L’ombra del nuovo rigassificatore agita ancora la Liguria – Marina Forti


Davvero un impianto rigassificatore galleggiante sarà ormeggiato davanti a Vado Ligure, nella rada di Savona, all’ingresso del porto e accanto a un’area marina protetta famosa per i cetacei? Il progetto è stato annunciato nell’estate 2023, e da allora nel savonese si sono mobilitati comitati di cittadini e associazioni ambientaliste, sindacati e organizzazioni professionali, sindaci della costa e dell’entroterra. Fino all’intero consiglio regionale della Liguria, che a gennaio ha approvato all’unanimità una mozione contraria.

Il progetto però non è affatto archiviato. Le procedure di “valutazione di impatto ambientale” sono aperte, nell’entroterra continuano i sopralluoghi per il gasdotto che dovrebbe collegare Vado Ligure alla rete nazionale. Continua anche la più ampia mobilitazione vista nel savonese negli ultimi decenni. L’annuncio del rigassificatore, ormai è chiaro, ha toccato un nervo scoperto.

Per capirne le ragioni, andiamo a vedere. E cominciamo dalla stupefacente vicinanza tra opposti: un porto industriale e i cetacei.

Vado Ligure e Savona sono un’unica area portuale con la stazione marittima, i traghetti e le navi da crociera da un lato; e dall’altro i moli per il traffico di merci occupati da selve di gru; le piattaforme dei containers, quelle della frutta diretta in tutta Europa, i depositi di carburante. È un panorama industriale che si estende a ovest fino al comune di Bergeggi: poi di colpo gru e container lasciano spazio a scogliere e insenature, un promontorio verde e l’isoletta rocciosa che dà nome all’area marina protetta (Amp) isola di Bergeggi, inserita in una zona speciale di conservazione (Zsc) del mar Ligure occidentale, nella Rete natura 2000 e nel più grande santuario mediterraneo di mammiferi marini, chiamato Pelagos: ed ecco il regno dei cetacei.

Avvistare i capodogli è comune, il comune di Bergeggi tiene un monitoraggio costante. “Abbiamo anche due idrofoni agganciati a boe che registrano fischi e click dei cetacei”, spiega Davide Virzi, direttore della Amp isola di Bergeggi: “Certo, registrano anche i rumori provocati da attività di origine umana, le navi in transito, lo spostamento della diga foranea di Vado con l’uso di esplosivi e l’affondamento dei cassoni”.

Non stupisce che il progetto del rigassificatore sia stato accolto con sconcerto: finirebbe a quattro chilometri dalla costa di Vado e a meno di tre da Savona, in un porto trafficato, davanti a una spiaggia che ha appena conquistato la bandiera blu.

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Il comitato contro il rigassificatore sulla spiaggia delle Fornaci, Savona, febbraio 2025. Da sinistra: Riccardo Dabinovic, Monica Giovannini, Laura Bertolino, Alessandro Dighero, Nicola Stella, Elisa Bocca, Bruno Lugaro.

(Martino Lombezzi per Internazionale)

La nave rigassificatrice Italis lng (ex Golar Tundra), è una floating storage and regassification unit (Fsru): lunga quasi trecento metri e larga quaranta, attrezzata con grandi serbatoi per immagazzinare il gas naturale liquefatto (Gnl) e riportarlo allo stato gassoso. È la prima di due navi di questo tipo comprate nel 2022 dalla Snam, l’azienda italiana di infrastrutture energetiche (partecipata al 30 per cento dallo stato attraverso Cassa depositi e prestiti). Doveva permettere di sostituire le forniture di gas naturale dalla Russia con importazioni da Medio Oriente, Africa e Stati Uniti, da cui però il gas arriva liquefatto. La seconda nave gasiera, la Bw Singapore, è arrivata il 28 febbraio a Ravenna.

La Italis lng invece è attraccata dal marzo 2023 nel porto di Piombino. Secondo gli accordi però dovrà lasciare la Toscana alla fine del 2026. Ed è qui che entra in gioco Savona.

Grande fautore del trasferimento è stato l’ex presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, nominato nel giugno 2023 commissario straordinario per il progetto Fsru Alto Tirreno a Vado Ligure.

La notizia è stata una sorpresa per la cittadinanza. “Con l’aiuto di mappe e compasso abbiamo capito: il rigassificatore verrebbe messo proprio qui davanti”, spiega Monica Giovannini, presidente della società di mutuo soccorso Fornaci, a Savona. Erede della tradizione di solidarietà operaia novecentesca, la società si trova in una palazzina sulla spiaggia chiamata anche “i Serenella”, con ristorante e sale per riunioni ed eventi, o per giocare a carte.

È qui che alla fine dell’agosto 2023 un gruppo informale di persone ha cominciato a raccogliere informazioni e dati. Ha aperto una pagina Facebook chiamata “Fermiamo il mostro”, subito seguita da migliaia di persone. E così è nato un comitato con lo stesso nome. Qui c’è stata anche la prima assemblea pubblica sul rigassificatore. “Una mobilitazione cresciuta dal basso”, dice Giovannini. Una storia collettiva che include cittadini attivisti, tecnici, scienziati, giornalisti, amministratori pubblici, ambientalisti, sindacati.

Nel settembre 2023 quindicimila persone hanno formato una catena umana sul litorale da Savona a Vado. Da allora la mobilitazione è cresciuta. Ha contagiato le amministrazioni comunali: “Avevano depositato un progetto senza cercare intese con i comuni interessati”, spiega Nicola Isetta, sindaco di Quiliano, comune confinante con Vado Ligure. Sono scesi in campo operatori balneari, albergatori, parte dell’unione industriali. È nato un coordinamento di associazioni ambientaliste, Arci, Anpi, forze politiche del centrosinistra. “Ognuno con motivazioni diverse, ma l’opposizione al rigassificatore è diventata generale”, osserva Franco Zunino, presidente dell’Arci di Savona. Nel luglio 2024 la catena umana sul litorale si è ripetuta. Per Laura Bertolino, una delle anime del comitato Fermiamo il mostro, la battaglia contro il rigassificatore “ha riacceso una tradizione democratica che affonda nella resistenza e nelle lotte operaie”.

Bergeggi, febbraio 2025. L’isola e il tratto di costa che la fronteggia costituiscono l’area marina protetta.

(Martino Lombezzi per Internazionale)

Non solo. Secondo il giornalista savonese Mimmo Lombezzi, la Liguria è “il sud del nord”: la sola regione in deficit tra quelle settentrionali, da cui per curarsi si va in Piemonte o in Lombardia, dove la popolazione è sempre più anziana anche perché i giovani scappano.

Il rigassificatore ha suscitato l’opposizione generale perché “entra in conflitto con l’intero sistema economico locale, a mare e a terra”, riassume Andrea Pasa, segretario della Cgil della provincia di Savona. Pasa descrive una zona di forte industrializzazione: tra Vado e i comuni intorno si conta una decina di siti classificati a rischio di incidente rilevante secondo la direttiva europea per la sicurezza industriale, per lo più depositi di petroli e materiali chimici. Ma “fino a vent’anni fa i siti a rischio erano decine”, osserva Pasa.

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I più anziani ricordano l’Acna di Cengio, in val Bormida, dove negli anni ottanta era emerso uno dei più gravi casi di contaminazione industriale del paese. E tutti pensano alla centrale a carbone Tirreno power di Vado Ligure-Quiliano, chiusa dieci anni fa sulla spinta di un movimento di cittadini e un procedimento giudiziario: per decenni le sue ciminiere hanno sparso polvere e fumi tossici sui centri abitati, con grave danno per la salute pubblica. La centrale elettrica oggi funziona a gas, resta una ciminiera che domina il paesaggio urbano.

Il punto è che negli ultimi decenni l’economia del territorio si è riconvertita. “Su centomila occupati nella provincia di Savona, oggi appena diecimila lavorano nell’industria chimica e metalmeccanica. Altri sono impiegati nel sistema portuale o nella logistica. Mentre trentatremila, cioè un terzo, sono nel commercio, turismo e terziario”, spiega Pasa. Questo significa che “il lavoro è diventato più povero, perché nel commercio e nel turismo sono molto diffusi i contratti precari o part time, e abbiamo i salari più bassi di tutto il nordovest”. Il sindacalista spiega che servono nuovi investimenti: “Ma su un’industria innovativa, sostenibile, non inquinante. Il rigassificatore non porta lavoro e interferisce con le attività presenti a terra e in mare: ce la vedete una nave così grande in un piccolo porto, con un traffico intenso, di fronte alle spiagge?”.

La nave gasiera è una minaccia per l’economia del turismo e per le spiagge, recuperate dopo decenni di industrializzazione pesante. Ed è una minaccia grande per il mare: “Si parla di fruizione sostenibile del mare e di percorsi ambientali”, osserva Davide Virzi, “ma mettere un rigassificatore qui davanti vuol dire il contrario, è un rischio sia per la tutela dell’ambiente sia per la filiera turistica”.

Vado Ligure, febbraio 2025.

(Martino Lombezzi per Internazionale)

Secondo il progetto oggi sul tavolo, la Italis lng sarà collocata al limitare della zona marina protetta e all’imbocco di uno dei canyon sottomarini del ponente ligure. “I canyon creano il movimento verticale di masse d’acqua, tra fondali e superficie, che fa circolare batteri e nutrienti”, spiega Maurizio Wurtz, professore di biologia marina all’università di Genova ed ex conservatore del museo oceanografico di Monaco. “Il mare è una zuppa di batteri: e su quei batteri, con le correnti ascendenti e discendenti, si regge tutta la catena alimentare che arriva fino ai capodogli”, che in questa zona vengono a mangiare a un paio di chilometri dalla costa. “Una fabbrica galleggiante alla testa di un canyon mette in pericolo tutto questo”, spiega Wurtz nella sede della società di mutuo soccorso.

Non solo. “Ci allarmano i 18mila metri cubi d’acqua all’ora che saranno risucchiati dall’impianto rigassificatore e ributtati in mare”, spiega Davide Virzi. La Italis lng infatti è un impianto a ciclo aperto. Per liquefare il gas naturale bisogna portarlo a 162 gradi sotto lo zero; per il processo inverso si fa circolare acqua marina negli impianti, con l’aggiunta di cloro. “L’acqua poi è ributtata in mare, a temperatura più bassa e senza vita, sterilizzata. Diciottomila metri cubi all’ora per 17 anni, tempo di vita previsto del rigassificatore: significa rimuovere in modo massiccio nutrienti dal mare”.

Il mare però non è il solo punto critico. Secondo il progetto presentato dalla Snam, la Italis lng sarà collegata a una torretta sommersa agganciata al fondale. Una conduttura sottomarina trasporterà poi il gas a un impianto di raccolta a terra a Quiliano, alle spalle di Vado. Da qui un gasdotto percorrerà 28 chilometri nella val Bormida, fino a Cairo Montenotte, per agganciarsi alla rete nazionale.

Microcredito

per le aziende

 

Dalla costa alle montagne sono pochi chilometri. La val Bormida, passaggio naturale tra Liguria e Piemonte, porta i segni dello sviluppo industriale del novecento e anche del suo declino. L’autostrada Torino-Savona, voluta negli anni cinquanta dalla Fiat per avvicinare i piemontesi alla riviera e le fabbriche ai porti liguri, è invecchiata e piena di cantieri (è in progetto una variante). Il fondovalle è cosparso di capannoni e aziende di logistica, alcune rinomate vetrerie nei pressi di Carcare, pochi altri stabilimenti intorno a Cairo Montenotte e nella vicina Cengio.

Contabilità

Buste paga

 

Il declino è ben rappresentato da Ferrania, frazione di Cairo, che negli anni venti ospitò la prima grande fabbrica di pellicole fotografiche. La Ferrania film è stata un marchio importante nella storia del cinema. Nel momento di massimo successo aveva fino a cinquemila lavoratori. Con varie trasformazioni è rimasta attiva fino ai primi anni 2000. Oggi resta un sobborgo fantasma, capannoni in abbandono, le abitazioni e il centro sportivo per il personale ormai fatiscenti, e una palazzina diroccata con pellicole di film sparse tra le ortiche. Intorno ci sono versanti boscosi con piccole frazioni abitate. È da qui che dovrebbe passare il nuovo gasdotto: “Le proteste hanno acceso i riflettori sulla costa e sul mare, ma anche da queste parte c’è una forte opposizione”, osserva Alessandro Dighero, militante di Europa verde e attivista del comitato Fermiamo il mostro.

“Ci hanno convocati a orari diversi, ma noi siamo andati tutti insieme”, racconta Cristina Delfino, abitante di una frazione di Carcare inerpicata tra i boschi. Spiega che gli incaricati della Snam avevano chiamato i proprietari dei terreni lungo il tracciato del gasdotto per proporre un contratto cosiddetto di servitù: il diritto a fare gli scavi, interrare le tubature e accedere per manutenzione e controlli, in cambio di un piccolo risarcimento in denaro.

“Ci hanno invitato giù a Carcare in una sala della curia”, continua Delfino. “Eravamo una trentina, ma ci hanno ricevuto uno per volta. A ciascuno davano fogli, planimetrie, e dicevano: firmi questo ‘accordo bonario’ e tra pochi giorni il notaio le fa un bonifico”, qualche centinaio di euro. “Noi però non abbiamo firmato: sappiamo come va, abbiamo il vecchio metanodotto: per anni avremo cantieri e camion su e giù in una strada molto piccola. E la servitù non finisce mai, ci combattiamo da decenni”. Non solo: la signora Delfino accompagnava uno zio, anziano e invalido, “ma volevano che entrasse da solo al colloquio perché il proprietario è lui. Alla fine è arrivato il sindaco che ha detto: o entra la nipote o entro io”.

Vado Ligure, febbraio 2025. Veduta del porto e dell’area ancora utilizzata dai pescatori locali a ridosso della piattaforma per container Maersk.

(Martino Lombezzi per Internazionale)

Questo succedeva lo scorso aprile. Da allora gli addetti della Snam continuano a fare ricognizioni, dice Delfino: “L’altro giorno erano qui sotto casa. Entrano nel tuo terreno senza neppure avvisare, cominciano a fare buchi, non danno spiegazioni”.

Quel giorno nella sala della curia è diventato un caso. “Volevano prendere i cittadini uno per uno e fargli firmare le liberatorie alla chetichella”, dice Rodolfo Mirri, sindaco di Carcare e consigliere provinciale a Savona: senza neanche presentare il progetto alla cittadinanza in modo che tutti sappiano cosa firmano. “È il metodo che non va. I cittadini non si fidano più”. Siamo in una piazza con edifici ottocenteschi accanto al ponte sulla Bormida. Mirri spiega che tutti i sindaci della valle si sono pronunciati contro il nuovo gasdotto “perché hanno capito che i cittadini sono contrari”. Parla di siti inquinati e di un termovalorizzatore che la regione Liguria potrebbe mettere proprio qui: “Chiamatelo con il suo nome, un inceneritore”. Non è contrario a nuovi progetti, spiega, “ma non solo su biodigestori e inceneritori. Magari vogliamo sviluppare un po’ di turismo, in fondo siamo a solo 18 chilometri dal mare”.

A oggi poco meno di un terzo dei proprietari ha firmato gli accordi, conferma la Snam (che afferma di aver “provveduto a fornire ulteriori elementi ai diretti interessati”).

Anche il monastero induista di Altare si è sentito proporre un accordo “bonario”. Fondato quarant’anni fa su un crinale circondato di boschi, appartiene all’unione induista italiana. “Ci sentiamo chiamati in causa non solo perché il gasdotto passerebbe nel nostro bosco sacro, ma come abitanti di questa zona”, dice Svamini Shuddhananda Ghiri, giovane donna che rappresenta l’ashram. Gli addetti della Snam “dicono che è un lavoro piccolo, da fare con micro trivelle”. Ma il monastero non ha firmato: “L’impatto non è affatto zero come dicono, lo vediamo con gli sfiati e l’inquinamento del vecchio metanodotto”. La religiosa aggiunge che la comunità vuole vedere il progetto aggiornato. “Per noi l’essere umano fa parte di un equilibrio naturale. Ma vediamo una continua erosione della natura per trarne profitto. Questo è un territorio fragile: manca uno studio ambientale ampio sull’ecosistema montano, come c’è stato per il mare”.

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Un progetto approssimativo

Il progetto aggiornato in effetti manca. La prima versione, presentata nel settembre 2023 al ministero dell’ambiente per la valutazione d’impatto ambientale, è stata rimaneggiata più volte per rispondere alle osservazioni di associazioni, cittadini ed enti locali, oltre che dell’Istituto superiore di protezione ambientale (Ispra) e dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Lo scorso giugno la commissione tecnica Pnrr-Pniec ha chiesto altre integrazioni, e a settembre è cominciata una nuova consultazione pubblica. Tutte le osservazioni sono sul sito del ministero dell’ambiente. La Snam deve ancora rispondere.

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“C’è stata molta approssimazione e superficialità”, commenta Marco Russo, sindaco di Savona, nel suo ufficio nel bel palazzo comunale. “Hanno voluto umiliare le amministrazioni locali imponendo un fatto compiuto”. Il suo comune si è fatto sentire in ogni sede possibile, precisa il sindaco: “Ammettiamolo: non ci sono vere ragioni tecniche per spostare il rigassificatore da dove si trova. Le ragioni sono tutte politiche”.

Oggi il progetto Fsru Alto Tirreno è in un limbo. Non c’è un nuovo commissario straordinario per sostituire l’ex presidente della regione Giovanni Toti, indagato per corruzione e decaduto dopo l’arresto del maggio 2024. Il suo successore alla guida della Liguria, Marco Bucci, eletto nell’ottobre 2024, si è detto contrario. Hanno dato parere negativo i comuni interessati, poi la provincia di Savona e infine l’intero consiglio regionale ligure.

È dunque archiviata quella che Mimmo Lombezzi definisce “un’operazione di stampo coloniale”? Niente affatto, risponde il sindaco Russo. “Le procedure amministrative restano aperte. La valutazione d’impatto ambientale è in corso; la conferenza di servizi è solo sospesa”. Per questo, dice il sindaco di Savona, “abbiamo scritto alla presidente del consiglio Giorgia Meloni: chiediamo un atto formale di revoca del progetto Fsru Alto Tirreno a Vado Ligure”.

Sarà il governo a decidere se e dove ricollocare la nave Italis lng dopo il 2026. Intanto a Piombino gli operatori portuali chiedono di lasciarla dov’è. Mentre molti dubitano che il rigassificatore sia davvero necessario: le importazioni di gas naturale liquefatto in Europa rallentano, l’Italia rischia di investire in infrastrutture ridondanti, affermano Greenpeace e ReCommon nelle osservazioni sottoposte al ministero dell’ambiente.

Ma torniamo nella rada di Savona. Nel comune di Quiliano, con vista sui colli liguri e le mimose da un lato e la ciminiera della Tirreno power dall’altro, il sindaco Isetta ricorda che questo territorio ha già pagato un tributo alto in termini di contaminazione industriale e minacce alla salute pubblica. Finché il rigassificatore non sarà ufficialmente cancellato, ripete, “noi restiamo sul fronte”.

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