta, «chiaramente sappiamo che la superficie olivetata è nettamente inferiore a quello che è il mercato chiede – aggiunge – e noi come consorzi sosteniamo le istituzioni che cercano di dare un impulso alla crescita. Serve infatti un supporto, anche attraverso i fondi europei, per consentire ai nostri imprenditori di aumentare la superficie dato che i costi di produzione sono elevati».

C’è poi un problema legato alle persone, perché da un lato il ricambio generazionale è complesso e dall’altro la potatura e la raccolta delle olive diventano sempre più costosa per carenza di professionalità. «Per questo il Consorzio ha attivato corso di formazione con due focus principali: l’assaggio per i consumatori e la potatura per gli operatori». Quanto al prezzo, Arezzo ammette che la nicchia di mercato delle Dop ha raggiunto quotazioni ormai soddisfacenti – sui Monti Iblei il prezzo medio è arrivato a 15/16 euro al litro, contro i 10/12 euro dell’evo non Dop – e allora «questi sono già numeri che consentono ai nostri giovani una marginalità e dunque stimolano gli investimenti nell’attività che prima stentava. Oggi notiamo una nuova attenzione: non dico un ritorno all’olivo, ma i giovani hanno sicuramente più entusiasmo».

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Olio evo e consorzi: il futuro passa da qualità, formazione e mercati internazionali

In Calabria il Consorzio Lametia Dop, costituto di recente, sta compiendo un percorso di coinvolgimento dei produttori orientati alla qualità. «Uno dei nostri obiettivi è crescere l’attenzione del consumatore – spiega la presidente Clelia Iemma affinché si possa sempre di più distinguere nel mercato un olio di qualità da un olio non di qualità. È un concetto-chiave per sbloccare un mercato che piano piano sta cambiando». Iemma ricorda infatti come al prodotto siano ormai agganciati claim salutistici, nutraceutici e pure legati all’esperienza turistica. «E accogliendo i visitatori in azienda – prosegue – riusciamo a far conoscere il prodotto».

Il consorzio calabrese è all’inizio del suo percorso, ma gli obiettivi sono ambiziosi. Ha invece festeggiato i 50 anni della denominazione il Consorzio dell’olio Dop Chianti Classico e il presidente Gionni Pruneti non nasconde un certo ottimismo. «In generale, il mercato negli ultimi anni ha visto uno sviluppo verso l’olio di alta qualità – ammette – per cui se vogliamo paragonare il presente al mercato di dieci anni fa possiamo tranquillamente dire che sono stati fatti passi molto importanti, soprattutto sui mercati internazionali. Il mercato nazionale soffre un po’ di “sufficienza”, legata a un prodotto di cui disponiamo in maniera abbondante sul territorio e quindi si dà per scontato».

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Pruneti sottolinea dunque come si debba trasmettere il valore, soprattutto alle nuove generazioni in Italia. «A livello internazionale invece il mercato recepisce molto meglio questo passaggio – aggiunge – anche perché sicuramente i consumatori che vanno ad acquistare olii di alta qualità sono attenti e preparati, dato che l’olio non rientra nell’alimentazione standard e quindi chi lo cerca è disposto a impegnarsi sia economicamente che culturalmente per capire il prodotto. Dovremmo allora riuscire a creare questa stessa attenzione sul livello nazionale, partendo però dai canali principali ovvero la grande distribuzione. Questo è giocoforza un canale in cui bisogna lavorare per far crescere il nostro consumatore».

Visto dal Chianti Classico anche il panorama della ristorazione sembra migliorato. «Anche in questo canale è aumentata la consapevolezza – dice il presidente – e ci sono casi molto interessanti di ristoranti in cui si cominciano a trovare le carte dell’olio o c’è comunque un’attenzione particolare da parte degli chef. Non mancano addirittura i ristoranti dei dell’olio, ma sono ancora molto pochi. Per un’ampia parte della ristorazione l’olio è ancora un costo da cui non hai un ricavo nell’immediato. Eppure, anche se non c’è una marginalità finanziaria, l’olio può alzare il livello della tua cucina, dei piatti in cui lo utilizzi». Pruneti suggerisce allora di investire sul consumatore, sull’educazione e la conoscenza, aprendo le aziende e facendo toccare con mano la differenza della qualità.

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