Lavori green, il microbiologo esploratore: “Saranno virus e batteri a salvare la Terra”


E se per salvare il Pianeta malato ci concentrassimo sul micro, il piccolissimo, anziché insistere solo sulla protezione dei grandi mammiferi o delle piante? Probabilmente troveremo la soluzione a molti problemi e nuove strade per rendere il mondo più sostenibile. Ne è convinto Donato Giovannelli, di professione microbiologo-esploratore, professore di microbiologia all’università Federico II di Napoli. Il suo lavoro, che si occupa sia di indagare le potenzialità dei microrganismi sia di contribuire alla conoscenza per proteggere l’ambiente, se l’è cucito negli anni, partendo da due strade per lui imprescindibili: sognare ed esplorare. Cammini necessari, spiega, per intraprendere qualunque carriera, a patto però di essere sempre pronti ad ”interpretare il proprio lavoro come si vuole. Bisogna immaginarselo, disegnarlo come un abito su misura e intraprendere percorsi diversi possibili”.

“Da bambino ho capito che l’ultima frontiera è l’oceano”

A lui è capitato proprio così: da bambino sognava di diventare astronauta poi però suo padre gli regalò un libro sul mare. Il testo spiegava che fino ad allora, nella Fossa delle Marianne, il punto più profondo degli oceani, erano arrivate solo due persone. Sulla Luna invece ventiquattro. ”Così pensai che l’ultima frontiera non era lo spazio, ma il fondo degli oceani” e dopo il liceo iniziò all’università la carriera da biologo marino, sempre tenendo viva la sensibilità ambientale ”con cui sono cresciuto sul Gargano: con mio padre recuperavamo le tartarughe spiaggiate e io, che ero volontario Lipu, mi ritrovavo ad accudire rapaci feriti in casa. Era un rapporto forte con la natura: avevo l’idea di conoscerla e salvaguardarla, non in modo romantico, ma concreto”.

Una concretezza che applica inizialmente alla biologia marina, prima di accorgersi però che è altro quello su cui vuole davvero indagare. I suoi primi studi riguardano l’effetto dell’inquinamento sui pesci oppure, delle creme solari sulla barriera corallina, una ricerca che lo porta dalle Filippine al Mar Rosso e fino a Singapore: ad ogni approfondimento però “arrivavo a un punto delle mie indagini in cui la risposta era sempre legata ai microrganismi”.

“Importante incrociare test in laboratorio e sul campo”

Lo interpreta come un segnale e “vira”, manovra che consiglia anche ai suoi studenti, ricordando loro di inseguire sempre i propri interessi. Così passa a un dottorato in microbiologia e si perfeziona tra Usa e Giappone fino a diventare quello che è oggi, un microbiologo-esploratore perché ”oltre a ricerca e divulgazione ho scelto una strada atipica: coniugare laboratorio, esami del DNA e computer all’attività sul campo”. Oggi, dall’Artico al Sudamerica, unisce competenze che vanno dalla biologia alla geologia, studiando il mondo del micro con risvolti che riguardano la crisi del clima, la perdita di biodiversità oppure l’energia. Tutti aspetti del presente e del futuro. ”A livello di funzionamento del Pianeta, quasi tutto dipende dai batteri e i microrganismi. Il 50% dell’ossigeno che respiriamo, il ciclo degli elementi, sono tutti legati alla microbiologia. Questo Pianeta è stato microbico per quasi 3 miliardi e mezzo di anni, per cui è nel micro che ci sono tutte le risposte di cui abbiamo bisogno come società”.

Le energie del futuro, come l’idrogeno, “sono legate ai microrganismi” e ”il 90% della biotecnologia viene da microrganismi”. Nella lotta alla plastica ”esistono batteri che hanno enzimi in grado di degradarla”, e poi dal micro vengono ”gli antibiotici, le soluzioni biotecnologiche, i dettagli per le ricerche su cancro e le malattie. Questo è il mio modo di vedere è il futuro – dice il ricercatore – e lo racconto anche ai miei studenti”.

“C’è bisogno di un cambio di passo”

Ma anche in questo settore, ricorda, c’è bisogno di un cambio di passo: ”Dobbiamo raccontare virus e batteri anche come opportunità, non solo come patogeni. Gli ecosistemi microbici oggi non hanno diritti, per esempio nella conservazione. Io lavoro anche alle Eolie, isole vulcaniche che sono un unicum nel Mediterraneo: lì da anni si parla di creare un parco marino protetto, sempre menzionando pesci o coralli ma mai gli ecosistemi microbici, che in quell’ambiente geotermale sono incredibili e potrebbero essere fonte per le biotecnologie del domani. Andrebbero protetti, ma prima ancora riconosciuti”.

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Una protezione su cui potrebbero specializzarsi per esempio i giovani biologi: “C’è bisogno di loro, di persone che inseguano le proprie passioni senza per forza correre solo nella professionalizzazione, ma capaci di diversificare, di avere una cultura interdisciplinare e soprattutto di portare punti di vista diversi per la salvaguardia del Pianeta”.



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