L’idrogeno in Italia tra sogno e realtà: tanti proclami, pochissimi fatti


L’ultimo in ordine cronologico è l’accordo dello scorso 21 gennaio, siglato dal nostro paese insieme a Germania, Austria, Algeria e Tunisia e che prevede di realizzare un progetto infrastrutturale per trasportare idrogeno “verde” – ovvero prodotto a partire da rinnovabili – per oltre 3.300 chilometri dal Nord Africa all’Italia, all’Austria e infine in Germania.

Il SoutH2 Corridor sulla carta dovrebbe diventare una delle opere più importanti a livello europeo e mediterraneo e dare così un nuovo impulso alla decarbonizzazione di settori fondamentali come quello industriale e dei trasporti.

L’idrogeno è infatti l’elemento chimico più abbondante nell’universo, non si trova libero in natura e deve essere estratto attraverso processi come l’elettrolisi dell’acqua o il reforming del metano. Se prodotto da fonti rinnovabili, il cosiddetto “idrogeno verde” in effetti potrebbe rappresentare una soluzione per ridurre l’uso di combustibili fossili e abbattere le emissioni nei settori hard to abate, come siderurgia, chimica e trasporti pesanti.

Gli obiettivi europei e la strategia nazionale

L’Unione europea, con il piano RepowerEU, ha inserito anche l’idrogeno verde nel mix energetico, per affrancarsi dal gas russo e centrare gli obiettivi climatici, passando da un utilizzo del 2 per cento odierno fino al 13-14 per cento al 2050. Il target da rispettare entro il 2030, sarebbe quello di una produzione di 10 milioni di tonnellate l’anno e l’importazione di ulteriori 10 milioni di tonnellate.

Tutto corretto, d’altronde per traghettarci verso l’affrancamento dalle fossili ogni strada va percorsa, a patto non sia uno stillicidio di denari. Ma andando a guardare i numeri reali, come quelli diffusi dall’Agenzia europea dell’Unione per la collaborazione dei regolatori di energia (ACER), siamo fuori strada: l’agenzia rileva infatti che solo 7,2 milioni di tonnellate (Mton) di H2 sono state consumate dall’Unione nel 2023, e che il 99,7 per cento di queste è stato prodotto dai combustibili fossili. L’idrogeno verde? Fermo a quota 22mila tonnellate, praticamente una quota risibile.

Nel frattempo a fine novembre il Mase ha presentato la Strategia Nazionale sull’Idrogeno, un documento che traccia le linee guida per lo sviluppo del settore italiano dell’idrogeno e redatto con l’aiuto della H2IT – Associazione Italiana Idrogeno.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Un rapporto tecnicamente ben fatto e che riprende l’obiettivo del Piano nazionale energia e clima (Pniec) dello scorso luglio: il documento prevede un consumo di 0,25 Mton l’anno di idrogeno rinnovabile al 2030, con una produzione nazionale coperta per almeno il 70 per cento e una capacità di 3 GW di elettrolizzatori. L’obiettivo è una penetrazione del 2 per cento negli usi finali dell’energia entro il 2030 e fino al 20 per cento entro il 2050.

Tutti i dubbi su una filiera che non c’è

Ma, secondo diversi analisti, si tratta di numeri difficilmente raggiungibili, se non impossibili, o addirittura sottostimati. Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr, in un articolo del 2021 e pubblicato su Nature faceva notare che per raggiungere gli obiettivi citati dalla strategia per i tre settori principali, sarebbero “necessarie 1,6 Mton per anno di idrogeno verde. Questo richiede 85 TWh/a di elettricità, corrispondenti a circa il 30 per cento della produzione italiana nel 2019. Solo con il fotovoltaico servirebbero 75 GW di nuova capacità installata, mentre negli ultimi dieci anni l’Italia ne ha aggiunti solo 20 GW.

A luglio 2024 l’Energy & Strategy della School of management del Politecnico di Milano, ha invece prodotto l’Hydrogen Innovation Report 2024, facendo una fotografia dello stato dell’arte e stimando il fabbisogno annuale di idrogeno “pulito” in Italia. Considerando una penetrazione totale del vettore, la stima si aggira intorno alle 15,3 Mton per i settori civile, industriale e dei trasporti. Nello specifico, di questa quantità sono previste 5,4 Mton destinate all’industria.

Considerando solo i settori industriali e dei trasporti, i numeri risultano impietosi, come specificava anche Vittorio Chiesa, direttore di E&S e tra gli autori del rapporto: «Per consentire la sola produzione annua di 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno richiesti per industria e trasporto pesante servirebbero 250 GW aggiuntivi di rinnovabili, cioè circa 3 volte gli attuali obiettivi di fotovoltaico al 2030, 500 GW se si includono i consumi termici del settore civile».

Vorrebbe dire realizzare ciò che non si è mai fatto nel nostro paese. E forse è proprio per questo che gli obiettivi del governo rimangono decisamente conservativi. «Per molti paesi – si legge – risulta quindi difficile immaginare, almeno nel breve termine, una produzione di idrogeno rinnovabile che riesca a insidiare il massiccio utilizzo di fonti fossili tutt’ora esistente», anche perché secondo l’analisi delle prime aste «emerge evidente che la competitività dei progetti è tanto più alta quanto più abbondanti sono le risorse rinnovabili a disposizione».

Il corridoio “Sud” e i progetti italiani

Ma allora a che punto sono i progetti italiani e chi li finanzia? Secondo uno studio del Politecnico di Torino, l’Italia ha destinato fondi significativi – circa 3 miliardi di euro – attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per promuovere la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, con l’obiettivo di realizzare 52 impianti di produzione entro il 2026. 

Inoltre, sono previste 48 stazioni di rifornimento per il trasporto su strada e 10 linee ferroviarie alimentate a idrogeno entro lo stesso anno. Le iniziative sono distribuite in diverse regioni, con una concentrazione maggiore nel Nord Italia, dove l’attenzione è rivolta alla decarbonizzazione del trasporto pesante lungo le rotte commerciali transfrontaliere. Mentre altre regioni, come l’Hydrogen Valley abruzzese o quella pugliese focalizzano gli sforzi sull’industria siderurgica e chimica.

Resta inoltre aperta la questione dello sviluppo del South2 Corridor. Secondo Snam, una volta completato il corridoio avrebbe una capacità di importazione di idrogeno di 4 Mtpa dall’Africa del Nord, andando a coprire oltre il 40 per cento dell’obiettivo complessivo di importazione europeo. Ma di cosa si tratta nello specifico? L’iniziativa si concentrerebbe sull’utilizzo di infrastrutture già esistenti, più del 70 per cento, riadattate per il trasporto dell’idrogeno. Ma qui sorgono moltissimi dubbi da parte degli esperti. Adrian Odenweller, ricercatore del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), ha detto a Climate Home che non si «aspetta di vedere importazioni di idrogeno tramite il corridoio South2 entro il 2030» dato che «i progetti di produzione di idrogeno verde hanno una cattiva esperienza e spesso vengono ritardati». E ciò accadrebbe a causa de «l’enorme progetto infrastrutturale, che richiede il coordinamento internazionale».

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Non solo, Rabah Arezki, importante economista, dalle pagine del Fondo monetario internazionale, definisce la stessa idea di trasformare il Nord Africa in un produttore di idrogeno verde come un “miraggio”, dato che «l’entusiasmo attorno all’idrogeno potrebbe continuare a distogliere l’attenzione dei leader regionali dall’affrontare le difficili questioni sociali interne che sono alla base della crisi migratoria».

Se la tecnologia dovesse diventare realmente sostenibile, «i ricavi derivanti dalle esportazioni di idrogeno verso l’Europa potrebbero semplicemente perpetuare comportamenti di rendita da parte delle élite politiche ed economiche, a scapito dei loro stessi cittadini». Un neo colonialismo energetico che porterebbe a sfruttare nuovamente il continente africano, con pochi benefici per le comunità locali. 

Nonostante gli annunci, la realtà mostra una filiera dell’idrogeno ancora fragile e lontana dagli obiettivi dichiarati. Il gap tra produzione e domanda è enorme, i costi rimangono elevati e la competitività dell’idrogeno verde rispetto alle fonti fossili è ancora molto limitata. La strada verso un’economia basata sull’idrogeno appare più spinta da un ottimismo tecnologico, piuttosto che da una visione pragmatica, con il rischio che le ambizioni si trasformino in una grande illusione energetica.

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Source link